54. Al villaggio

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«Hans, svegliati. Sono arrivati.»

Uno scalpiccio di piedini nudi sulle assi di legno, una vocina sinistra, lieve e sibillina.

La vocina di una bambina.

Il professore cercò a tentoni gli occhiali sulla sedia posta a fianco al letto. Ma nella foga del momento, gli ruzzolarono sul pavimento.

Xavier, al suo fianco, mugugnò. Lo teneva prigioniero sotto di lui con una gamba piegata.





Non avrebbe saputo dire come fosse iniziato tutto.

Giorni prima, in preda agli incubi notturni, sudato, tremante, con la camicia sbottonata e dei pantaloni consunti che erano appartenuti a Kuran, si era recato nella tenda di Xavier.

L'uomo era semi-addormentato, l'aveva ascoltato farneticare mezz'ora, stropicciandosi gli occhi, fingendo di comprenderne i deliri, mostrandosi paziente e maturo. In realtà lo sguardo continuava a cadergli sulla scollatura, il petto glabro e liscio, il modo in cui le sue labbra rimanessero socchiuse anche nei brevi istanti di silenzio.

Aveva dato la colpa al dormiveglia, il languore di un sogno sfumato.

Perché era tutto troppo sbagliato, fino a pochi mesi prima lui era stato sposato.

Antoine l'avrebbe irriso:"Non usarmi come scusa!"

Ma era appunto così che si sentiva. Un vile.

Hans si voleva appoggiare a lui, chiedeva sostegno, una spalla amica. E lui invece continuava a fare sogni erotici e svegliarsi frustrato.

«Mi stai ascoltando?» aveva il fiatone, gli occhi dorati sgranati. Gli occhiali scivolarono lungo il setto nasale.

Amava quel particolare, si avvicinò e glieli sfilò.

Li appoggiò su una sedia lì vicino.

«È tardi, Hans, dovresti dormire.»

«Ma io non ho sonno.» Sembrava così giovane e immacolato. Risvegliava in lui istinti che non credeva di possedere.

«Puoi rimanere... se vuoi.»

Avvertì il disagio del ragazzo, lo vide fare un passo indietro, spalancare gli occhi e formare con la bocca una O perfetta.

«No, non in quel senso! Hans, non...»

Provò ad avvicinarsi, ma quello si ritrasse ancora più sconvolto dal tentativo di contatto fisico.

«Dannazione!» imprecò Xavier tra sé e sé, coprendosi il viso con le mani.

C'era stato un lungo minuto di imbarazzante silenzio.

Poi il professore si era riavvicinato.

Era miope e nella penombra tutto l'ambiente, rischiarato dalla luce lunare e da una candela che si era portato appresso, aveva i contorni sfocati di un'allucinazione.

Aveva spento la fiamma, si era accostato al letto. Il profumo di Xavier era penetrante e rassicurante allo stesso tempo.

«Posso davvero dormire qui?» aveva chiesto.

Si vergognava tantissimo ad ammetterlo, ma non era più abituato a dormire da solo. Sull'arca aveva trascorso così ventiquattro anni di vita, ma sulla Terra le sue abitudini erano cambiate, era stato viziato. Dormivano sempre tutti insieme, durante le missioni. Era abituato al sonno irrequieto di Kuran e Ulrik, ai loro risvegli notturni, a trovarli già in piedi, imbronciati, ma comunque sempre presenti. O almeno uno dei due. Era abituato a non aver paura del buio, a fare domande ai compagni, ad augurare loro la buonanotte o il buongiorno, a seconda di quando li vedesse. Non che i due fossero molto di compagnia, il più delle volte rispondevano con semplici cenni del capo.

UMANA ∽ Una Nuova EraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora