34. Crolli

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C'era odore di pioggia nell'aria, il fuoco durante la notte era stato spento dall'umidità palpabile, loro compagna dall'inizio del viaggio.

Evangeline oltrepassò il resto della squadra, si avvicinò spedita alla quercia, spalle dritte, braccia tese lungo i fianchi, unghie smangiate conficcate nel palmo della mano.

Il giovane stava legando il suo zaino a quello di Melchor, procedura complessa che eseguiva con una destrezza impeccabile. Al termine dell'operazione sembrava un unico bagaglio, enorme, impossibile da sollevare per chiunque altro. Quello era l'anticipo della punizione che avrebbe subito per averlo sfidato. Ma in realtà anche Melchor cominciava a rendersi conto che così facendo umiliava solo se stesso, perché Ulrik non faceva una piega, ubbidiva come se avesse a che fare con un bambino capriccioso che non voleva camminare, non con un'autorità da rispettare.

Quando alzò gli occhi azzurri, la fissò con un barlume di sorpresa. Nulla di più.

Ne rimase così delusa che la sua espressione si accigliò oltremisura.

Bea fece per avvicinarsi. L'Umana la fulminò con lo sguardo. Quella retrocedette con la coda tra le gambe e si voltò dall'altra parte, li lasciò soli.

«Non è come pensi.» Aveva sognato quel momento tutta la notte. L'aveva creato, rielaborato, studiato, bramato, temuto. Nella sua mente le cose da dirgli erano tante, troppe. Nessun discorso iniziava però in quel modo.

Sto diventando come lui. Preparo frasi fatte e le recito male.

Rik arcuò le sopracciglia bionde. Non sembrava arrabbiato o deluso, non aveva nemmeno la solita espressione da cane bastonato che lei tanto detestava. O che diceva a se stessa di detestare.

Non riusciva a decifrarlo e questo le faceva paura.

Era un po' sorpreso, come se si fosse messo a nevicare.

«Non c'è stato nulla» precisò allora.

Incrociò le braccia, alzò la guardia. Sollevò la punta del naso anche se lui era accovacciato a terra, seduto sui talloni. Per una volta non la sovrastava in altezza. Per una volta erano pari.

«Tranquilla, non ti preoccupare.»

Eva avrebbe preferito un insulto, anche uno molto volgare.

Si ritrovò senza fiato, con un cuore ingolfato che faticava a pulsare.

Rik abbozzò un mezzo sorriso, riprese quello che stava facendo. Si caricò le proprie responsabilità sulle spalle, agganciò le cinghie in vita, regolò la lunghezza degli spallini.

Solomon si avviò e aprì le fila. Lo seguirono tutti in religioso silenzio.

Lui fece per imitarli, ma Eva lo trattenne con uno strattone alla manica della giacca.

«Basta stronzate, io e te dobbiamo parlare!» Le uscì un ringhio, sentì il sangue affluire sul volto.

Se ne fregava di aver alzato la voce, di essersi resa ridicola. Ignorò le proprie guance che andavano a fuoco e le sue iridi azzurro terso.

«Non adesso, Eva. Ne riparleremo al villaggio.» Tono mesto, calmo, senza particolari inflessioni emotive.

Era stata la sua battuta un tempo. Tirò con ancor più forza il tessuto, imbestialita. «Non osare...»

Lui sciolse la presa con un gesto pacato ma deciso.

«Vorrei farlo, davvero, ma non è il momento giusto, ho altri pensieri. Siamo già sul filo del rasoio.» Fece un passo indietro, ristabilì la giusta distanza. Lei si accorse solo allora di aver invaso il suo spazio vitale. L'imbarazzo fu acuito dalla consapevolezza che lui esercitava sempre la stessa forza magnetica su di lei. Si attiravano e respingevano come calamite impazzite che cambiavano di giorno in giorno la loro polarità.

UMANA ∽ Una Nuova EraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora