3. Capitolo tre.

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Una settimana dopo il tragico episodio successo al ricevimento, io tornavo a casa da una ronda notturna.

Nonostante, la situazione si trovasse a una di caotico stallo, le inspiegabili morti avevano continuato a verificarsi, e per combinazione, i vampiri a proliferare.
Altri scomparivano inghiottiti nel nulla senza lasciare alcuna traccia.

Questo aveva mandato nel panico più totale la popolazione intera di Briluna.

Era come se un virus pandemico che colpiva a livello celebrale, si fosse diffuso rapidamente tra le sue vie, dando sfogo a banali risse nate dall'incomprensione di un parere personale.

Per contrastare altre evenienze del genere e tranquillizzare la popolazione, i miei genitori avevano disposto di fare dei turni nelle foreste della città dove si erano già verificati episodi di quel genere macabro.

Giorno e notte, coppie di razze prestabilite montavano la loro ronda di guardia, attendendo di vedere il volto del colpevole in azione.

Nonostante tutto però, non avevano avuto intenzione di tenere alcun discorso ufficiale di emergenza, malgrado si mostrassero diligenti e costanti verso le indagini del cavilloso caso scoppiato.

Ma non era solo questo.
Dopo essere stato accusato di omicidio colposo da quella fata infame, la polizia umana aveva scortato mio padre nella Foresta Candida - territorio neutrale per tutte le razze - riuscendo a suggellare un accordo con il comitato giudiziario composto dagli esponenti di ognuna: gli avrebbe consegnato il vero assassino in arco di tempo compreso tra i cinque e i nove mesi, e in più, per dimostrare la sua lealtà, aveva proposto di assegnargli un umano delle unità speciali che avrebbe monitorato ogni suo movimento.

Grazie alla sua persuasiva diplomazia, era riuscito a estinguere ogni accusa dalla sua autorità,
risparmiandosi a una prossima udienza marziale o peggio ancora una prigionia abusiva.

Così adesso avevamo per casa un urticante umano di cui non mi curavo neanche di interessarmi della sua presenza.

Per modo di dire perché seguiva ogni nostro movimento e labiale. E non era un'enfasi.
Mi sorprendeva solo che avesse l'acume di sparire dalla stanza ogni volta che i miei genitori cominciavano ad amoreggiare come due adolescenti.

Lo stesso non poteva certo dirsi di me.
Lo avevo alle calcagna a qualunque ora della giornata.
Mi pedinava non come se volesse proteggermi da un agguato improvviso, ma come se fossi io la minaccia e non aspettasse altro di spararmi un colpo avvelenato nel petto per togliermi di mezzo.

Camminando camminando, mi ero ritrovata davanti alla mia stanza.

Facendo capolino sulla sua soglia, venni come sempre invasa dall'odore di libri insieme al senso di sicurezza.

La prima cosa che feci, fu di sfilarmi il giubbotto di pelle e di lanciarlo sulla poltrona dell'area lettura.

La seconda fu di cercare Light sul letto.
Lui che riconosceva costantemente la mia essenza magica, miagolò così da rifermi in che angolo della stanza si era cacciato.
Un secondo dopo, lo vidi scendere con un balzo dalla staccionata del balcone per venire a gattonare verso la mia parte.

Nei turni di ronda l'avevo portato sempre con me, ma proprio come noi, non aveva avvertito alcun pericolo in agguato e si era solamente annoiato a sonnecchiare sopra il tronco di un albero.

«Mi dispiace Light, ma le coccole sono posticipate di qualche ora» gli riferii gettandomi a peso morto sul letto, già pronta ad abbandonarmi a un meritato riposo.
Ero fuori combattimento e lo sarei stata per altre tre ore, se dei passi non avessero musicato la stanza.

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