~Capitolo 1~

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Come tutte le mattine mi alzai a fatica da quello stupido letto che era diventato per me la mia casa.

Mi ritrovavo sempre seduta su quel materasso che cigolava ogni volta che mi muovevo sopra di esso.

Era una tortura ma niente al confronto dei pianti continui della bastarda che si trovava al piano di sotto.

Indossai la mia divisa, scesi la rampa di scale di legno e senza salutare la tipa seduta sul divano uscì di casa sbattendo la porta sperando che Natalie capisse di essere rimasta da sola anche se dubitavo che avesse sentito il rumore;

era troppo impegnata ad osservare foto di uomini sulla cinquantina pronti ad accoglierla nella propria casa.

-Buongiorno Mary-

-Buongiorno a te Ally. Come va?-

-come vuoi che vada Mary?-

-è sempre alla ricerca di un nuovo marito?-

-sempre-

Mary era l'altra commessa del negozio ed era l'unica persona con cui parlavo, l'unica che sapeva del problema che avevo a casa.

Ogni giorno era uguale al precedente e sarebbe stato uguale al successivo.

Facevo il mio turno al negozio di abbigliamento per bambini e mamme incinta e ogni qual volta pensavo che non avrei mai voluto avere un bambino, mai.

Ogni volta che una coppia felice pronta ad accogliere un nuovo bebè, nella propria vita e nella propria casa varcava la porta cercavo di mostrare un sorriso, un finto sorriso.

Non sopportavo più quella vita, odiavo il contatto con le persone e soprattutto con le famiglie.

Io non avevo una famiglia anzi ne avevo una e pensare che ora non c'era più faceva male, molto male.

Provavo a non pensare, ad alienarmi da ciò che mi circondava ma pensare era l'unica cosa che riuscivo a fare, non avevo altri passatempi se non pensare.

Uscivo dal negozio e con i piedi a pezzi per essere stata tutto il giorno in piedi a scegliere il giusto abito per i bambini tornavo a casa, mi facevo una bella doccia, preparavo qualcosa da mangiare per me lasciando ciò che rimaneva in cucina nel caso Natalie aveva voglia di mangiare qualcosa e staccarsi da quel dannato computer e mi infilavo nel letto cercando di prendere sonno il prima possibile.

Se Natalie non piangeva o se non tornava a casa ubriaca era semplice riposare, in quelle quattro mura regnava il silenzio più assoluto.

Ma questa volta fu diverso, quando tornai a casa trovai mia madre pronta ad aspettarmi a braccia aperte dietro la porta.

Non capivo il suo comportamento, a lei non era importato niente di me o forse solo da quando mio padre ci aveva lasciati ma comunque mi lasciò vivere la mia adolescenza da sola.

Non sapeva niente di me e ora vederla li che mi aspettava mi fece solo più rabbia.

-cosa vuoi?-

-ci trasferiamo tesoro-

-non chiamarmi tesoro, non ne hai il diritto-

-sono tua madre posso fare quello che voglio-

-tu non sei mia madre-

-ma cosa stai dicendo Ally?-

-sono cinque anni che non mi rivolgi la parola e ora che finalmente ti sei decisa a parlare l'unica cosa che riesci a dirmi è ci trasferiamo? Ma ti rendi conto? Sei una persona insensibile, pensi sempre e solo a te stessa-

-non è vero Ally lo sto facendo anche per te, non possiamo continuare a vivere in queste condizioni-

-tu non puoi Natalie! Io al contrario tuo ho fatto di tutto pur di portare qualche soldo a casa e tu invece cosa hai fatto in questi cinque anni, cosa?-

-non parlarmi in questa maniera Ally! Ti ho detto che ci trasferiamo e così sarà-

-e dove vorresti andare?-

-Los Angeles-

-Los Angeles?-

-Sì Ally ci trasferiamo da John Collins.
Questa volta so che è quello giusto-

-Quello giusto? Lo dici ogni volta prima di tornare a casa piangendo o ubriaca, ogni volta prima di tornare dentro queste quattro mura afflitta perché qualcuno ti ha solo usata, usata solo per farsi una scopata. Ma lo vuoi capire che per quanto tu mi odi io cerco di proteggerti?-

-io non ti odio Ally-

-E allora perché? Perché mi fai questo?-

Come di mia aspettativa non ricevetti nessuna risposta.

Non ero arrabbiata ma solo tanto amareggiata.

L'unica cosa che c'era da fare era salire in camera e riporre le poche cose che avevo nell'armadio dentro al borsone che usavo quando da piccola andavo a danza.

Non ci misi tanto a raccogliere i miei vestiti ormai logorati dal tempo in quella sacca altrettanto rovinata.

Non volevo partire, non volevo lasciare la mia casa, l'unica cosa che mi restava di mio padre ma intanto a quella bastarda non interessava.

Non gli importava dei miei sentimenti e non le sarebbe mai importato.

Sarei potuta morire e lei avrebbe continuato a vivere.

Ero un peso per lei e ne ero pienamente a conoscenza.

Avevo paura di cambiare città, di abbandonare il piccolo paese di Cadillac nel Michigan e trasferirmi nella grande metropoli di Los Angeles nella soleggiata California.

Ero come l'ostrica di cui parlava Verga, quella povera ostrica attaccata ad uno scoglio durante una forte tempesta continuamente indecisa nel rimanere attaccata a quello scoglio o pronta a lasciarsi andare sapendo che qualsiasi cosa avesse scelto avrebbe dovuto lottare.

Questa era la mia vita, una continua lotta.

E se quel John aveva figli? Non sarei riuscita a condividere una casa con altri ragazzi.

Avevo paura di confrontarmi con loro, paura di essere rifiutata, paura di essere delusa.

Mille domande presero posto nella mia mente, domande alle quali non potevo rispondere.

Ero curiosa ma il mio orgoglio non mi permise di scendere le scale e cominciare un nuovo discorso con mia madre.

Avrei avuto la risposta alle mie curiosità solo una volta arrivata in quella città.

Se pensavo che la mia vita faceva schifo ora sarebbe cominciato il mio inferno.

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SCUSATE SE CI SONO ERRORI SOPRATTUTTO PER I VERBI MA HO SCRITTO VERAMENTE DI CORSA

Go on alone || Taylor CaniffDove le storie prendono vita. Scoprilo ora