Capitolo 2: Accordi.

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Giorno 2: Ariadne

Con la mano tremante mi asciugai l'ennesima lacrima, che rotoló lungo la mia guancia. Mi sfregai gli occhi fino a farli arrossare, fino a farli bruciare. Tirai su col naso, abbastanza rumorosamente da pregare che John non mi avesse sentito. Mi tirai su dal letto e mi misi a sedere in posizione eretta, presi il mio cellulare e controllai l'ora, come avevo fatto poco prima. Segnava le sette, ero quindi sveglia da un'ora. Mi passai la mano fresca sulla fronte calda e matida di sudore, per alleviare il senso di oppressione che mi stava attanagliando il cuore. Mi passai una mano anche sulla pancia e sentii quello sconvolgente calore che emanava da quando c'era il mio bimbo o la mia bimba. Sorrisi ma subito il sorriso scomparve. Sapere di dover affrontare tutto quello da sola mi faceva sentire abbandonata. Nessuno era disposto ad aiutarmi. Lui mi avrebbe ospitato ma non avrebbe fatto parte della vita del bimbo e questo mi fece scendere altre lacrime, ma non gliene avrei fatto una colpa, sarebbe stato ingiusto da parte mia. Tirai su col naso per l'ennesima volta, promettendomi di non doverlo più fare. Basta lacrime, basta rimpianti. Non avrei più dovuto rimuginare sul passato ma pensare al futuro e al mio bimbo. Scostai le coperte nello stesso momento in cui sentii la porta della camera di John sbattere. Quindi era già sveglio, bene, almeno avremmo avuto più tempo per chiarirci. Scesi dal letto e mi specchiai. I miei capelli erano legati disordinatamente in una treccia a spina di pesce, che ieri mi ero dimenticata di sciogliere, e il mio viso era sconvolto dalle lacrime appena versate. Indossavo dei pantaloncini rossi da basket che mi arrivavano alle ginocchia e una maglia bianca un pó troppo abbondante, che copriva il mio lieve pancino, il tutto come pigiama. Ieri sera mi ero tolta le lenti a contatto e, avendo finito la scatola, sarei stata costretta a mettere gli occhiali in quei giorni, se volevo evitare di andare a sbattere contro qualcuno o, peggio, contro a qualcosa. Li cercai nel borsone e, una volta trovati, li indossai. Erano molto semplici, neri con una montatura piccola. Mi guardai ancora per qualche minuto allo specchio e poi decisi di uscire. Lasciai il cellulare sul comodino e mi diressi verso la porta, appoggiai una mano sulla maniglia e la sua freddezza penetrò nelle mie ossa, paralizzandomi. E se lui non avesse avuto voglia di parlarmi? O di vedermi? O...o di vedere la mia pancia? Abbassai il viso e la osservai. Mi ricordavo di come l'aveva guardata la scorsa notte.

Flashback
"Lo terrai?" Io alzai un sopracciglio per fargli intendere che non avevo capito, quando invece avevo capito benissimo. Volevo sentirglielo dire."Il bambino" Abbassai lo sguardo e arrossii. Mi portai distrattamente una mano sul ventre, per proteggerlo dal suo sguardo che lo scrutava. Gli faceva così schifo? "Si, lo terrò, ma non dovrai per forza far parte della sua vita, probabilmente non lo volevi, almeno non con me e non ora, tranquillo, non te ne farò una colpa" Detto questo mi diressi verso la porta, facendogli intendere che volevo chiuderla. Volevo stare da sola e finalmente sfogare le lacrime che avevo tenuto chiuse
fino a quel momento. Prima di chiuderla definitivamente mi affacciai. "Notte" Lui mi guardò, mi diede la buona notte e poi chiusi la porta e mi lasciai andare a un pianto liberatorio.
Fine flashback

Senti una timida lacrima solcare la mia guancia ma subito la asciugai, basta lacrime. Piegai la maniglia e aprì la porta. Non mi importava se avrebbe notato i miei occhi rossi, o le mie guance rosse, erano fatti miei e, come avevo già detto, non mi importava. Uscì dalla stanza e mi richiusi la porta alle spalle, senza far rumore. Mi diressi verso la sala-cucina e notai che il bagno era chiuso mentre la camera di John aperta. Percorsi il corridoio e arrivai a destinazione. Le luci erano spente ma dalle finestre entrava un pó di luce. Cercai l'interruttore e lo trovai di fianco allo stipite della porta che divideva la sala-cucina dal resto della casa. Lo cliccai e la stanza si illuminó. Tutto era come la sera prima. Andai verso la cucina e mi sedetti su una delle sedie che c'erano intorno al tavolo a penisola. Rimasi, così, ferma per cinque minuti, facendo tamburellare le unghie sul ripiano. A un certo punto sentii un gorgoglio da parte della mia pancia, qualcuno aveva fame. Sorrisi. Il mio piccolo era pronto per essere sfamato. "Dovresti mangiare". A quella voce sussultai e il mio corpo si irrigidì. Mi girai dalla sua parte e abbassai lo sguardo, sistemandomi gli occhiali. "Porti gli occhiali" Non era una domanda, era una constatazione. Alzai lo sguardo e lo guardai: era appoggiato allo stipite e anche lui portava gli occhiali. Avevano una montatura un pó più grossa della mia ed erano bianchi. Anche con gli occhiali era bellissimo. Era alto e asciutto e il suo fisico era tonico e muscoloso, frutto di interminabili esercizi. Il suo viso aveva dei lineamenti marcati e un naso importante, delle labbra carnose ma non troppo grandi, il tutto contornato da capelli neri rasati di fianco e con in mezzo il ciuffo, come andavano di moda ora. E, particolare, portava un pearcing al setto nasale e un dilatatore nell'orecchio sinistro. Lo osservai per interminabili secondi fino a quando un colpo di tosse imbarazzato mi fece distogliere lo sguardo e arrossire. "S-scusa....n-non volevo fissarti" Una risata roca mi fece alzare il viso. Lo vidi sorridere e scuotere la testa, probabilmente stava pensando a quanto fossi stupida e disperata. Una piccola lacrima scese lungo la mia guancia e la sua risata si spense, facendo cadere un silenzio tombale sulla stanza. Alzai lo sguardo, mi asciugai la lacrima e sorrisi, scuotendo la testa. "Hai ragione, dovrei mangiare" Lui annuì e si staccò dallo stipite, venendo in cucina, dove mi trovavo io e aprì un'anta con dentro prevalentemente cibi per la colazione. "Cosa vorresti per colazione?" Arrossí. "Se mi dici dove sono le cose per la colazione posso fare da sola" Lui si girò e mi guardò, scuotendo la testa. "Davvero, io posso far...." Il suo sguardo penetrante e scuro mi fece bloccare e richiudere la bocca, come scottata. "Allora, cosa vuoi?" Il suo tono era duro e leggermente aspro, mi chiesi come mai avesse cambiato atteggiamento così in fretta e, se era stata colpa mia, cosa avessi fatto di sbagliato. "Di solito prendo cappuccino e brioches, ma se non va bene...." Non feci in tempo a finire la frase che mi interruppe, di nuovo. "No, va bene" annuii e rimasi in silenzio. La mia attenzione venne richiamata dopo qualche minuto, quando una tazza fumante e una brioches davvero allettante apparirono davanti a me. "Grazie, davvero" Lui annuì e poi parló. "Dobbiamo parlare" Sospirai, lo sapevo. "Si" Venne a sedersi vicino a me, con una tazzina di caffè. "Dormito bene?" Ridacchiai, non faceva sul serio. "Se devi buttarmi fuori dillo subito" "Nessuno a mai parlato di buttarti fiori, non pensare subito male, se no non ti avrei ospitata ieri." Abbassai lo sguardo, vergognandomi profondamente per aver dubitato di lui, in fondo aveva ragione, non mi avrebbe ospitato solo per buttarmi fuori il giorno dopo. "Scusami, è stato cattivo da parte mia" Lui agito la mano lasciandomi intendere di lasciar perdere. "Allora, io vivo da solo, prima vivevo con mia sorella ma poi lei se n'è andata, quindi sono solo con una camera in più, che potresti usufruire tu." Alzai di scatto gli occhi, incontrando i suoi penetranti marroni. Davvero si stava offrendo di ospitarmi? Lui lesse la domanda attraverso i miei occhi e annui, confermando quello che aveva appena detto. "Puoi stare qui quanto vuoi, a patto che, per quando nascerà il bambino- e indicó il mio ventre, quasi schifato- tu sarai fuori di qua." Quelle parole furono come una pugnalata, una pugnalata che fece più male di mille parole. Quelle parole mi fecero mancare il fiato, ma non importava cosa mi facesse male, dovevo pensare al mio bambino e alla sua salute e, se il prezzo da pagare era il suo disprezzo, avrei sopportato tutto in silenzio. Pensavo, però, fosse una persona migliore di così. Abbassai lo sguardo, annuendo, non volevo fargli vedere quanto male io stessi. "La casa l'hai già vista, adesso ti mostro dove puoi trovare cibi vari. Però devi alzare lo sguardo" Tirai su col naso e lo osservai. Mi osservó e vidi i suoi occhi velarsi di rimorso. Scosse la testa e mi indicó i vari mobiletti della cucina, dicendomi cosa potevo trovarci dentro. Mi spiegó come usare i fornelli a induzione e come usare la macchinetta per il caffè. Mi mostró dove trovare le varie cose anche nel bagno e mi mostró il piccolo sgabuzzino che la notte prima non avevo notato. Passarono così due ore. Alla fine del piccolo 'tour' ci ritrovammo di nuovo in cucina. "Allora, capito tutto? Se avessi bisogno di me non esitare a chiamarmi, anche al lavoro." Annuí, come avevo fatto nelle ultime due ore. "Parlami" Inghiottí, non potevo tirarmi indietro. "Quanto dovrò pagarti?" "Non mi devi pagare nulla, le spese sono abbastanza alte e tu in questo momento hai altro a cui pensare" Scossi la testa. Avrei pagato la mia parte. "Non mi sembra giusto, voglio pagare la mia parte" "No" Sbuffai. "Si" Ora toccò a lui sbuffare. "Va bene, va bene, lascia a fine mese quello che intendi pagare, al resto penserò io, o questo o niente" Stanca di discutere, annuì. "Ora vorrei andare a riposare un pó, ti prego di svegliarmi a mezzogiorno, così potrò uscire e incominciare a cercarmi un lavoro" "Consideralo già fatto" Lo ringraziai e me ne tornai in camera, mi buttai sul letto e il sonno mi rubò alla realtà.

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