Capitolo 5 - Il prezzo dei sogni

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«Un altro successo con lode... Sono sbalordito, Fabrizio, hai concluso in bellezza i tuoi studi», l'anziano signore ripose gli occhiali nell'astuccio e riconsegnò il libretto universitario al ragazzo che gli sedeva difronte. «Posso solo immaginare quanto tu possa essere combattuto, ma entrambi sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato», prese un modulo bianco e glielo offrì. «Se deciderai di dare la tesi, non potrò più proteggerti: prenderai parte all'ordine dei medici e dovrai farlo con la tua vera identità. Anni fa, ti dissi che intraprendere questa carriera non era una cosa facile e oggi te lo ribadisco. Se sceglierai di ufficializzare i tuoi studi, ci saranno delle conseguenze importanti nella tua vita e non potrai più tornare indietro. Tuttavia», il rettore prese una pausa. Si asciugò la fronte, sollevò a fatica i suoi chili di troppo e si assicurò che porte e finestre fossero serrate. «Ci sarebbe un'alternativa», aggiunse poi a voce più bassa. «L'ospedale fantasma.»
  «L'ospedale fantasma?», gli fece eco Fabrizio.
«Shh, fammi spiegare, ragazzo. Qualche mese fa ho incontrato il professor Balaji che, come ben sai, è rettore dell'Università delle Ceneri e primario dell'ospedale. Abbiamo discorso della nuova proibizione delle cure mediche ai non cittadini», allargò il nodo della cravatta con un dito. «Non so come la gente riesca a ignorare l'assurdità di questo sistema: denigrano pubblicamente una professione e poi pretendono di gestirla a modo loro», tossicchiò per il nervoso e Fabrizio gli allungò un bicchiere d'acqua. «Mi perdo sempre in troppe chiacchiere», ingoiò rumorosamente. «Allora, dov'ero rimasto? Sì, bisognava aiutare quelle persone ed è così che siamo arrivati all'idea dell'ospedale fantasma. Vedi, il sottosuolo dell'università è costituito da file di grotte, alle quali si può ancora accedere tramite un passaggio segreto, situato nelle vecchie cripte, a pochi metri dal campus. Sai, con la storia del cimitero, le leggende e via dicendo... Oh, mi sto nuovamente perdendo, Fabrizio, ti chiedo scusa. Dunque», parlava a mitraglietta, la faccia grassoccia incassata nel petto. «Abbiamo messo su un piccolo ambulatorio sotterraneo e Balaji si è alleato con, ahimè, un gruppo di contrabbandieri che fanno da corriere tra medici e reietti in cerca di aiuto sanitario...Naturalmente, tutto ciò infrange una marea di leggi e perciò non siamo riusciti a trovare molti medici e infermieri disposti a lavorare là sotto. Come dargli torto?», prese un respiro. «Il solo parlarne ci mette in serio pericolo e il minimo che rischiamo è l'esilio. Tuttavia, lì sotto i medici non sono soggetti alle limitazioni imposte all'ospedale e possono agire liberamente, salvando il doppio, anzi il quadruplo dei pazienti», brillò di entusiasmo. «L'attività medica approvata da Armida è perlopiù accademica o d'emergenza, lo sai... Questo è un altro fattore che dovrai valutare», sospirò. «Vorrei tanto che per un giovane in gamba come te le cose fossero più facili», nei suoi occhi, la luce di una flebile speranza. «Comunque, se per caso trovassi questa proposta più nelle tue corde, parlerò di te a Balaji.
Il tuo nome lo spaventerà, ma io ti farò da garante», gli promise.
Christian Swanson, il rettore dell'Università dei figli di Erebo, si soffermò a osservare il ragazzo che gli stava dinanzi: immaginava la scelta che avrebbe preso e per quanto detestasse metterlo in pericolo, non poteva permette che il suo potenziale andasse sprecato.
«Fabrizio, io ti conosco da quando eri un bambino», si decise poi ad aggiungere. «E al di là di quanto ti ho detto, come un nonno, ti prego di riflettere con coscienza prima di prendere qualsiasi decisione.
Laurearti in medicina ti farebbe diventare un emarginato, ma non ti farebbe infrangere la legge. Entrare a far parte di un'attività clandestina, invece, ti metterebbe in serio pericolo», il duca era prolisso e parlava sempre più velocemente di quanto poteva.
Fabrizio, al contrario, amava l'essenziale. «Ho bisogno di rifletterci», concluse.
  «È giusto. Il termine di registrazione per le sedute di laurea scadrà giovedì sera, perciò posso darti tempo fino a domani.»
  «Andrà bene, professore» si alzò e raggiunse la mano che l'altro gli tendeva. «Non potrò mai ripagare tutto l'aiuto che mi avete dato: senza di voi non sarei mai arrivato fin qui.»
  «Sei un giovane coraggioso e sarai senza dubbio un ottimo medico: che lo si creda o no, la città ne ha bisogno», gli sorrise e mentre lo accompagnava alla porta aggiunse: «Se poi permetti che questo vecchio ti dia un consiglio, parla a cuore aperto con Alberto. Io lo conosco e per quanto sia molto rigido, è pur sempre tuo padre.»
Fabrizio rise involontariamente, «L'unica cosa che vuole è che io porti avanti la sua attività. Credetemi se vi dico che sarà tutt'altro che comprensivo, quando scoprirà che per tutti questi anni ho frequentato di nascosto un'altra università», scosse la testa. «Indagherà e spero vivamente che non arriverà a voi, professore.»
Il rettore accolse bonariamente quella preoccupazione e gli diede una pacca sulla spalla, «Sono troppo vecchio per trovarmi nei guai», gli fece l'occhiolino. «Il nostro segreto è al sicuro e riguardo a tuo padre», ridacchiò. «Vorrà dire che sarà tempo per lui di imparare che i figli non ci appartengono e che non possiamo riversare su di loro tutte le nostre aspettative.»
Fabrizio sospirò, disilluso, ma non aggiunse nient'altro in merito.
«A domani, giovanotto», Swanson lo salutò e scomparve dietro la porta del suo ufficio.
Fabrizio guardò l'orologio e si disse che forse era ancora in tempo. Prima però aveva bisogno di una rinfrescata, così entrò nel bagno e si sciacquò con l'acqua fredda più e più volte. Rialzando il viso, si soffermò sul suo riflesso nello specchio: occhi castani pagliuzzati di verde, capelli scompigliati e poi quell'orrenda spilla rossa. Quante cose erano cambiate in quegli ultimi anni e quante ne sarebbero cambiante ancora di lì a ventiquattr'ore... Mentre si asciugava, allontanò quei pensieri e ripercorse gli eventi di quella mattina.
Si era recato all'università delle Ceneri e, sotto il falso nome di Fabrizio Beni, aveva dato il suo ultimo esame.
Era una bella giornata e lui si era trattenuto nel campus più del previsto: era andato alla palestra di nuoto e aveva fatto otto vasche senza mai fermarsi in un vano tentativo di svuotarsi dai pensieri. Rivestitosi, si era poi incamminato lungo il quartiere dell'università, il "Ghetto", dove la regolarità di Cremgaradél si spezzava e gli edifici assumevano forme e colori inconsueti.
A causa del famigerato incendio, la vegetazione era esigua, ma i cittadini, per quanto socialmente esclusi, erano pur sempre dei ricconi: avevano steso file e file di prati artificiali nelle zone residenziali e lungo la strada principale, "la Bella Ubriaca", che emanavano il calore di una primavera perenne. Lì vivevano i professionisti delle attività impopolari, i negozi e i locali variopinti, dove i nobili emarginati potevano dar sfogo al loro benestare in modi alternativi.
Una volta raggiunto il campo di arance, Fabrizio si era stretto la cravatta al collo, aveva srotolato le maniche della camicia e si era appuntato la spilla rubino al petto. Così, era poi salito all'ultimo piano dell'edificio principale, dov'era l'ufficio del rettore. A Fabrizio non importava del suo titolo, ma non era il solo a essere coinvolto e perciò non avrebbe preso nessuna decisione prima di aver parlato con lei.

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⏰ Last updated: Aug 23, 2022 ⏰

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