Dove siamo?

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Capitolo 7

Italia, base sotterranea Hydra. 1963.
Lei è lì, seduta alla sua scrivania e compila dei fogli. Scrive e si annota tutto quello che è venuto fuori dalla visita che mi ha appena fatto. Ovviamente è tutto perfetto. Segna anche le dosi di iniezioni che mi ha somministrato. Con l'anulare e con eleganza, si tira su gli occhiali leggerissimi che le scendono dal naso. È una donna di all'incirca trent'anni, perfetta. Capelli biondissimi raccolti in uno chignon da cui non spunta neanche un capello fuori posto. Sotto il camice bianco, è vestita con un completo blu (gonna blu lunga fino appena sopra il ginocchio, giacca blu perfettamente stirate e tacchi blu) e una camicia bianca di seta. Perle al collo e all’orecchio. Truccata alla perfezione. Con uno sguardo molto concentrato finisce di compilare i fogli, che richiude poi in una cartellina rossa con una stella nera sopra. Poi mi volge uno sguardo austero e autoritario. Sento dentro di me una sensazione di nausea e di paura, dovuta ai troppi ricordi di dolore fisico e mentale ricollegati a quello sguardo. È una donna che pretende molto. Non sono mai riuscita ad accontentarla. E questo mi ha provocato diverse punizioni.
-Oggi è il diciottesimo anno dalla tua nascita, ESF173. Non pensavamo che saresti arrivata fino a questo punto quando ti abbiamo concepita in vitro. Il dottor Zola era molto positivo riguardo al tuo successo. Io mi sono riservata il beneficio del dubbio fino ad oggi, il giorno della tua prima missione. 172 tentativi falliti, prima di arrivare a te. Alcuni embrioni non si sono sviluppati, altri sono morti feti, altri ancora durante l’infanzia. Alcuni sono nati con malformazioni o handicap, altri sono nati sani ma senza grandi abilità. Abbiamo eliminato ogni traccia di loro, abbiamo cambiato moltissimi donatori di sperma e di ovuli prima di scegliere un’accoppiata vincente e avere te. Ed eccoti qui. Bellissima. Dalle straordinarie capacità. Organismo evoluto e dalle eccezionali abilità rigenerative. Seducente. Il mio ovocita ti ha trasmesso intelligenza fuori dal comune. Lo sperma del Soldato numero 3789, invece, ti ha conferito capacità atletiche superiori. Per ultimo, la manipolazione genetica ha fatto sì che potessimo conferirti bellezza. Sei perfetta sotto ogni punto di vista, ESF173. Esperimento Scientifico Femmina 173… Maria. Se fossi mia figlia ti chiamerei Maria.
-Maria?
-No…- mi dà uno schiaffo e poi mi lancia uno sguardo di disapprovazione-…qui sei ESF173, così hanno deciso quelli a cui appartieni. Ogni volta che farai un missione ti verrà dato un nome e una identità diversa, quello per cui hai studiato tutti questi anni. Quindi in quel momento e in quel luogo sarai quello che loro vorranno che tu sia. È chiaro?
Annuisco. La dottoressa si alza dalla scrivania e va per aprirmi la porta, ma si blocca a metà strada, si gira e con le lacrime che le scendono dagli occhi oltre i suoi occhiali, mi sorride per la prima volta.
-Sono orgogliosa di te, Maria.
Detto questo si rigira, va ad aprire la porta e entrano due uomini col passamontagna nero per prendermi e portarmi nella sala del trucco e travestimento per la mia prima missione.
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Il getto dell’acqua mi accarezza per primi i capelli biondo cenere, poi il collo fino ad arrivare alla schiena e scendere verso lo scarico. Con una mano mi appoggio al muro e lasciò che il getto mi massaggi la testa. Questa doccia è migliore della mia. È di quelle che quando la usi non allaghi tutto il bagno. L’acqua tiepida mi rinfresca dal caldo estivo. Dopo qualche minuto, chiudo il rubinetto, scosto la tendina e noto che sul lavandino c'è un asciugamano pulito e che la porta del bagno è stata chiusa. “Dev’essere stato lui.” Mi lego l’asciugamano al petto e mi guardo allo specchio. Noto che i miei occhi, contornati da aloni neri del trucco di ieri sera colato sotto la doccia, sono ancora verdi: non ho tolto le lenti di Sofia. La parrucca l’ho persa per la strada, ma le lenti sono rimaste incollate all’iride. Levo le lenti e le getto nel wc, poi tiro lo sciacquone, senza pensare al fatto che quel gesto rappresentasse l’uccisione definitiva di Sofia. Mi riguardo allo specchio ed ecco gli occhi neri come la pece del Nulla. Con un lembo dell’asciugamano mi ripulisco dai lividi neri sotto gli occhi. Esco dal bagno e noto Bucky seduto sulla brandina, piegato in avanti a tenersi le mani in mano.
-Non ti piacciono le porte, vero?- mi chiede.
-Non sono abituata a tenerle chiuse.
-Scusami se mi sono permesso. Ho pensato volessi un po’ di intimità.
-Se non avessi visto tutti quei film…- dico aprendomi l’asciugamano e rimanendo nuda davanti a lui -... non conoscerei neanche il significato di quella parola.
Gli getto l’asciugamano addosso. Lui lo afferra e lo poggia sulla brandina. Dopo uno sguardo di sfida, mi rivesto con i pantaloni da cameriera di Sofia e mi rimetto la maglietta di Bucky, dato che la mia non esiste più.
-Il cinema è un buon modo per imparare le convenzioni sociali quando non hai neanche idea della loro esistenza.
Detto questo, mi siedo per terra, poggiando la schiena al muro davanti a lui, che guarda in basso, probabilmente imbarazzato dalla mia nudità di prima.
-Allora, cos’è questo posto?- chiedo, cercando di cambiare discorso.
-Ho incontrato Don Alexander mentre venivo da te. Avevo una moto che era rimasta senza benzina, qui vicino. Per non farmi notare, avevo evitato l’autostrada scegliendo le stradine di campagna. Ho spinto la moto fino a questa chiesa, cercando aiuto. Qualcuno aveva scassinato la serratura del portone ed era entrato. Due uomini sopra il prete cercavano di immobilizzato, armati con pistole e coltelli, mentre una donna stava rubando ostie consacrate dal tabernacolo. Gli ho salvato la vita. E lui mi ha nascosto per qualche giorno, dandomi da mangiare e riempiendo il serbatoio della moto. Quando sono andato via, mi ha detto di tornare con te, che ci avrebbe aiutato a scappare. È un uomo di parola.
-Sa chi sei?
-Non me l’ha mai chiesto.
Bucky si tiene la mano sulla ferita. Suda, ma non credo per il caldo estivo, dato che in questo posto è abbastanza fresco, perché ci troviamo in quello che sembra una catacomba adibita a rifugio. Si sdraia sulla brandina.
-Chiudo gli occhi un attimo. Ti dispiace?- mi chiede.
-Stai bene?
-Si, ho solo bisogno di riposare per un po’.
-Posso chiedere al prete se ha qualcosa per te.
-No, non uscire. Resta qui, è più sicuro. Sarà già arrivata la perpetua, non possiamo rischiare che ti veda.
Silenzio. Mi poggio al muro e il frescolino dell’ambiente mi rilassa. Le palpebre diventano sempre più pesanti. Mi addormento.
Quando apro gli occhi, una luce forte mi acceca la vista. Mi copro il volto con le mani al forte impatto, per poi toglierle mano mano che mi abituo a quella intensità luminosa. Sono sul tetto di un grattacielo, probabilmente il più alto della città, perché attorno non ne vedo altri, ma solo nuvole. Abbasso lo sguardo e capisco di essere sul ciglio del palazzo, dell'abisso, talmente profondo che non riesco a intravedere il fondo oltre le nuvole. Il primo impulso che sento è quello di saltare sotto, verso la morte, verso il nulla, verso l'eliminazione della mia esistenza. Sento proprio un'attrazione, un desiderio profondo verso quell'abisso. Mi chiama e ogni fibra del mio corpo vuole rispondere. Delle lacrime mi rigano la faccia, ma non sono lacrime di dolore, ma gioia nel sentire di avere una speranza certamente realizzabile. Solo un passo. Nel momento in cui alzo un piede verso il vuoto, una voce di uomo mi trattiene.
-Maria- mi chiama. Mi giro e lo vedo. Ha i capelli neri lunghi fino il collo, gli occhi azzurri che saltano fuori dal trucco nero che li circonda, quasi fossero due lividi. Indossa una maschera nera a coprire il naso, la bocca e il collo. Divisa nera, attillata con un sacco di armi attaccate, dalle pistole ai coltelli. Dalla divisa spunta il braccio sinistro, metallico, con una stella rossa sulla spalla. Lo riconosco immediatamente. È il Soldato D'Inverno. Il suo sguardo serio mi buca l'anima, che ancora sta fremendo all'idea di cadere all'indietro verso un destino scelto, ora è incuriosita. So benissimo cosa ci fa lì. So benissimo cosa vuole. Vuole la mia morte, non sapendo che è la cosa che bramo di più anch'io. Non capisco cosa stia aspettando.
-Maria- mi chiama una voce di donna. Dietro di lui, compare questa donna perfetta, di mezz'età. I capelli biondi raccolti in uno chignon perfetto, dal quale non spunta neanche un capello fuori posto. Gonna blu lunga appena sopra il ginocchio, la camicia di seta bianca e la giacca blu, tutto perfettamente stirato. Le perle al collo e agli orecchi. Perfettamente truccata. Gli occhiali da vista leggerissimi e quasi invisibili. I tacchi blu. Aveva le braccia incrociate e sul volto uno sguardo di disapprovazione.
Alla vista della donna, perdo l'equilibrio e cado verso l'abisso.

Il Nulla prima del Tutto. || Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora