19- Aliissa [Revisionato]

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Sarebbe stato tutto molto meno imbarazzante se non fossi stata distratta dalla visione di Nico senza maglia.
Io e Piper stavamo discutendo su quale fosse il bacio ideale (nonostante io ne sapessi veramente poco di baci, visto e considerato che ne avevo dato uno in tutta la mia vita, da semicosciente oltretutto).
Lei aveva detto che un bacio sotto le stelle era il migliore, io preferivo un bacio in riva al mare. E a quel punto la mia mente aveva sparato davanti a me l'immagine di Nico Di Angelo in costume da bagno che mi stringeva tra le sue braccia, sul bagnasciuga. Ero talmente arrossita che persino Piper se ne era accorta, al buio della notte, e aveva iniziato a tempestarmi di domande su chi mi piacesse.
Avevo cercato di cambiare discorso, ma niente da fare. Eravamo così immerse nei nostri discorsi che ci eravamo accorte dei nani troppo tardi, ed eravamo finite legate come salumi, con le bocche imbavagliate.
Fortunatamente i ragazzi erano accorsi poco dopo e avevano liberato la nave da quelle maledette scimmie, anche se Leo ci aveva rimesso la sua cintura magica e gli era toccato farsi una bella corsa con Jason per la città di Bologna, al suo inseguimento.
Però ora avevamo una nuova meta, Venezia. O come me l'aveva definita Nico: "la-città-che-tu-non-toccherai-nemmeno-con-un-piede".
Mi aveva obbligata a rimanere sulla nave, solo perché era uno dei luoghi di villeggiatura preferiti dagli spiriti più terribili e infuriati dell'aldilà, che si erano rifiutati di passare l'Acheronte.
Che ingiustizia.
Ed ora mi trovavo ad andare in su e giù sul ponte annoiata a morte, mentre aspettavo che Nico, Hazel e Frank tornassero dalla loro impresa.
«Aliissa, calmati. Ci sarà un motivo se ti ha impedito di scendere dalla nave» mi disse Piper cercando di usare la lingua ammaliatrice. Stavo innervosendo anche lei.
«Va bene, mi calmo» smisi di camminare, ma continuavo a battere il piede per terra dalla frustrazione.
«Era davvero arrabbiato » Jason squadrò prima me, poi scrutò il cielo lontano, carico di nuvole temporalesche. Come se fossi io la causa del temporale. O come se non volesse soffemmarsi su di me troppo a lungo.
Sbuffai e mi voltai verso Piazza San Marco.
Ero testarda, ne ero consapevole, però lui non capiva! Avevo bisogno di scendere da quella nave. Non a causa della nave in sé o dei suoi passeggeri, ma era come se fossi attratta da qualcosa di quella città.
Mentre ancora fissavo l'enorme folla di turisti che facevano foto e urlavano in tutte le lingue del mondo, la vidi.
Era una donna, bella da mozzare il fiato, sulla trentina, con indosso un vestito corto e senza maniche nero, un po' vecchio stile, e uno scialle, scuro anch'esso, sulle spalle nonostante facesse caldissimo.
Stava tra la folla, immobile e fissava me.
"Non può vederti Aliissa, non sta guardando nella tua direzione" mi ripetevo nella mente.
Poi un bambino corse incontro a lei e le passò attraverso, facendo tremolare la sua figura, come se fosse solo fatta di gas, e a quel punto mi zittii.
Dovevo avere una faccia veramente sconvolta, perché Piper mi scrollò una spalla.
«Aliissa? Tutto ok?»
Non riuscivo a spostare lo sguardo da quella donna, così la indicai alla figlia di Afrodite. «Sai chi è? O cos'è
Piper guardò nella direzione del mio dito e poi me, con le sopracciglia aggrottate. «Cosa stai dicendo? Io vedo solo una massa di turisti»
A quel punto spostai lo sguardo sulla ragazza accanto a me, per vedere se mi stesse prendendo in giro, ma era seria più che mai. E preoccupata.
Quando mi voltai di nuovo, la donna era scomparsa.
«Oh, scusa, il caldo mi gioca brutti scherzi» borbottai e andai dall'altra parte del ponte cercando con lo sguardo la donna tra la folla.
«Aliissa cosa hai visto?» mi domandò Piper, poco convinta della mia uscita.
«Nulla. Sembrava.. nulla. Lascia stare.»
Mi arresi e mi voltai verso Piper, sorridendole per darle l'impressione che non ero una pazza ma solo un po' troppo accaldata.
Piper mi ascoltò e tornò da Jason, ma ogni tanto continuava a lanciarmi occhiate strane. Perché dovevo sempre comportarmi da strana?
«Ragazzi, posso andare a fare un giro nella piazza? Mi sto annoiando a morte»
«No» mi risposero in coro Jason e Piper.
Mi morsi il labbro irritata. Non ne potevo più di stare lì sopra. Quando viaggiava, la nave mi piaceva di più perché vedevo più panorami e il vento mi sferzava il viso. Invece in quel momento non c'era assolutamente niente da fare. Non c'era nemmeno Leo con le sue orribili battute, perché stava lavorando in sala macchine.
Dovevo ammetterlo, senza Nico era tutto una noia mortale.
In più c'era quel bisogno quasi fisico di scendere che mi mandava in tilt il cervello.
Attraggono le tenebre, vero?
Per poco non mi venne un infarto. Mi voltai talmente velocemente che mi feci male al collo.
Eccola lì, al lato dell'imponente chiesa che dava sulla piazza, la donna di prima. E mi aveva parlato nella mente. O così credevo.
Lei sorrise e mi fece cenno di avvicinarmi con la mano. Senza pensarci due volte, misi due dita in bocca, fischiai più forte che potei, e mi voltai verso gli altri semidei che ora mi guardavano allarmati.
«Devo andare. Se succede qualcosa chiamatemi.»
Scavalcai la ringhiera e mi buttai di sotto. Poco dopo mi ritrovai sulla groppa di Layla.
Sapevo che non si allontanava mai troppo dalla nave, era sempre a portata di orecchio. Presi in mano le redini e mi voltai un'ultima volta verso i ragazzi che ancora mi fissavano scioccati.
«Dite a Nico che mi dispiace, ma è di vitale importanza »
Non sapevo perché l'avevo detto. Non dovevo giustificare le mie azioni a nessuno, tanto meno a lui.
Fissai la donna che mi stava ancora sorridendo e volai dritta verso di lei. A quel punto lei si voltò e iniziò a correre per le vie e i ponti della città ed io le andai dietro.

Dopo l'ennesimo ponte e l'ennesima svolta la donna si fermò. Ovviamente, in un vicolo cieco, con case talmente alte che i raggi del sole non riuscivano a passare. In poche parole, era un posto da brivido.
Le case erano vecchie e fatiscenti, il bianco delle loro mura (strano, tutte le case che avevo visto erano colorate di giallo, rosso,rosa e altri colori pastello) era ormai più tendente al grigio.
La cosa più assurda? Non avevo paura. L'istinto mi aveva detto di seguire quella donna che mi aveva condotto lì, in un angolino della città di Venezia. Molto probabilmente l'angolino più dimenticato.
Lei mi guardava, ma non sorrideva più. Era seria e mi scrutava come se si aspettasse che facessi qualcosa. Io, d'altro canto, la guardavo con incuriosita, cercando di capire cosa volesse da me.
Alla fine non ressi più. Smontai da cavallo e mi avvicinai di qualche passo a lei.
Chi sei?
Non sapevo bene come comunicare con lei, così decisi di parlarle come lei aveva parlato a me la prima volta.
«Questa qua era casa mia» disse indicando una porta che stava alla sua sinistra.
«Chi sei?» ripetei irritata.
Odiavo quando non rispondevano alle mie domande.
«Poi incontrai mio marito. E mi trasferii a Washington con i miei due figli, per farlo felice. Perché lì, lui poteva proteggerci.»
Qualcosa iniziò a smuoversi nella mia testa. Avevo già visto quella donna da qualche parte. Cercai di capire chi era ma continuava a sfuggirmi il suo ricordo.
«Mio marito era bellissimo e potente. Troppo, forse. A causa della sua potenza io sono morta. Suo fratello mi ha ucciso perché aveva paura dei miei figli. Credeva di aver ucciso anche loro, ma mio marito era anche astuto. Li nascose in luogo senza tempo»
Mi mancò il fiato. Avevo finalmente riconosciuto la storia. E di conseguenza lei. L'avevo vista nei ricordi di qualcuno.
«Lei è la madre di Nico.»
«Cara, cosa ti hanno detto di mio marito?» il suo tono era dolce ma fermo.
Non sapevo se rispondere o no. Non avevo motivo di avere paura, anche se lei era uno spirito sembrava non volesse farmi del male.
«Mi hanno detto che era pericoloso per me» sottolineai le ultime due parole cercando di alleggerire tutto ciò che avevo sentito sul signore dell'oltretomba, quando ero piccola.
La donna mi guardò senza battere ciglia. Aspettava che continuassi.
«Io.. Ho un'anima forte, ma non abbastanza per tutti i poteri degli Olimpi. Quando mi trovarono decisero quali fossero i poteri migliori che potevo "immagazzinare" e Ade ebbe poca voce in capitolo.» feci un respiro profondo e continuai «mi hanno sempre detto di stargli alla larga, perché solo i suoi poteri potevano uccidermi senza subire contraccolpi. »
«Eppure ti sei innamorata di un figlio di Ade»
Le sue parole mi scossero dentro. Il cuore iniziò ad accelerare i battiti talmente velocemente che mi fece male il petto.
«Non sono innamorata di Nico» sussurrai senza convinzione.
La donna sorrise dolcemente e mi accarezzò il viso. O almeno ci provò, perché non appena avvicinò la mano alla mia guancia la sua figura tremolò.
La guardai quasi aspettandomi che svanisse, ma non se ne andò.
«Cara, sai perché sei qui? Quale è il tuo compito in questa missione?»
Un brivido freddo mi percorse la schiena. Era la domanda che mi ero posta innumerevoli volte, da quando avevamo lasciato Roma. L'unica risposta che mi veniva sempre in mente era che quello era il mio destino. Dovevo portare i semidei da Gea, che lo volessi o meno.
Rimasi in silenzio, continuando a fissare lo spirito negli occhi vacui, tipico dei morti, ma avevo l'impressione che lei potesse capire ciò che sentivo.
Dopo qualche secondo fece un cenno verso la porta della sua vecchia casa, che si aprì con un click della serratura. Entrò dentro senza voltarsi per accettarsi che la seguissi, sapendo che l'avrei fatto comunque. Quando entrai la prima cosa che mi colpì fu la polvere. Ce n'era talmente tanta che mi irritò gli occhi. Seguii la donna al tavolo della cucina e mi fece cenno di sedermi.
Continuavo a non avere paura, ma ora ero nervosa e confusa più che mai. Non capivo cosa questa donna volesse da me. Ma avevo la sensazione che lo avrei scoperto presto.
Anche lei si sedette, di fronte a me, e mi guardò sorridendo, solo che il suo sorriso non si estendeva più agli occhi, che ora erano colmi di preoccupazione e di una millenaria tristezza.
Quando parlò, la sua voce mi risuonò anche nella testa.
«Io sono lo spirito che abita in questa casa. La mia anima è appartenuta al corpo di Maria Di Angelo. Ti ho invitata qui dentro perché dobbiamo parlare di te e delle tue scelte

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