Momenti calpestati e sbagliati

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Nudo con i brividi

Prologo: Momenti calpestati e sbagliati

Prendimi, usami, strappami la camicia.

Alessandro non dice una parola – mai: è sempre Riccardo, quello che sa colmare ogni silenzio, aggrappandosi alle virgole e alle parole come se dovesse usarle per risalire la montagna che, inevitabilmente, li separa. A parole, e a silenzi, ma (in verità) la loro è una questione di contatto.

Il giorno in cui Alessandro se ne rende conto è anche quel giorno calpestato e sbagliato in cui quella distanza che ha saputo costruire, passo dopo passo, crolla in frantumi – ha sempre odiato il concetto di spazio personale, Riccardo, ha sempre infranto ogni roccia e ogni mattone che Alessandro aveva messo tra di loro. Ma, quando in diretta nazionale Riccardo – Blanco – l'aveva afferrato per la camicia, qualcosa in Alessandro s'era decisamente rotto.

Era stato una questione d'istanti, un momento infinitesimale in cui aveva perso il controllo e l'aveva guardato, smangiucchiandogli l'anima come quei denti che gli erano affondati nel labbro, il suo, quello sbagliato. Quella sera, ci aveva dovuto fare i conti.

Con la consapevolezza che, con uno sguardo, si era spogliato e gli aveva detto tutto quello che non avrebbe dovuto – mai: prendimi, usami, strappami la camicia. E aveva capito, Riccardo?

C'era stato un momento, l'ennesimo minuscolo momento (calpestato, sbagliato), in cui Alessandro aveva pensato d'esserci arrivato, alla resa dei conti. Al momento in cui Riccardo l'aveva guardato con un barlume di odiosa consapevolezza e s'era tradito con un sorriso – sorrideva spesso e forse pure troppo, per la sua sanità mentale. Non gliel'aveva mai domandato: ridi sempre, perché ridi sempre?

Alessandro, in quella sua consapevolezza odiosamente asimmetrica, ne era odiosamente certo: che Riccardo sorrideva per vezzo e per provocazione, ma mai perché riusciva a trovarci per davvero qualcosa di divertente – avrebbe potuto?

Avrebbe potuto pensare che fosse divertente, vedere Alessandro con gli occhi resi liquidi dal ristagno dei pensieri tra l'iride e la pupilla, divertente il modo in cui aveva scosso la testa (ti prego, lasciami) mentre cercava il modo d'allontanarsi da lui. Divertente, certo.

E avrebbe voluto, avrebbe dovuto, chiederglielo per davvero: prendimi, usami, e strappala per davvero quella camicia – gli era mancato il coraggio, forse non ne aveva avuto nemmeno un surrogato: Alessandro aveva portato a casa la propria esibizione, nulla di più e forse qualcosa di meno. Perché, e ne era certo con una certezza che ammazzava, Riccardo c'era arrivato.

E c'era arrivato, doveva esserci arrivato, nel momento in cui semplicemente aveva spalancato gli occhi e, per un momento, Alessandro aveva temuto che Riccardo si fosse dimenticato il testo della canzone. Ma, quando il ragazzo aveva continuato a cantare, come nulla fosse, per un momento quella certezza aveva vacillato.

Gli era tornata in mente, a intervalli regolari, nelle ore successive – quando, nelle loro stanze d'albergo, li divideva solamente una parete e un velo di sogni a occhi aperti: Alessandro se lo era immaginato, continuamente, morbosamente. Seduto sulla sponda del letto, a chiacchierare al cellulare con la fidanzata, a urlare emozionatissimo alla mamma che quello era il momento in cui tutti i sogni divenivano realtà, a rispondere ai DM su Instagram e... il resto, non lo voleva immaginare. Ma, nei lidi scoscesi della sua mente, Alessandro sapeva che doveva esserci un posto anche per lui: lui che, senza alzarsi, s'infilava la maglia del pigiama e rabbrividiva al pensiero di quello sguardo – quello saturo di tutto il pentimento che Alessandro aveva dovuto rigirarsi in bocca, come un chewing-gum, per tutta la notte, domandandosi se e quando sarebbe stato il caso di tirar fuori l'argomento.

Ma, quando alla mattina dopo s'era accorto di come Riccardo si comportasse normalmente (per quanto la normalità fosse per lui un eufemismo), Alessandro non ce l'aveva fatta – s'era incrinata la consapevolezza, quella fastidiosa certezza che il suo compagno d'avventura avesse compreso. Perché adesso Riccardo lo guarda, senza che in lui vi sia alcuna emozione diversa dal solito, con un sorriso eccitato e il piatto della colazione pieno fino a strabordare.

Alessandro non domanda – ha la camicia leggermente aperta sul petto e, ne ha il terrore più trascendentale, se solamente Riccardo abbassasse lo sguardo potrebbe rendersi conto che il cuore ha accelerato la propria corsa. Non vuole essere un suggerimento (strappami, strappala) ma, quando Riccardo scuote il capo rivolto alle propria uova strapazzate, Alessandro sente un'ondata di disagio colpirlo al petto, facendolo tentennare – potrebbe abbottonarsi la camicia, nascondere quel suo odioso tentennare di fronte a un paio di occhioni e un bel sorriso, nascondere le prove. Ma, quando Riccardo ride davanti a un messaggio su Whatsapp, ad Alessandro tremano troppo le mani anche soltanto per allacciare quei due bottoni.

«Caffè?» domanda Riccardo, porgendogli la caraffa posata sul tavolo da una delle cameriere. «Hai la faccia di uno che ha passato la notte in bianco, sai?».

Perché è così, vorrebbe dirgli, come pensi che avrei potuto chiudere occhio?

Ma, sorbendo un sorso torbido di caffè, Alessandro si limita solamente ad annuire – non avrà mai il coraggio di confessarsi: chinare il capo come un chierichetto nel confessionale e domandare perdono per i propri peccati. Potrebbe essere suo fratellino, il vicino di casa cui ha insegnato a giocare a pallone quand'aveva diciott'anni, un nipote di una sorella maggiore, il fratello di un amico – chiunque ma, quando lo guarda negli occhi, sono problemi relativi: la vera problematica, quella che duole a ogni battito cardiaco, è che Riccardo non è niente di tutto questo. È semplicemente sé stesso e, alla fine della fiera, è ciò che fa più male in assoluto.

«Perché, tu hai dormito?».

«Io non dormo mai» Riccardo ride, mostrando i denti. «Trucchi da supereroe, non lo sapevi?».

«Un giorno devi dirmi di cosa ti fai, per essere così» commenta Alessandro, quietamente. «Sei assurdamente iperattivo».

Il ragazzo scrolla le spalle, rimestando pensieroso il contenuto del proprio piatto – qualcosa sembra avergli tolto l'appetito (strano), ma Riccardo non spiega, a malapena dice una parola.

È quello il momento, calpestato e sbagliato, in cui Alessandro dovrebbe semplicemente chiedere (uno strappo, Riccardo, uno solo e che non ve ne sia uno in più) cosa gli frulli in quella testa così incasinata, così odiosamente complicata.

Ma non fa in tempo a chiederglielo – è lui a fracassare quel silenzio, uccidendolo come con una pugnalata.

«Ho sbagliato qualcosa, ieri sera?».

Nudo con i brividi || BlamoodDove le storie prendono vita. Scoprilo ora