Capitolo 9 - Un puzzle che prende forma

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"Ognuno di noi è una luna: ha un lato oscuro che non mostra mai a nessuno."

-Mark Twain

«Vuoi sapere l'ultima?» La donna di mezz'età si girò verso la coetanea, seduta nel posto a fianco.
«Fammi indovinare... tuo marito ha di nuovo scritto a qualche liceale?»
«Non stavolta! Guarda che anello mi ha preso!» E gioendo la signora alzò una mano, mostrando un gioiello dal diamante a dir poco sfarzoso.
"Marito" pensò Vanessa, senza accorgersi di aver smesso di respirare. Le sarebbe piaciuto molto sposarsi con Alan, magari costruire insieme una famiglia. Si chiese come stesse, se pensasse a lei. Ben presto sentì un nodo stringerle la gola, così finì di sistemare i bigodini di quelle due, cercando di distrarsi e di concentrarsi esclusivamente sul suo lavoro.
«Ti vedo sciupata cara, va tutto bene?»
Vanessa si pietrificò, guardandosi nello specchio. Aveva un'aria terribile, come se da giorni non dormisse bene, non si era neanche pettinata a dovere.
Le due clienti rimasero in silenzio, aspettando una risposta, sperando che fosse positiva, perché in realtà a loro non importava per davvero. Erano lì solo per spettegolare e farsi i capelli.
«Certo.» Affermò con un piccolo sorriso. «Torno subito.» Si recò in bagno, lo chiuse a chiave e si mise con la schiena contro il muro. Si portò le mani al volto, sentendo la freschezza delle lacrime iniziare a infastidirla.
Da sola e in silenzio, rimase lì a piangere per un po', domandandosi per quanto ancora sarebbe riuscita a resistere.

«Quindi non sono pazzo, visto che sei qui.» Disse Alan. I due si erano seduti su una panchina rovinata dal tempo, mentre una lieve brezza li carezzava entrambi come una madre amorevole farebbe con i figli.
Il bambino scosse la testa.
«Ti hanno spiegato le cose solo in parte.» Di nuovo, la voce di Tim si proiettò nella mente dell'altro.
«Che intendi dire?»
«Non posso darti delle risposte adesso, devo andare.» Tim si alzò dalla panchina e Alan fece lo stesso.
«Come sarebbe che devi andare? Non mi hai detto nulla che già non sapessi.» Il giornalista aprì le braccia, rimanendo a guardare il ragazzino.
«I bambini qui non sono mai durati molto, Alan. Non è solo per la nostra salute ma è anche perché questa città è piccola, non possono permetterci di diventare troppi.»
In quel momento Alan comprese che Tim stava già rischiando troppo, se lo avessero visto con lui e fossero riusciti a prenderlo, non sarebbe finita bene per niente.
«Prometto che poco a poco ti dirò tutto quello che devi sapere. Vai alla casa di fronte alla biblioteca.»
Prima che potesse dire qualcos'altro al piccolo, una voce conosciuta lo colse alla sprovvista facendolo trasalire e voltare: «Alan!» Lo chiamò Monroe, raggiungendolo in pochi giri di ruota.
Alan si voltò di nuovo alla ricerca del bambino, il quale come per magia, era svanito.

«Ho saputo che hai fatto amicizia con Hanna e Lou» continuò Monroe, accennando un sorriso.
Alan sorrise leggermente a sua volta. «Amicizia è un parolone, ma sono stati molto gentili.»
Il ragazzo si sistemò gli occhiali da un lato, guardando poi in un punto indefinito, verso gli edifici presenti.
«Monroe, c'è qualcosa che non mi hai ancora detto? Sulle vostre regole, su questo posto.»
L'uomo rimase interdetto qualche istante, infine sospirò, abbassando lo sguardo.
«Ricordi le parole della guardia che ti ha affidato a me? Meno domande possibili.»
Alan tornò a osservarlo.
«Nemmeno Nigel ha speso troppe parole a riguardo, e lui non aveva paura, non più.»
«Che stai insinuando?»
«Il motel in cui dormo, perché ne avete uno?»
«Mistfall non è sempre stata una prigione, Nigel non te lo ha detto?»
Alan a quel punto si ammutolì. Nigel glielo aveva detto eccome. Come aveva fatto a dimenticarsene?
Monroe buttò la testa indietro.
«È colpa della nebbia, così crediamo. Qualche volta, fa dimenticare delle cose. Nigel ti ha detto solo ciò che ricordava, per questo ti è sembrato sbrigativo.»
Il cuore di Alan sembrò fermarsi per pochi istanti.
«Quindi mi dimenticherò tutto...?»
«No, tutto non direi. Ti consiglio di stare al chiuso la maggior parte del tempo, e magari di trovare un modo per ricordare.»

Alan bussò alla casa nominata da Timothy. Quando la porta si spalancò, il ragazzo rimase immobile e stupito. Una bellissima ragazza dai lunghi capelli biondi e un comodo vestito era l'ultima cosa che si sarebbe aspettato di trovare dietro quella soglia, in quella città. Aveva la pelle del colore della luna e una benda nera a coprirle gli occhi.
«Scusi, devo... devo aver sbagliato. Tim mi ha detto di venire qui.»
«È nel posto giusto, invece.» Ammise lei con un piccolo sorriso. Fece entrare il ragazzo e chiuse a chiave la porta.
Alan rimase a osservare l'interno della dimora. Era ben tenuta, con un arredamento da modesta villetta di periferia, in parte somigliava molto a quella di Nigel.
«Sono Alan.»
La bionda spostò il tappeto al centro della sala, si muoveva come se vedesse benissimo nonostante la benda.
«So chi è lei, non ci vedo ma ci sento bene, le notizie viaggiano in fretta, specialmente nei posti così piccoli.»
«Puoi darmi del tu, se preferisci.»
La ragazza alzò un asse del pavimento e ne tirò fuori qualcosa. «Io sono Eir.»
«Eir?» Alan non aveva mai sentito nome più bizzarro.
Lei si rialzò rimettendo a posto l'asse e il tappeto, andandogli incontro.
«Ai miei piaceva la mitologia nordica. Non c'è mai stato molto da fare a parte leggere, qui.» Porse ad Alan ciò che aveva recuperato, un panno contenente un oggetto solido, di forma rettangolare.
«Tim pensa che ci aiuterai tutti quanti, vuole che tu abbia questo mentre aspetti le risposte che cerchi. Fai attenzione, nascondila bene. Non devo ricordarti cosa succederebbe se la trovassero.» Il camino scoppiettò appena.
«Grazie.» Mormorò il ragazzo, osservandola.

Quando il giornalista tornò nel motel, in camera sua, chiuse le tende e posò quanto gli era stato donato sul letto: una macchina fotografica, più precisamente, una vecchia reflex TLR. Doveva essere circa degli anni '30 o '40. Prima di allora, ne aveva vista una solo da suo padre, l'aveva osservato adoperarla e per questo sperò che non ci avrebbe messo troppo a capirne il funzionamento. In un modo o nell'altro, capì quanto gli sarebbe tornata utile.
Prima di addormentarsi si chiese quale fosse la malformazione di Eir, cosa la spingesse a coprirsi gli occhi con una benda e se davvero potesse intaccare la sua bellezza. Si domandò anche se l'avrebbe mai scoperto, finché non sprofondò nel mondo dei sogni.

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⏰ Last updated: May 24, 2021 ⏰

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