3. Due giorni prima

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Non potremo mai più odiare chi abbiamo veduto dormire. 

Elias Canetti

Guardo il foglio fissato al tavolo da disegno con le strisce di carta adesiva, una per angolo, ancora desolatamente vuoto.

Da molto tempo ho perso ciò che mi ha sempre guidata: quell’ispirazione che ha reso speciale anche il mio ultimo lavoro, l’arredamento della casa nella quale vivo.

Poi dal giorno del mio matrimonio più nulla: da allora ho un solo compito da assolvere.

Rigiro la matita tra le dita, poi mi alzo dallo sgabello.

Scendo le scale, mi fermo davanti alla specchiera dell’armadio a muro: scorgo tra i capelli neri uno argenteo, lo afferro con due dita e lo strappo con forza; sento nella testa la voce di mia madre – Ne cresceranno altri sette al suo posto!

Mia madre: morta poco dopo le mie nozze. Era così felice dell’uomo che avevo sposato: un professionista di fama mondiale.

Invece. 

Allontano da me quei pensieri e proseguo verso la zona giorno fino ad arrivare al gradino basso che divide il salone dal resto della casa.

Il grande specchio appeso al muro di fronte a me, racchiuso nella cornice in resina viola semitrasparente, riflette il resto dell’arredamento: il divano porpora a esse di fronte al focolare al centro della stanza, sulla parete destra la cassettiera dalla forma di due rosse labbra femminili e libri appoggiati un po’ ovunque, quasi fossero delle suppellettili.

In un angolo sul pavimento, l’enorme narghilè proveniente dal set di un film di fantascienza.

Sì, davvero un bel lavoro.

Guardo l’orologio con gli ingranaggi a vista appeso alla parete, una settimana è passata e tra poco...

La chiave gira nella toppa. Finalmente.

Cammino veloce verso l’ingresso, quando arrivo si sta già togliendo l’impermeabile.

– Tutto bene a Londra? 

In risposta ricevo un luminoso sorriso.

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