Il Sole di notte

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Vivevo in una lontana campagna, e passavo le giornate a passeggiare tra i vicoli senza sosta, tra un sentiero di sampietrini e una strada asfaltata, in cerca di una nuova meta da rincorrere. Avevo undici o dodici anni quando iniziai ad avere una strana abitudine: camminare di notte. Prendevo un leggero giubbino, oppure un pesante cappotto se era inverno ed uscivo di casa. Pensavo che la notte fosse il momento più giusto per godersi l'aria pulita della montagna e non avevo alcuna paura di uscire con il buio. Mi avrebbe intimorito molto di più uscire in pieno giorno, con il rischio d incontrare tanta gente. Credevo che a quel punto le montagne non sarebbero state solo mie, avrei dovuto condividerle con persone che non conoscevo e non mi andava bene. Il buio mi nascondeva, mi rendeva libero di passeggiare nel borgo del mio paesello, e allora sarebbe stato tutto mio: ogni fischio dell'assiolo che riecheggiava leggero tra le fronde, ogni fruscio secco delle foglie, ogni rumore proveniente dal bosco adiacente al sentiero. Era tutto per me, non avrei dovuto condividerlo con nessun altro. Quando passeggiavo ero felice, ero solo e senza alcuna paura. Certo, ero solo un bambino, e non avrei mai creduto che anche senza accorgermene, vivendo solo di notte, mi stavo perdendo ogni raggio di sole. Inoltre avevo un passatempo, fin da quando ero un infante amavo suonare il violino, passavo giornate intere ad esercitarmi. Chiudevo a chiave la porta della mia cameretta e suonavo senza sosta. Le mie note vibravano leggere nell'aria, ed io le seguivo con lo sguardo incantato mentre volavano via da me. Mi sentivo vivo, mi sentivo reale, come se il solo fatto di essere capace di produrre musica mi rendesse effettivamente vero e legato a questo mondo, perché in tutti gli altri momenti non ero certo di farne parte. Eppure ero solo un bambino, e per quanto quel mio piccolo mondo potesse essere tutto per me, non mi accorgevo di essere completamente solo. All'inizio non ne soffrivo, e per tutta la mia adolescenza sono stato felice nella mia piccola bolla. Uscivo di notte per le mie passeggiate, mi godevo i paesaggi notturni, le montagne illuminate dal flebile pallore della luna, la rugiada che iniziava a formarsi sulle margherite al ciglio della strada. I passi delle mie vecchie sneakers di tela erano leggeri e non lasciavano orme né muovevano una sola foglia. Era come se fossi fatto della stessa materia della luce della luna, e mi riflettevo nelle pozzanghere in mezzo la strada. Il tempo per me non scorreva; ero bloccato dentro un orologio fermo a mezzanotte, e non conoscevo nulla se non il disegno delle stelle che mappavano il cielo. Mi nutrivo della loro luce, e molto presto il mio corpo iniziò a sfocarsi. Divenni fioco e labile come la luce delle stelle. Un solo raggio di sole e venivo spazzato via, effimero come la luce di una supernova in una galassia troppo lontana per essere importante. Quando si faceva giorno, rimanevo chiuso a chiave nella mia stanza e suonavo l'intero pomeriggio, chiudendo le serrande, senza vedere mai le corde del violino oppure il riflesso del mio viso nella specchio, e solo nel momento in cui il buio della mia stanza si era integrato al buio della notte, aprivo le imposte e guardavo fuori. Ritrovavo me stesso oltre il tetro paesaggio che mi si offriva davanti, mi sentivo parte del buio che avvolgeva la notte. Come lui ero solo e contento di esserlo, "esistevo" solo nel momento in cui decidevo di farlo. La notte non esiste di giorno, e così nemmeno io.

Col tempo mi dimenticai anche solo della sensazione del calore del sole che avevo conosciuto da bambino. Dimenticai il colore dell'erba, dimenticai persino il colore dei miei occhi. Ormai vedevo il mondo solo attraverso un filtro in bianco e nero, nulla aveva una propria identità, e nemmeno io. Persi tutto ciò che conoscevo, e il mio libro della memoria divenne completamente nero. La strada era grigia, gli alberi erano grigi, le foglie che cadevano dagli alberi erano grigie. Ogni elemento naturale che mi circondava era totalmente grigio, con un contorno biancastro e lucente: il riflesso della luna e le stelle. Era la luce che determinava i colori, rifletteva sugli oggetti e li rendeva blu, verdi, gialli ... Ma io ormai non riuscivo più a vederli. Senza la luce il mondo era privo di speranza, nero e lunare, ma d'altronde era l'unico posto in cui riuscivo davvero ad esistere. O almeno così credevo. In fondo mi sentivo libero nella fetta di realtà che mi ero ritagliato, e non avevo alcun motivo per riflettere sulla mia solitudine, ma quando lo facevo, pensavo vagamente a come sarebbe potuto essere avere qualcuno accanto. Un'altra entità, un corpo o uno spirito che mi seguisse e che dialogasse con me, e fu in quei momenti che mi accorsi di non essere mai stato realmente felice. Solo perché non conoscevo la compagnia, credevo che la solitudine della notte fosse il mio posto felice. L'unico esistente. E invece la solitudine mi stava uccidendo, il buio mi stava ingoiando. Sarei morto e nessuno avrebbe mai saputo che ero esistito davvero. In quel momento desiderai la salvezza, desiderai per la prima volte la luce del sole. Ma forse era troppo tardi, stavo iniziando a scomparire. Ormai avevo perduto persino la capacità di vedere il mio riflesso nelle pozzanghere durante le passeggiate notturne. Riuscivo solo ad intravedere la forma ovale e sfocata di un viso pallido e prossimo alla morte. Ma mentre perdevo la speranza, proprio durante quella che credevo sarebbe stata la mia ultima passeggiata prima di scomparire, mentre la mia figura sfocata e lunare errava tra le strade notturne, accadde qualcosa. Una luce emerse dal buio, e davanti a me vidi porgere un esile mano. Era bianca e caritatevole, e per un motivo a me ignoto, riusciva a vedermi. La mano era femminile, all'estremità di un corpo che non riuscii subito a vedere, perché tanto io diventavo sfocato, e tanto sfocato vedevo il mondo. Ma a lei sembrò non importare della mia condizione di fantasma prossimo al nulla, tese la mano. Restò immobile per un tempo estremamente lungo senza dare un solo cenno di stanchezza, come se sapesse che era solo questione di tempo prima che io accettassi il suo aiuto. Al solo sguardo del suo viso fui travolto da una luce potente, molto più forte di quella della luna a cui ero abituato, e la mia paura più grande fu che qualcuno potesse vedermi. Però non c'era nessuno, solo lei. Solo lei e la sua candida mano tesa. La sua luce mi colpiva il volto, e dove mi toccava sentivo il calore della carne tornare e la pelle del viso ricostruirsi intorno a quelli che un tempo erano i miei tratti somatici. Alzai finalmente la mano e mi sfiorai il viso: sentivo la sostanza della pelle liscia, non più una fredda nebbia indefinita che sfuggiva al tatto. Stavo tornando ad essere una presenza fisica. Stavo tornando ad esistere. Capii che era giunto il momento di alzarsi, così spostai la mano verso la sua e l'afferrai. Sentivo il calore di un vero corpo vivo. La strinsi forte, e da allora non avrei mai più voluto lasciarla.

La mia vita cambio quel giorno d'autunno. Conobbi quella ragazza, sola quanto me. Un fiore che viveva di giorno, senza aver paura della luce del sole, senza aver paura di essere vista dagli altri. Trovai in lei una sorta di incongruenza, perché mi parlava come se non vedesse che la sua eccessiva solarità rischiava di bruciare la mia pelle scalfita dalla luce della luna. Eppure me ne innamorai perdutamente. In lei vedevo concentrato tutto ciò di cui avevo sempre avuto timore, però standole accanto capii che dopotutto, il sole non faceva poi così paura. Restammo insieme per mesi, che poi diventarono anni, e da quel giorno non fui mai più solo. Lei insisteva sul propormi di uscire nel primo pomeriggio, quando il sole era più violento e caldo, e quando io le chiedevo "perché?" mi rispondeva "un fiore ha bisogno di sole ed acqua per vivere, altrimenti muore. Proprio come me e te, non credi?". Quando me lo disse era agosto inoltrato , il caldo umido scioglieva il mio animo stanco, e pensai che forse per tutta la mia vita non avevo fatto altro che vivere nell'ombra, in solitudine, senza conoscere mai davvero il mondo lì fuori, lo stesso mondo che amavo esplorare solo se uno strato di buio poteva dividerci. Adesso era l'amore che mi nutriva, la luce era la mia casa. Fu così che il mio corpo cambiò, e non solo tornai ad esistere, ma divenni un fiore, proprio come lei.

Tanti anni sono passati da allora, ed io vivo ogni giorno cercando ancora di fuggire dai miei fantasmi, dal buio della notte che prima mi ha cullato, e che ha poi tentato di distruggermi. A volte ho paura di scomparire di nuovo, ma finché continuerò ad avere lei accanto, so che non accadrà. Oggi io esisto, e con me c'è sempre la luce del sole. Dopo tutti questi anni, ho capito di essere come un fiore di campo, o per meglio dire; una piccola margherita rivolta verso il sole, in un immenso campo di erbacce e cespugli incolti. Sono una pianta viva in mezzo a tante altre, e come loro cerco di catturare e tenere per me ogni raggio di sole che mi arriva. I miei petali sono larghi, bianchi e di numero dispari, infatti se dovessi utilizzarmi per il giochino del "m'ama, non m'ama", stai sicuro che il risultato sarà "m'ama". Ed è così che mi sono sempre sentito: intrappolato una vita intera tra le erbacce incolte di un giardino dimenticato, senza la possibilità di vedere la luce che mi nutre, eppure sono portatore d'amore. E nonostante tutto, nonostante il poco sole, rimango vivo. Rimango una fragile margherita che respira appena, intrappolata nel sottobosco, tra i muschi e i funghi, trafitta da una lama di freddo autunnale. Però sono vivo, e amo.

Ed è l'amore che mi mantiene vivo.







Il Sole di NotteWhere stories live. Discover now