Anno 3 - Parte VI

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Samson Foster era stato sempre un uomo molto deciso.

Era nato in America, dove football, basket e baseball erano istituzioni.

Era cresciuto con la mazza tra le sue mani, legno liscio e lucido che forzava nelle sue braccia di bambino e che faceva fatica anche a sollevare. Ricordava guantoni di cuoio che stringevano la palla piccola e grande al tempo stesso, con le cuciture spesse e la presenza ingombrante. Aveva parastinchi e berretti a proteggere gambe e testa ed aveva imparato a correre come se ne dipendesse della sua vita.

Se chiudeva gli occhi sentiva ancora l'odore dolciastro dell'erba strappata ad ogni scivolata, quello terroso e stagnante del fango che ricopriva ogni cosa, quello zuccherino della frutta che erano costretti a mangiare dopo ogni allenamento. Sentiva le risate dei suoi compagni, le feste nel diner più vicino a base di frullati e pizza spessa e untuosa, i rimproveri del coach, il tifo di suo padre.

Era felice. Era piccolo, un ragazzino appena, ma già viveva per gli applausi, per i ringhi degli avversari, per gli insulti arrabbiati e per le pacche di incoraggiamento. All'età di 8 anni, la sua camera era tappezzata di poster dei grandi del baseball, due medaglie di latta di cui era particolarmente orgoglioso, una palla firmata che faceva bella mostra di sé sulla sua scrivania.

Sarebbe stata solo fortuna riuscire a farlo interessare ad un altro sport. O talento puro.

Vedere giocare Karch Kiraly nei Giochi olimpici di Los Angeles gli cambiò la vita.

Non erano stati i salti, le battute, le schiacciate, qualcosa di scenografico e scintillante per cui un pagano come lui avrebbe potuto essere abbagliato. Erano le ricezioni.

Era il modo in cui si tuffava, impostava le mani, prevedeva. Era un animale affamato e non aveva paura di farlo vedere.

"Tutto ciò che oltrepassa la rete si può prendere ..." Era stato Kiraly stesso a dirlo, non sapeva se in un intervista o dove, non ricordava nemmeno quando. Ma, cazzo, era un gran bella presa di posizione.

Si appassionò alla pallavolo. Giocò nella squadra della scuola, in quella delle superiori, venne reclutato in un college di tutto rispetto con una borsa di studio sportiva. Ed in tutti quegli anni prendeva forma dalle azioni dei suoi idoli.

Vide la sua ispirazione ritirarsi nel '92 per puntare al beach volley. Lo seguì anche lì. Riconobbe i grandi di oltreoceano, come Lorenzo Bernardi e Gilberto de Godoy. Vide sfondare personaggi che credeva di nicchia, comete diventare meteore, crescere ed entrare nell'Olimpo dèi come Kaziyski, vide tutto.

Passare da giocatore ad allenatore, una volta terminata la sua carriera sportiva, era stato naturale come respirare.

Fu colpa di un infortunio, sfortunatamente. Un atterraggio sbagliato che mandò in frantumi un ginocchio già malridotto e tenuto costantemente sotto controllo. Avrebbe preferito l'anzianità, doveva essere sincero, ma dopo un primo momento di sconforto, grazie anche al carattere d'acciaio di sua moglie Ruth, riuscì a risollevarsi e a puntare a visionare da dietro le quinte.

Era sempre stato bravo nell'adattare schemi di attacco e tattiche, era una parte di lui. Giocare al burattinaio aveva spiegato le sue ali.

Il Giappone non era preventivato, ma fu un cambiamento accettato con facilità. Iniziò con divisioni più basse, fino ad arrivare all'età di quarantatré anni ad allenare la MSBY Black Jackals.

Sciacalli. Predatori, territoriali, capaci di adattamento. Necrofagi. Mammiferi monogami che possono riunirsi in piccoli branchi di pochissimi elementi. Pericolosi da soli. Letali in gruppo.

Golden AgeWhere stories live. Discover now