Zachary.

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Secondo

<Dodici anni fa>

― Sta' zitto, Zeke ― borbotta Jonas all'uscita, spingendomi indietro con un gesto svogliato della mano.

― Voglio sapere cos'hai combinato per farlo reagire così.

― Mi ha dato dell'handicappato e tu lo difendi? Bel fratello di merda.

― Non lo sto difendendo. Sto cercando di capire a cosa sia dovuta la sua risposta.

― Chissà, magari è semplicemente uno stronzo.

― O magari ― lo squadro, torvo ― sei stato tu a farlo indispettire parecchio. ― Stringo i pugni, sussultando. Percepisco una fitta al fianco e rimango allibito quando mi accorgo che il malore è dovuto al vocabolo da lui adoperato. M'indispettisce il fatto che si permetta d'insultarlo gratuitamente, senza neanche averlo osservato come l'ho osservato io. Il tipo della fermata non è uno stronzo, né un egoista. È evidente. Jonas fa una smorfia. Lo costringo ad ascoltarmi, sbarrandogli la strada. ― Inoltre ― aggiungo ― hai soltanto dodici anni e mezzo. Le parolacce stonano sulla bocca di un bambino.

― Non sono più un bambino.

Roteo gli occhi al cielo, ghignando. Mio fratello sa come irritarmi e non ho intenzione di concedergli il lusso di vedermi arrabbiato il primo giorno di scuola. ― Non puoi pretendere di star simpatico a tutti ― gli faccio notare con enfasi.

― Lo stai rifacendo.

― Cosa?

― Stai scegliendo di stare dalla sua parte.

― Non voleva essere così acido, J.

― Non lo conosci neppure, e hai il coraggio di dirmi che il suo comportamento nei miei confronti è stato accettabile?

― Mi sono voltato. Ho guardato dentro i suoi occhi ed erano dispiaciuti.

― Come fai a esserne sicuro?

― Lo so e basta ― ribatto, perché non saprei come spiegargli il senso di colpa che mi attanaglia. In un primo momento la reazione del ragazzo mi era sembrata esagerata. Avevo colto nella sua voce un tremore crescente, un'angoscia che mi aveva oppresso lasciandomi a corto di fiato. La sua figura, vicina a quella della gemella in corridoio, mi parve talmente disprezzata e sminuita che mi era venuto da piangere. E io non piango mai, non per motivi banali. Quando mi aveva esposto l'ora, lanciandomi un'occhiata di striscio, lo avevo etichettato come un insicuro e il mio pregiudizio si era accentuato una volta udita la sua riflessione. Aveva sussurrato di essere un vigliacco, sebbene non fosse a conoscenza di sbagliare aggettivo. Potrei fornire una descrizione accurata della sua persona senza risultare mediocre; lui è piuttosto semplice da leggere, è semplice per me. Ero entrato in confusione quando aveva espresso l'insinuazione puntigliosa verso l'incapacità nel contare di mio fratello – estremamente voluta –, e nel suo tono era apparso un altro sentimento, la sorpresa. È stato quel sentimento a destabilizzarmi. Da come si era comportato all'inizio, lo avevo ritenuto un impavido undicenne solitario e non un maschio che aveva sempre evitato di contraddire qualcuno, sottomettendosi.

Sono un po' deluso. Non dal comportamento irrispettoso. Dal suo lato codardo. È intelligente, lo si riconosce dalla furbizia, da come ha intrattenuto il discorso, dalla maniera in cui manovra le circostanze a proprio piacimento, e allora perché deve fare in modo che l'impulsività lo soggioghi, decretandolo un debole? Se lui non è come loro, se loro sono il probabile fraintendimento, perché non aggiusta le cose riempiendosi d'orgoglio? Possibile che sia un pauroso? Possibile che abbia errato? Inizio a supporre che sia timido, ma un timido si saprebbe infuriare come aveva fatto? Un timido dimostrerebbe tale coraggio? Perché ho come l'intuizione che lui, senza nemmeno notarlo, abbia subìto una metamorfosi in qualche minuto. Grazie alla mia presenza.

Anima d'acciaioWhere stories live. Discover now