GRACE

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Ho sempre pensato a come se ne sarebbero andati un giorno, a come i miei genitori mi avrebbero lasciata una volta diventata grande, poi mi ricordo che io dei genitori non ce li ho e non li avrei mai più avuti.

<<Grace! Muoviti siamo in ritardo>>

<<No dai, altri cinque minuti Simon>>

<<Scema lo sai che mia madre sospetta qualcosa ultimamente, a breve arriverà e ti troverà qui, chiamerà gli assistenti sociali e ...>>, scatto in piedi, quella donna incute terrore e l'idea di trovarmela davanti, mi fa passare la voglia di dormire .

Simon è il mio migliore amico da quando giocavamo ancora con le macchinine, sì così siamo diventati amici; le bambole non mi facevano impazzire e la macchinina rossa di Simon quel giorno, dentro l'asilo nido di Savannah, attirò la mia attenzione.

Avevo 15 anni quando i miei genitori mi lasciarono, lui mi aiutò, chiese a sua madre di ospitarmi da loro, ma al contrario di quello che entrambi speravamo lei non fu d'accordo, mi chiedo spesso, come faccia una donna così crudele, ad aver partorito un ragazzo così buono e umile; Nonostante questo, il problema principale che ho con la madre di Simon è il suo amore per gli assistenti sociali, infatti se lei mi vedesse in casa sua, probabilmente la prima cosa che farà sarà chiamare loro, così da mettermi in una marea di guai.

Sono anni che mi cercano, ed è troppo tempo che la mia vita non è la stessa: vivo nella soffitta del mio migliore amico da un po' ormai, devo uscire camuffata, perché nel mio quartiere, o meglio, quello che era il mio quartiere e che oggi posso considerare quello di Simon, tutti mi conoscono, tutti sanno la mia storia; non vado a scuola, ma come dice Simon, la mia intelligenza fa invidia a qualsiasi libro scolastico, non ne sono così sicura, ma non mi sento stupida o poco colta, con qualche soldo messo da parte riesco a prendere dei libri di lettura e questo spiega il mio linguaggio quasi sempre adeguato, nonostante le mie condizioni, mi piacerebbe tornare a scuola come una volta, ma ormai più niente è come una volta, escluso questo testone, a cui devo tutta la mia vita.

<<Mangia qualcosa G.>> così mi chiama da quando sono piccola, <<No Simon, te l'ho detto non ho fame>>, <<G. guardami>> incastro i miei occhi di ghiaccio nei suoi grandi occhioni color nocciola, mi prende le mani, distolgo lo sguardo, capendo dove vuole andare a parare, ma lui lo riporta dov'era.

<<Perché non mangi Grace, sei perfetta, smettila con le tue stupide paranoie>> già, la mia più grande insicurezza, il mio corpo.

E' molto cambiato, a differenza dell'altezza che rimane quella di 155 cm, da quando ho l'età di 14 anni, sono consapevole di aver perso molto peso nell'ultimo periodo, anche se non uso la bilancia da un po', il mio corpo riesco a controllarlo dalla grande vetrata della soffitta di Simon, che alle 6 del mattino, con i raggi del sole, diventa quasi trasparente, studio il mio riflesso e lo odio ogni giorno di più, ma mi ostino a guardare, sperando un giorno di rimanere soddisfatta da ciò che vedo.

<<Non ho voglia di parlarne Simon, lo sai>> <<E poi siamo in ritardo, a scuola si entra alle 8 e sono le 7:32, oh merda, mi devo muovere!>> mi precipito nel bagno, ma la faccia di Simon non mi permette di farlo, è preoccupato, piego la testa di lato e gli sorrido, mi risponde con un accenno di sorriso, ed io entro nel bagno per sistemare il disastro che avviene sui miei capelli mossi, ogni santa mattina.

Questa mattina ho una sensazione strana, non mi sbaglio mai, il mio stomaco non si sbagliava mai, e oggi qualcosa non va; ora siamo davanti alla scuola di Simon, però mezz'ora prima rispetto all'orario previsto per l'entrata, poiché io devo prendere dei libri in biblioteca, ma senza farmi vedere da nessuno degli alunni di questa scuola, che un tempo era anche la mia; entriamo in classe e vado a salutare la seconda persona a cui devo tanto, la mia professoressa di lettere, era anche la mia maestra delle elementari e da quel che ricordo era la mia preferita, ora capisco il perché: sa della mia situazione, ma non mi ha mai giudicata, anzi più volte si è offerta di ospitarmi, sapendo i problemi mentali della madre del mio migliore amico, ma io ho rifiutato tutte le volte, non volendo occupare la casa in cui anche i suoi figli e suo marito vivono, ed è lei che mi ha passato l'amore per i libri; sono a conoscenza di quanto lei mi voglia bene, e gliene sono grata, ormai lei è un punto di riferimento.

Stephanie così si chiama, ma nonostante la profonda confidenza, continuo a darle del lei; è grazie a lei se posso accompagnare Simon a scuola, prendere in prestito qualche libro dalla biblioteca e scappare via. Simon non vuole lasciarmi a casa sua da sola perché sa che non riesco a non fare rumore e per paura che la madre lo cacci fuori di casa, preferisce farmi uscire tutto il giorno, a patto che io rimanga in una precisa area della città, dove le macchine non possono passare e di conseguenza, abbiamo escluso che gli assistenti sociali possono cercare qui, non sono persone ragionevoli come ci si aspetta e pur di non scendere dalla macchina, alla fine non mi trovano. Sono due vecchi che cercano di incastrare i bambini che scappano dalle loro grinfie e alla fine li affidano alla prima famiglia che capita, per questo non li ho mai presi sul serio.

A breve sarebbe suonata la campanella e io non devo essere qui, corro in biblioteca, prendo al volo un libro che stavo puntando da un pò'

"Mondo senza fine" di Ken Follett ed esco dalla porta sul retro; ho fame, ma decido che in questo momento può andare bene dell'acqua, la uso spesso per riempire lo stomaco e non mangiare. Torno nel supermarket dove ero stata qualche giorno prima, sono già irriconoscibile: ho un cappello bianco e degli occhiali, ma questa volta è più naturale come abbigliamento e darò meno nell'occhio, poiché fuori c'è il sole, ma siamo in pieno gennaio. Prendo una bottiglietta d'acqua, la pago e quando mi giro verso l'uscita dalla vetrata del supermercato, scorgo un signore vestito di nero, che mi osserva, ma non è un assistente sociale: da quello che vedo sembra molto in forma, ma non ci faccio caso.

Non ho mai saputo niente della loro sepoltura, ma quando mi diedero la notizia ero a scuola, Simon era il mio vicino di banco quel mese, la bidella sussurrò qualcosa all'orecchio della mia professoressa e lei mi chiamò fuori e mi disse tutto, il mondo in quei dieci minuti, con cui erano stati sminuiti i miei genitori, mi crollò addosso e ancora oggi non posso dire di essermi rialzata del tutto, ma il non sapere molto sulla loro morte, in qualche modo mi fece smettere di pensare.

Ho provato a cercare qualcosa in casa, che potesse dirmi in che modo i miei genitori mi avevano lasciato, ma la verità è che quella mattina ero andata a scuola da sola e quando chiusi la porta pensavo che stessero ancora dormendo, ma dopo la loro morte tornai a casa per prendere le mie cose, il loro letto matrimoniale era fatto, la cabina armadio di mia madre era vuota, qualcosa non mi tornava:

Avevano dormito lì quella notte?

Disegno il volto di mia madre, le somiglio molto: aveva la pelle che sembrava porcellana e questo l'ho ereditato da lei, lei aveva gli occhi verdi smeraldo, e i capelli neri e mossi, esattamente come lei, io ho i capelli neri come la pece e non li ho mai tagliati, ma attualmente raggiungono la parte inferiore della mia schiena, a differenza sua ho gli occhi color ghiaccio, non sono azzurri e non so descriverli, ma i complimenti negli ultimi 14 anni sono su questi.

Guardo l'orologio che Simon mi ha regalato e mi accorgo che erano passate 6 ore, che a me sono sembrate due, raccolgo tutto e lo metto nel borsone che incastro in un buco nel muretto, aspetto Simon sulle panchine come d'accordo, sento un rumore dietro di me, ma non vedo nulla, ne sento un altro e mi alzo in piedi per capire cos'è, ma quando qualcuno mi tocca la spalla da dietro, mi giro di scatto, tirando un urlo che ha sentito tutta la Georgia, e quando scopro che quella mano è di Simon uno schiaffo plana sul suo viso,

<<Ahi, sei impazzita per caso!>>

non faccio caso a lui e continuo a guardarmi intorno,

<<Ehi G., ma che ti prende?>>,

sospiro, rendendomi conto del mio comportamento da pazza appena uscita da una casa di ricovero, abbraccio Simon come nostro solito, ma dietro di lui, c'è lo stesso signore che avevo visto al supermercato, Cerco i suoi occhi e quando li trovo, qualcosa di strano sta avvenendo nel mio stomaco, sono grigi e non parlo solo del colore, ma anche quello che leggo dentro e penso che lui se ne sia accorto, perché distoglie subito lo sguardo. Mi giro quando Simon mi chiama, come un padre arrabbiato, ma quando mi rigiro quella figura nera è già sparita.

𝐬𝐞𝐯𝐞𝐧𝐭𝐲𝐨𝐧𝐞Where stories live. Discover now