04 || A Tutto Reality: Le Disgrazie di Kadiri!

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[parole: 16099]

KADIRI

Respirai profondamente e aprii la porta.

Guardai in basso: i tacchi neri di mia madre erano ordinatamente allineati all'ingresso.

Lei era a casa.

Deglutii un nodo alla gola per quanto fosse possibile mandarlo giù; perché quella ristretta sensazione di soffocamento e la soggezione che sembrava tramutare in un cappio avvolto attorno al mio collo pronto ad essere stretto, non se ne andò mai. Non finché mi sarei sentita al sicuro.
Al sicuro da mia madre.

Avanzai con passo incerto all'interno della casa dopo aver tolto e sistemato le mie scarpe davanti alla porta, e man mano che mi feci strada tra i corridoi della mia villetta venni circondata sempre più intensamente da un senso di oppressione, da un silenzio intollerabile.

Camminai a ridosso della parete su cui si trovava la porta che dava al salotto e quando fui abbastanza vicina da sfiorare lo stipite della porta, mi affacciai all'interno della stanza, giusto un po', lasciando intravedere di me solo mezzo occhio destro, la pelle chiara del mio zigomo e i miei capelli castani legati nel solito chignon.

Il salotto aveva la luce principale spenta e la stanza era illuminata solamentedalle luci soffuse e giallastre di alcune lampade messe qua e la sopra i mobili.

Non era molto utile avere numerose lampade quando si ha un lampadario che vale più della testa di Monkey D. Luffy, lo riconosco. Ma a mia madre piacciono le lampade, o meglio, le piace l'atmosfera che danno alla stanza, per questo ne abbiamo una cifra incommensurabile per tutta la casa.

Il suddetto lampadario di cristallo pendeva fermo immobile al centro della stanza e non nego che mi ha sempre messo terrore passarci sotto, timorosa di vedermelo cadere addosso. E con la fortuna che avevo non stentavo a credere che assieme al lampadario mi cadesse anche Plutone, arrivato dalla periferia del sistema solare solo per ricordarmi quanto la galassia stessa ce l'avesse con me.

Insomma, mica volevo fare la fine di Bellatrix Black, anche se fortunatamente non avevamo nessun elfo domestico sfruttato e maltrattato che potesse voler morta tutta la mia famiglia, tanto da svitare un lampadario sopra la mia testa.

Ma torniamo alla mia storia, grazie.

C'era molto silenzio, così tanto e così intenso che potevo sentire quel suono impercettibile farsi strada nel mio orecchio; simile a un dito che picchetta sul cristallo di un bicchiere.

Lampade accese. Totale silenzio. Bicchiere di cristallo.
La mia salvezza.

Improvvisamente il mio corpo in tensione si rilassò di getto, come se avessi scaricato un peso troppo pesante che mi ero trascinata per tutto il viaggio, e vagai con lo sguardo per il resto della stanza, concentrando i miei occhi sull'unica persona che l'occupava.

Un metro e settanta, capelli ramati che sfioravano due spalle coperte da un completo elegante, che a sua volta avvolgeva un corpo non troppo formoso e magro, senza alcuna imperfezione se non la voglia di una strana forma che le macchiava la pelle chiara della coscia e la piccola cicatrice sul ginocchio sinistro. Un viso spigoloso, dai tratti duri e ben definiti, delle labbra sottili e rosee, un naso leggermente a punta e due fini e taglienti occhi dal tratto allungato, i quali contenevano due iridi grigio scuro abbelliti con un leggero strato di trucco.

Mia madre: Lia Akanegakubo.

Da lei avevo preso molto esteticamente, quasi tutto in realtà, tranne l'altezza e gli occhi, sia per forma che per colore.
I miei erano grandi e rossi, dall'apparenza ingenua.

Tuttavia, le nostre personalità erano diverse, non agli antipodi, ma ognuna delle due aveva un modo ambivalente all'altro di arrivare a un obiettivo, di sostenere un ideale, di valutare una situazione e soprattutto di vedere il mondo.
Stesse mete con mezzi diversi, mettiamola in questo modo.

Quel maledetto San Valentino || Haikyuu || Kuroo TetsuroWhere stories live. Discover now