5. LIES

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Bugie, bugie, bugie. Cosa non lo era? Qual'era la verità? Difficile da dirsi oggigiorno. Ogni cosa poteva essere messa in dubbio, bisognava farlo per la sicurezza del proprio io. Il lavoro di una spia, in particolare, era quello di capire quando una persona mentiva e non fare gli stessi errori. I movimenti di qualcuno cambiavano quando si diceva una menzogna, diventavano più agitati, era un impulso che non si poteva controllare; gli occhi si chiudevano per due o tre secondi quando si mentiva, il contatto visivo veniva sempre mantenuto, serviva ad intimidire; la respirazione andava osservata, le spalle diventavano più tese, la voce più superficiale mentre si iniziava ad avere il fiatone per il nervosismo. Andava notata anche l'inclinazione del capo, come si ritraeva quando veniva fatta una domanda al bugiardo; le ripetizioni durante il discorso, la quantità di informazioni che veniva data. Se per le persone lo specchio dell'anima erano gli occhi, per gli agenti segreti erano le labbra, la bocca secca e così tesa da sembrare bianca era sinonimo di bugia, la sicurezza arrivava quando la persona stringeva le labbra in un gesto di suzione.

La prima cosa che si insegnava alle reclute era mentire: essere una spia significava essere il bugiardo perfetto. Lily si ricordava ancora quella lezione, aveva memoria di come non si era fatta problemi nel dire bugie, lei ci era cresciuta. Non gli importava delle emozioni degli altri, a loro non erano mai interessate le sue.

Quello fu lo stesso giorno in cui incontrò Al, in quel momento le si riaccese quel poco di umanità che le era rimasta, quando vide le ciglia dell'ispanico bagnate dalla pioggia e le sue nocche aperte, l'acqua lavava via il sangue dalle mani e quella dannata sigaretta spenta tra le labbra. Stette con lui, in un silenzio vero. Non si mentiva agli sconosciuti. Quel giorno le interessarono le emozioni di qualcuno che non fosse lei.

Ancora oggi l'ispanico si guardava la mano destra, le cicatrici disegnate sopra la pelle olivastra, sbuffava ogni volta che le studiava. Arrivò il suo turno al bancone perciò si avvicinò e scelse la colazione, la signora dietro al bar era sorridente, raggiante, uno spicchio di sole nella notte di Gregorin. Il la luce nel buio non poteva esistere però, il sorriso della donna si spense gradualmente, ma ritornò subito quando si rivolse ad Al.
<<Non ti ho mai visto giovanotto, ti sei appena trasferito?>> il tono era caldo come i raggi che illuminavano quel posto, gli occhi della spia si svegliarono.
<<Uhm no, sono qui in vacanza, ritorno indeterminato>> scherzò alla fine, le sopracciglia sempre corrucciate, l'anziana annuì fiera, come se avesse già capito tutta la vita del riccio. Una volta aver pagato e salutato quella signora allegra, si diresse fuori e girandosi andò a sbattere contro qualcuno che gli fece cadere il caffè sulla giacca. Il suo umore era migliorato con quella barista, sul viso aveva avuto la luce del giorno, ora il buio notturno di nuovo.

L'agente sospirò e chiuse gli occhi, rassegnato, non provò neanche ad alzare lo sguardo, prese il bicchiere dal pavimento e lo lanciò nel secchio. <<Però... bella mira>> constatò Clay- Al lo riconobbe dalla voce squillante- la spia maledisse quel posto.

<<In ogni caso>>, si riscosse il biondo <<Mi dispiace tanto, avevo la testa tra le nuvole e non ho visto dove camminavo- non è assolutamente una scusa, solo per dirti che- ecco sì, insomma->> non ci fu bisogno che il riccio lo interrompesse, il ragazzo lo fece da solo quando si rese conto di star parlando troppo. <<Ewm sto straparlando vero? Non riesco mai a controllarlo e- è che sono molto ansioso, e- non di parlare con te! Dico in generale ho sempre- e lo sto facendo ancora>> si grattò il capo, sotto le gemme marroni sorprese e le sopracciglia inarcate dell'ispanico.

L'agente squadrò Stuart qualche secondo: gli occhi azzurri preoccupati e mortificati erano contrastati dalle guance rosse, sembrava indossasse un effetto, una maschera, era impossibile che un essere vivente fosse così... saturato, in seguito sospirò e sciolse i lineamenti: <<Tranquillo>>, decise di dire, amichevole ma non troppo, e quando vide il tinto aprire bocca, continuò <<Non preoccuparti e non azzardarti a prendermi un altro caffè.>>

Clay inarcò un sopracciglio, l'espressione infantile e rammaricata di prima divenne seria e sorpresa, aprì bocca per obiettare ma il cellulare della spia squillò: era Lily, che gli diceva di ritornare in hotel al più presto. Al ci provò, davvero, tentò di fuggire dal ragazzo ma quello lo seguì dicendo che doveva iniziare il turno, così i due si ritrovarono a camminare lungo la strada accogliente che li avrebbe portati alla loro destinazione.

<<Tu non sei uno che parla molto, vero?>> chiese il biondo, guardando di sbieco l'ispanico, il quale osservava la vita di Flåm scorrere di fronte a lui. La spia non si smosse mentre rispondeva. <<Parlo se necessario.>> Il riccio non aveva intenzione di essere così maleducato ma non poteva affezionarsi e non voleva farlo. Il sesso, in un modo o nell'altro, legava due persone. L'agente non poteva permetterselo, non importava se Clay lo avrebbe odiato. Vivo era meglio di morto.

Il tinto annuì, gli occhi blu dicevano "ho già capito come sei fatto", il riccio continuava a guardare avanti senza dire nulla.
<<Quindi>>, il liscio allungò la parola verso la fine <<Quanti anni hai?>> chiese. L'ispanico si insospettì, assottigliò lo sguardo, ma il viso del ragazzo era pulito da bugie, era solo curioso.
<<Ventisette.>>
Al scoprì che Clay era più piccolo di lui e che veniva da Washington, il minore disse molte altre cose, molte di poca importanza, altre abbastanza interessanti. E non una sola volta la spia si era sognata di interromperlo, la sua voce era come... ipnotizzante. Una volta arrivati in hotel si separarono.

<<Ho avuto una conversazione con Robelyn>> affermò Lily, non appena il suo partner mise piede in camera.
<<Di che tipo? Spaventosa? Illuminante? Inutile?>> domandò ironicamente quest'ultimo.

<<White è stato qui, questo lo sapevamo, ma quello di cui non eravamo a conoscenza è che è sparito qualche giorno prima che noi arrivassimo. Dunque...>> spiegò la ragazza,
<<...poche persone sapevano che dovevamo venire qui... C'è una talpa nella CIA>> dedusse il moro, soddisfacendo Drast.

In seguito le due spie decisero di chiamare il loro capo, per aggiornarlo. Robin sospirò quando venne a sapere che Lockart e Devery erano morti, disse che sarebbero potuti tornare utili. Ipotizzò anche che era molto probabile che le talpe fossero proprio i defunti agenti, aveva senso.
<<Vado a farmi una doccia>> esordì il riccio, una volta chiusa la telefonata. Gregorin, uscito dal bagno, notò con stupore che Lily non era più in camera.

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