XV.

7.7K 489 759
                                    

Oggi andava meglio.

Oggi era quel giorno fresco, liberatorio, dove sorridi mentre ti guardi allo specchio e quasi ti piaci, quasi ti riconosci. Quel giorno dove il peso è quasi nullo, dove respiri a pieni polmoni perché ti rendi conto di quanto si dovrebbe essere grati di poterlo fare ancora. Dove ridi, leggi, mangi ciò che vuoi, ti metti il tuo vestiario preferito, abbracci, curi, ami e sorridi.

Perché oggi era oggi e a me... andava bene. Andava bene perché non era più ieri e potevo ricominciare.

Avevo passato l'intera giornata con i miei amici, con Rut che mi aveva stretto forte tanto quanto Erazm quando mi aveva visto quella mattina, dopo due giorni in isolamento, con Med che mi aveva trascinato a pranzo con loro, fregandosene altamente delle regole, con Nezha che mi aveva riempito di scuse e ringraziamenti e con Ximena, che aveva tenuto in un fazzoletto una fetta della mia torta preferita, quella alle mele, per non farmela perdere. Sapeva che non sarei arrivata per colazione e allora l'aveva tenuta da parte, per me.

Ecco, quelli erano i motivi per cui ero grata di essere viva.

Qualcuno bussò alla porta.

Due colpi consecutivi. Poi uno. Poi altri tre.

Sorrisi, mentre Ximena ammiccava nella mia direzione. Quello era il segno che avevamo scelto io e Kyran per riconoscerci l'un l'altro.

Aprii la porta lentamente, facendola cigolare un po', e mi spostai in avanti per controllare il resto del corridoio femminile a destra e il maschile alla mia sinistra. Vuoto come sempre.

«Vado, Xim. Ci vediamo dopo». Mormorai.

La vidi mettersi a letto con la coda dell'occhio. «Non fare casini, te ne prego. Sei l'unica amica che ho, non voglio perderti più».

Annuii, sorridendo lievemente a quella dolce dichiarazione d'affetto, e mi richiusi la porta alle spalle limitandone il rumore il più possibile. Ormai Kyran mi aveva spiegato come eludere la videosorveglianza e le telecamere che inquadravano il centro del corridoio di entrambi i dormitori.

Bastava appiattirsi verso il muro ed esse non erano in grado di inquadrare il corpo che scivolava via lentamente, usufruendo del buio quasi totale del corridoio, illuminato solo dal chiaro di luna he traspariva dal vetro delle due finestre principali.

Camminai in punta di piedi, scalzi per evitare il rumore delle ciabatte, e mi infilai nella prima porticina nascosta sotto la scala del dormitorio. Era il magazzino, pieno di cibo e prodotti per pulire.

«Sei un ninja migliore di quello che credevo, saponetta».

Mi voltai verso la voce divertita, dopo aver richiuso la porta alle mie spalle, e osservai Kyran, poggiato con una spalla ad uno scaffale di metallo e con il pigiama addosso.

Era semplice, a maniche e pantaloni lunghi, blu notte, e di seta come il mio. Il mio, però, era bordeaux e non bianco come quello del resto delle ragazze. Come la divisa che avevo trovato appesa accanto alla cella e che Denholm mi aveva obbligato ad indossare con un'occhiata che non ammetteva repliche. Avevo deciso di non sfidare di nuovo la sorte, almeno per ora.

Sospirai divertita. «Mi sottovaluti sempre».

«Non c'è persona migliore di me che sappia quanto vali, tesoro. Anche se hai dei gusti discutibili in fatto di libri». Il suo sguardo scintillò.

TecumOù les histoires vivent. Découvrez maintenant