IV - Fiori d'arancio

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Emily è una delle tante persone che ci lasciano ogni giorno. 

È tante volte una scelta consapevole, è come avanzare in una nuova fase della propria esistenza. Sai che tutto sarà più facile, ma sai anche che sarà una scelta dalla quale non potrai tornare indietro. Siamo persone molto resilienti, cerchiamo di farcela sempre e di sopravvivere per poter riportare il nostro mondo al suo splendore. Quando però il dolore è troppo, quando sappiamo che le cure sarebbero inutili e sarebbero solo un dispendio di energie e risorse, sappiamo anche prendere la strada che sembra più facile ma che in realtà è quella più tosta di tutte. 

Comprendo la decisione di Emily, ed a distanza di una settimana dalla sua morte andiamo avanti con serenità e pace. 

Ma poi ricordo cosa c'è là fuori troppo velocemente e bam, sono di nuovo catapultata nell'orrore che dobbiamo vivere tutti i giorni. 

James è a scuola, l'ho portato io, alle 4 e mezza di mattina. Gli orari sono cambiati da quando abbiamo dovuto far fronte all'emergenza climatica, i ritmi del sonno sono diversi ora. 

Mio padre invece è fuori a lavoro, ed io sto andando all'orto di nuovo, come da routine. Mi guardo intorno quando realizzo che anche oggi forse non avrò fortuna e non troverò macchine disposte a darmi un passaggio. Ed il caldo sta già avanzando. 

Prendo un bel respiro, e guardo la mia città e tutto lo schifo che sostiene. Per la strada ci sono rifiuti ovunque, vedo persone che si chinano e raccolgono una cosa dopo l'altra. Pezzi di ferro, di vetro, rifiuti domestici, pannolini, qualunque cosa. 

C'è un odore pessimo per le strade ed unito al caldo afoso non fa altro che peggiorare la situazione; mi sono portata con me una mascherina, ma quando faccio per cominciare a camminare, vedo questa splendida macchina elettrica fermarsi al pit stop. 

Miracolosamente, ci sono solo io davanti a lei. Mi sembra quasi un miraggio, davvero. Mi capita così poco spesso di avere un passaggio e credetemi, tre chilometri con afa e puzza di questo livello sono veramente pesanti da sopportare. L'autista si gira verso di me e mi indica con le dita che ha ancora un posto disponibile. Ha i finestrini oscurati per proteggere il più possibile la macchina dal caldo, quindi non vedo quale sia il posto disponibile, ma lui mi apre la portiera del passeggero e capisco di potermi mettere lì. 

Gli sorrido, entro nella macchina, chiudo lo sportello. Dentro l'aria è fresca, quasi intaccata dal caldo. Le nostre macchine sono dotate di mini pannelli fotovoltaici e piccole batterie che danno effettivamente la possibilità di usufruire di aria condizionata quando si vuole, senza esagerare. 

La fresca sensazione mi rigenera la pelle, il mio sguardo viene portato solo adesso verso l'autista, un ragazzo sulla trentina che mi sorride sereno. 

– Grazie per il passaggio, io sono Riley. 

Mi presento con tranquillità, per poi girare il viso indietro e salutare gli altri passeggeri. 

Aggrotto la fronte, accigliata. Non c'è nessuno.

È prassi, anzi, è quasi una sorta di legge che chi ha una macchina è obbligato ad ospitare quante più persone riesce per portarle all'Orto.

La nostra popolazione è molto attenta a rispettare sempre il senso civico e le leggi - tant'è che di leggi ne abbiamo davvero poche perché non ci servono: ecco perché la cosa mi pare così strana. 

Torno a guardare l'autista che nel frattempo è rimasto in silenzio senza presentarsi. Ed è solo ora che realizzo che c'è qualcosa che non va. 

Non stiamo andando all'Orto.

Non riconosco la strada, ma è vietato allontanarci o attraversare i confini, quindi non capisco cosa stia succedendo. Il mio cuore accelera i battiti, e mi ritrovo a guardare spaesata ciò che mi circonda, con la cintura che mi blocca letteralmente impedendomi di muovermi. Provo a sganciarla ma l'autista mi blocca la mano. 

– Calmati Riley, è tutto okay. 

La sua voce è gentile e ...gradevole? Non so come spiegarlo, ma mi trasmette una sorta di tranquillità inaspettata. Quasi obbligata.

Senza il quasi. 

E faccio un piccolo, rapido ragionamento: comprendo che quel tipo di tranquillità che provo non è umanamente possibile in una situazione del genere. Voglio dire... Sono stata rapita, non c'è dubbio, quindi come posso essere così serena? Lo guardo, ma lui non parla. E io continuo a sentirmi insolitamente tranquilla. 

– Sei un guardiano?! 

Sussurro, arrivando a comprendere cosa sta succedendo. Nel nostro mondo ci sono persone con abilità particolari, insolite, che sfruttano le loro capacità a fin di bene per proteggerci il più possibile dagli attacchi di altri Paesi. 

Li chiamiamo i guardiani, e la capacità di questo ragazzo in particolare è quello di controllare le emozioni altrui. E lui si volta in mia direzione e mi sorride, annuendo. Noto che ha occhi davvero molto scuri, quasi neri, una carnagione olivastra ed un viso molto squadrato. 

– Non stiamo andando all'Orto.

Lo dico ad alta voce, ma sempre in maniera obbligatoriamente tranquilla. 

– No...? 

Mi risponde quasi subito, seguendo il mio discorso, e lasciando aperta la conversazione, quasi il suo 'no' risultasse una domanda. Mi sta incalzando, vuole che sia io a capire da sola. 

Guardo la strada davanti a me, prendendo un respiro profondo. So di non essere in pericolo - il nostro è un popolo pacifico, siamo da sempre contro la non-violenza - ma so che questa non è la normalità delle cose. 

Attorno a noi cominciano ad esserci sempre più alberi, il verde comincia a prevalere su tutto. 

E poi, pian piano, comincio a riconoscere gli alberi: sono aranci. Sono tutti aranci, lo riconosco dai fiori. 

Improvvisamente l'aria fresca che si sente nella macchina prende ad avere un aroma profumatissimo, dolciastro, che se non fossi già serena mi calmerei grazie a questo profumo. Ah, quanto adoro il profumo dei fiori d'arancio.

Poi chiudo gli occhi, mi assento. 

E perdo completamente i sensi

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