c a p i t o l o 3

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Carl cominciò a chiedersi dove si fosse cacciata Ruth, se fosse tornata indietro giocandogli un brutto scherzo o se magari semplicemente avesse sbagliato strada.

Doveva immaginare non conoscesse il bar della zona, in fondo lei era una benestante del North Side, se l'avessero visto in giro con gente così non avrebbero certo esitato a ricordargli chi fosse.

Un sempliciotto che tentava di fare il duro entrando in giri di spaccio, e che prima o poi avrebbe mollato, e che quando quel giorno sarebbe arrivato, avrebbe assistito impotente al crollo della sua vita.

Deglutì a fatica al solo pensiero.

Eppure lui non poteva immaginarsi nei panni del bravo ragazzo, di quello che sa cosa vuole e percorre la sua strada senza curve.

Carl non era nato per fare carriera, era uno scarto della società che doveva adattarsi per guadagnarsi il rispetto, perché nel South Side niente era garantito ma tutto andava ottenuto.

«Finalmente, cavolo, che hai nel cervello, sono nuova non ricordi?» Ruth lo risvegliò dai suoi stessi pensieri con quella strigliata da bacchettona.

«Beh sei fortunata, hai trovato qualcuno che può farti usufruire di buoni servizi» indicò il locale con un ghigno malizioso.

La ragazza lo osservò per un attimo aggrottando le sopracciglia, cercando di trovare della serietà nelle sue parole, ma ci rinunciò, lo scansò ed entrò nel bar.

«Ehi Veronica, un drink per la mia bella!» Quella che, agli occhi di Ruth, doveva essere Veronica lo squadrò dall'alto al basso.

Era una donna incantevole, con un décolleté prorompente che faceva girare la testa anche ai vecchi sobri del locale e una pelle scura e così lucente da far invidia ai boccali che stava asciugando.

«Che cosa vuoi Carl? Ne abbiamo già parlato, non servo nulla ai minorenni.» Fu proprio a quel punto che la donna si allontanò dal bancone ed entrò in scena una barista russa.

«Andiamo Svetlana, tu non hai mai grandi morali per la testa.» La rossa ci pensò un po' su per poi fare segno ad entrambi di accomodarsi al banco.

«È proprio necessario?» Ruth spezzò il silenzio, sistemando alla giusta altezza lo sgabello in pelle consumata.

«Che cosa dolcezza?» La ragazza lo fulminò con il suo sguardo pungente prima di continuare.

«Questo, questo tuo modo di fare e di parlare come un ragazzino disperatamente arrapato che crede di conquistare il mondo con il suo uccello.»

sorseggiò la sua birra in attesa di una risposta meditata da parte di Carl, che invece si era sentito violato da quell'affronto.

«Che credi di saperne tu, sei solo una presuntuosa del North Side che si annoiava così tanto da incasinarsi la vita in questa fogna del cazzo.»

Ruth strinse i denti indignata in una smorfia che Carl sfidò a sua volta.

Fece un salto dallo sgabello e si allontanò velocemente verso la porta sul retro, con i pugni così tesi e stretti da mostrare i segni delle sue unghie sul palmo.

«Ruth, aspetta dai»

Non diede ascolto alla sua voce e così il ragazzo, non vedendola tornare entro i primi secondi, si diresse a sua volta nel retro, dove potè vederla, intenta ad accendere una sigaretta sul marciapiede della Homan Ave.

si sedette accanto a lei, ma non sembrò essere un problema, il primo tiro doveva averla calmata.

«Mi dispiace, Ruth, sai cosa, se crediamo di sapere così tanto l'uno dell'altra, perché non parliamo un po' delle nostre vite»

la proposta non sembrava allettare un granché la ragazza, che di fatti rispose con un «ti annoieresti a morte».

Ma con un po' di pressione e insistenza dovette cedere o in alternativa lo avrebbe strangolato per un po' di silenzio.

«D'accordo comincio io» Ruth si mise in ascolto, scontrandosi con i suoi occhi.

«Qualche settimana fa sono uscito di prigione dopo un anno e la cosa più scioccante è che ho fatto di tutto pur di restarci»

Ruth non lo guardò con giudizio o stupore ma si limitò a chiedergli il perché, perché avesse voluto rimanerci. Il perché vi fosse entrato non era poi così difficile da immaginare, soprattutto con tutti i soldi che sembrava intento a spendere.

«Semplicemente non volevo tornare qui dove nessuno sembra portare rispetto a nessuno. Devi sapere che in carcere non ci sono solo nemici, anzi, le amicizie che tendi a stringere in prigione non possono che sorprenderti per quanto sono vere.»

Fece una pausa ma Ruth risultò molto presa da quella conversazione e così continuò ad aprirsi con lei.

«Il ragazzo che hai visto con me a scuola, Nick, è il mio migliore amico e ci siamo conosciuti in cella. Lo rispetto così tanto, lui è come una certezza per me, ne ha passate tante.»

Ruth gli passò metà della sua sigaretta e Carl l'afferrò senza esitare, non sapendo se sperare che dicesse qualcosa o che rimanesse in silenzio.

«Era evidente che foste legati, e se proprio vuoi saperlo non ti avrei mai immaginato tipo da carcere»

Risero entrambi, segno che anche Carl sapeva di non dare nell'occhio per il suo passato in carcere, molto più per la sua imbarazzante convinzione di poter vivere come un nero solo per le trecce.

«D'accordo tocca a me» Ruth prese timidamente coraggio, perdendosi nei movimenti di Carl, in procinto d'inalare un tiro della sua camel, pensò di ritirarsi ma riuscì a tornare sui suoi passi quanto prima.

«Da quando sono piccola ho sempre amato disegnare, qualunque tipo di soggetto, che fosse natura o persino persone»

Carl seguiva con gli occhi i movimenti delle sue labbra disidratate, scacciando, come aveva fatto Ruth nei suoi confronti, ogni pregiudizio.

«Ma nonostante io sia affascinata da ogni espressione d'arte, non posso fare a meno di vergognarmene, perché questo è l'unico possibile tratto che mi avvicina a mio padre.»

Ruth abbassò lo sguardo

«Fino a qualche anno fa avrei detto fosse diverso, che fossimo simili» Carl poteva immedesimarsi perfettamente nel suo dolore, ma non l'avrebbe interrotta per dirglielo.

«Invece lui è uguale a quella testa di cazzo di mia madre, non fanno altro che preoccuparsi per loro stessi, deve essere davvero frustrante vivere così» Aspirò un ultimo tiro prima di sporcare la punta delle sue converse con la cenere della sigaretta spenta.

«Io non voglio vivere così»

Carl non aveva mai intrattenuto una conversazione tanto personale prima. Aveva paura di mostrarsi per le sue debolezze, non perché se ne vergognasse, semplicemente perché sapeva per esperienza che non avrebbe portato a nulla di buono, era uno svantaggio far conoscere i propri punti deboli a persone di cui non si poteva fidare.

era però, al contrario, proprio quello il vantaggio delle amicizie occasionali, se così poteva definire quel che era accaduto tra lui e la persona che aveva di fronte.

Si perse nel profilo della ragazza; le sue limpidi iridi verdi avevano incastonato lo sguardo di Carl per un momento e le sue guance, che davano un colorito roseo alla sua pelle pallida e cosparsa di lentiggini, avvamparono quando il ragazzo scostò una ciocca di capelli dal suo viso, riportandola al suo posto.

«Ma che fai?» Chiese lei mostrando una smorfia di imbarazzo.

Solo allora Carl si accorse della vulnerabilità del suo gesto, del tutto naturale e istintivo, e probabilmente dovuto all'ipnotico color rame dei capelli di Ruth.

«Non lo so» il ragazzo era sincero e Ruth lo sapeva.

Eppure non aveva idea di come interpretare i comportamenti di Carl, riconoscere i dettagli delle persone prevedibili era il suo passatempo preferito, ma per quanto detestasse ammetterlo, con lui era diverso.

Riusciva a percepire solo questo.

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