Capitolo IX

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Atsumu aprì le palpebre con forza, sentendole pesanti e appiccicose. Aveva le ciglia praticamente incollate tra di loro, lo sguardo annebbiato e si trovava mezzo storto nel suo letto a muovere secco i fianchi, strofinandosi agitato sul materasso con scatti incoerenti e sicuramente facendo uno schifo generale su tutta la biancheria. Quando se ne accorse si costrinse a smettere, bloccandosi per pura forza di volontà con un lamento appena trattenuto tra i denti. L'erezione palpitante nei pantaloni del pigiama non ne era affatto contenta.

Era un sogno, ragionò con respiro veloce, constatando che non era in una cazzo di vasca infinita, che le lenzuola attorcigliate tra le gambe lo facevano sentire legato e che, cosa più importante di tutte, era solo.

Era un fottutissimo sogno. E si stava masturbando contro il materasso mentre era ancora addormentato.

Dio, pensò addolorato, era il liceo tutto daccapo. Almeno non c'era Osamu nel letto sotto di lui, stavolta.

Si girò a pancia in su, passandosi una mano sul viso con pressione decisa per togliere le ragnatele di sonno dal cervello e dagli occhi, cercando di mettere insieme la situazione con quanta più lucidità possibile.

Aveva sognato Omi.

Non era la prima volta che sognava Omi, da Hiroshima praticamente era appuntamento fisso almeno una volta alla settimana. Aveva sognato di fargli una sega e poi di farla a entrambi. E questo poteva essere un tema comune, in effetti. Ma stavolta era un po' diverso, c'erano state delle cose che non ricordava bene, cose confuse, cose che si allontanavano dal semplice sogno bagnato lasciandolo smanioso e vulnerabile.

Inoltre non era venuto, si era svegliato sul momento finale. E quello gli faceva girare le scatole non poco.

Storse il naso con fare contrariato. Omi era un rompicoglioni pure nei sogni.

Era stato eccitante. Era ancora eccitante, se ci ripensava bene, gli ultimi sprazzi di memoria che stavano lentamente sbiadendo. Si sentì contrarre e sì, era una conferma.

Si girò e prese il cellulare dal comodino, andando a selezionare un contatto specifico. Avviò la chiamata ed attese.

Uno squillo. Due squilli. Tre squilli. Al nono squillo, la linea cadde con un BIP derisorio. Atsumu ci riprovò, imperterrito. Ci vollero solo altri quattro tentativi affinché la voce più arrabbiata e meno convincente dell'intero universo rispondesse alla sua chiamata.

"Se mi stai facendo uno scherzo telefonico sarò costretto ad ucciderti. E mi daranno tutti ragione." Brontolò Omi-kun, la voce talmente impastata di sonno che solo l'abitudine gli consentì di capirlo. Sorrise.

"Buongiorno Omi!" Cinguettò rauco. "Sei stanco? Perché hai camminato nei miei sogni per tutta la notte." E ridacchiò, perché era divertentissimo.

Sentì un'imprecazione contro la sua squisita persona bella chiara. "Miya, sono le tre e mezza. Non è nemmeno mattina. Perché chiami la gente alle tre e mezza?"

"Le tre e mezza sono mattina. E poi mi hai risposto!"

"Sono le tre e mezza, cazzo, pensavo ti avessero investito e buttato il tuo corpo schifoso in un burrone."

"E chiamerebbero te?

"Alle tre e mezza solo ospedali, polizia e serial killer chiamano le persone che dormono." Omi era spassoso quando veniva svegliato nel bel mezzo della fase REM, doveva ammetterlo. "Rapido. Cosa vuoi?"

"Te l'ho detto, ti ho sognato. Sei contento?" Omi riattaccò.

Atsumu si rimise al telefono, sentendolo squillare per circa altre venti volte prima che Omi si degnasse di rispondere di nuovo dando sfoggio di tutta la sua piacevolezza naturale. "Mi spieghi che problema hai?" Ringhiò e stavolta lo sentì un po' più sveglio.

TheoremWhere stories live. Discover now