Prologo

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Sento il freddo del bancone in metallo, sul quale mi ha spinta a salire, oltrepassare il sottile strato di stoffa della mia gonna e congelarmi cosce e sedere in un solo istante. Ma è un attimo, Ian àncora le mie gambe intorno alla sua vita e afferrandomi per i fianchi mi tira verso di sé, sollevandomi appena, costringendomi ad inarcare la schiena ed aderire completamente a lui e alla sua erezione che spinge sul mio basso ventre.
Le sue mani si insinuano sotto il mio top, premono sulla mia pelle, salgono sui fianchi, sulla vita, fino ai lati del mio seno, portando con loro nel tragitto quel tessuto nero da cui mi libera prontamente.
Avverto il suo respiro aumentare insieme al mio, il suo sapore invadermi la bocca, il calore incendiarmi ogni singola cellula e propagarsi fino al cervello. Il contrasto tra il bruciore del suo corpo che preme sul mio, spingendomi a sdraiarmi e il freddo del bancone sulla pelle, mi confonde e mi annebbia la vista.
Non mi accorgo neanche di non avere più il reggiseno allacciato, sento solo i suoi pollici, incastrati nelle bretelle, che lo fanno scivolare via, accompagnando il percorso con la bocca e la lingua, torturandomi con una lentezza estenuante e calcolata.
Quando mi ritrovo ad avere solo gli slip come barriera e una gonna ormai ammucchiata in vita, lui mette una distanza altrettanto premeditata per alzare gli occhi su di me e osservarmi ansimare con un sorriso soddisfatto e beffardo.

Ricorda l'obiettivo Eleonor.

Riprendo fiato, costringendomi a tornare la stronza manipolatrice che stasera è entrata nel suo caffè a pochi minuti dalla chiusura, con l'unico scopo di fargliela pagare e togliergli quella sicurezza sfrontata e quello stesso sorriso con cui adesso mi sta fissando.
Di certo, non mi sta rendendo le cose facili.
Sarà uno stronzo, eppure una cosa bisogna riconoscergliela, ci sa decisamente fare.
Sono io a riprendere quindi il controllo della situazione, poggio le mani sul suo torace nudo e lo spingo a tornare al suo posto, facendolo scivolare indietro per rimettersi in piedi. Torno su anch'io, risedendomi, faccio cadere a terra la sua camicia rimasta aperta e lentamente sfioro le sue braccia, le spalle, scendo sul suo petto, seguo la linea della sua peluria e arrivo alla sua cintura, che inizio a slacciare.
Non stacco mai gli occhi dai suoi, controllo il mio respiro, inspiro ed espiro sulle sue labbra, senza toccarle, né sfiorarle più.
Mi libero dei suoi jeans che lui mi aiuta a scalciare via e gli sorrido maliziosa quando circondo i suoi fianchi e raggiungo l'orlo dei suoi boxer.

Devi provocarlo, devi solo provocarlo.

Le sue mani risalgono la mia schiena, vertebra dopo vertebra, fino ad incastrarsi tra i miei capelli, tirare leggermente verso il basso e lasciargli scoperta una gran porzione di collo che inizia a baciare e mordere.
Scende e riserva lo stesso trattamento al mio seno che prima avvolge completamente con la bocca e poi inizia a torturare. Per quanto cerchi di restare indifferente non riesco a nascondere completamente l'effetto che ha su di me, il mio corpo si inarca sotto al suo e il bruciore al basso ventre che sento chiede pietà.
Con la stessa lentezza scende ancora più giù, troppo giù.
Sono costretta a fermarlo, a farlo risalire e, prima di ritrovare le sue labbra, vedo i suoi occhi che mi guardano interrogativi e leggermente spiazzati.

D'altronde sono qui per questo, secondo lui.
Me la sono cercata io, secondo lui.

Sono in una condizione di svantaggio in questa posizione, non riesco a mantenere il controllo, per questo provo a scendere dal bancone e ad invertire le posizioni.
Sono io a spingerlo contro di esso e a giocare stavolta con lui.
Sfioro di nuovo il bordo dei suoi boxer mentre il mio seno e il mio corpo si muovono su e giù contro il suo.
Le mie mani vanno oltre e raggiungono la sua erezione che ormai non ce la fa più, lo sento, sento i suoi gemiti, vedo la sua testa reclinarsi indietro, ma invece di continuare, sfilo le mani e risalgo sul suo petto, spezzandogli il fiato e costringendolo ad inspirare profondamente.
Mi fissa come volesse incenerirmi e mi blocca i polsi con entrambe le mani.
Lo sfido consapevole con lo sguardo e prima che possa dire qualsiasi cosa, la sua bocca copre la mia in un bacio avido, rabbioso, sfinito.
Inverte per l'ennesima volta le posizioni, costringendomi a sdraiarmi di nuovo sul bancone della cucina, mi blocca le braccia sopra la testa, fermandole con una mano e, mentre continua a cercare il mio sapore, fa scendere l'altra mano fin sopra lo slip.
Un mugolio mi esce spontaneo, mi mordo il labbro fino a sentire il sapore ferroso del sangue, pur di non gemere ancora.
Lo lascio fare costringendomi a restare ferma, a non assecondarlo, stringo i pugni fino a sentire il dolore delle unghie infilzate nei palmi delle mani.

Dannato te, Ian Spencer, ci sai fare eccome.

Mi sta costando fin troppo questa vendetta, non resisto più neanche io, per quanto siano legittime le mie intenzioni, sono umana e sono una donna, con addosso un uomo che potrebbe donarmi una delle notti migliori della mia vita.
Proprio per questo quando torna con lo sguardo su di me, con quel sorriso bastardo di chi non ha bisogno di confermo per l'ottimo lavoro che sa di star facendo, io recupero le ultime forze e lo osservo perplessa.
Vedo il suo volto incupirsi e tornare all'altezza del mio, le sue mani si fermano, allentano la presa anche dei miei polsi, facendomi tirare un sospiro di sollievo e ritrovare scarti d'ossigeno incastrati nei polmoni.
Non appena riesco a liberare le mani, ricreo una barriera tra il mio corpo e il suo, le appoggio aperte sul suo petto e lo allontano ancora.
Solo a quel punto lui mi lascia davvero andare, incrocia le braccia e mi fissa immobile, in attesa di una spiegazione.
Mi prendo tutto il tempo che mi occorre per scendere dal bancone, cercare e riafferrare reggiseno e canottiera e rivestirmi completamente. In realtà ne ho bisogno per far tornare regolare i miei battiti e placare il prurito che mi sta esplodendo dentro, non lo guardo mai negli occhi in questi pochi minuti, non riuscirei a mentirgli così spudoratamente.

«Puoi far uscire qualcosa da quella bella testolina?»

Solo a questo punto, percependo la nota amara e provocatoria della sua voce, mi volto verso di lui e sostengo il suo sguardo.
Sbuffo e arriccio leggermente il naso, con fare seccato.

«Stavo pensando... che domattina ho un'udienza molto presto.»

Scandisco lentamente le parole, assicurandomi di dargli un tono il più possibile neutrale e annoiato, mentre lui assume un'espressione incredula.

«E francamente, vorrei andarmene a dormire.»

Gli passo una leggera carezza compassionevole sulla guancia e quando sto per staccare la mano lui mi blocca il polso a mezz'aria, stringendo appena.
Io abbasso gli occhi sulla presa e gradualmente li rialzo su di lui.

«Non mi sembra ti stessi annoiando.»
«Ho avuto di meglio.»
«Non mi hai fatto finire.»
«Ti stavi divertendo solo tu.»

Non so se è il modo in cui lo sto snobbando o il rifiuto che ha ricevuto a rendergli quegli occhi di ghiaccio così indecifrabili, in ogni caso sento le sue mani allentare la presa, tanto da riuscire a scivolargli via.
Gli sorrido un'ultima volta, con la stessa espressione miserevole e canzonatoria di poco fa, prima di voltargli le spalle e lasciarlo in balia delle sue pulsioni che dovranno soddisfarsi da sole.

«Al contrario di te, io vado a letto solo con tutti dieci Ian, volevo capire se tu lo fossi e ho avuto la mia risposta.»

Non mi volto neanche per vedere la sua reazione.
Lascio che la porta della cucina mi si chiuda alle spalle, attraverso il locale illuminato solo dalle luci della strada e, infilandomi sotto la serranda chiusa per metà, me ne torno camminando a casa mia.

***

Giro le chiavi nella toppa della serratura e la apro piano, lascio che i miei occhi si abituino all'oscurità che regna nel mio appartamento prima di poggiare la borsa sul divano e sfilarmi le decolté nere, indossate appositamente per l'occasione.
Mi impegno nel muovermi cauta e silenziosa, eppure la mia poca scaltrezza si manifesta nel rumore sordo della sedia su cui sbatto, che immediatamente provoca il bagliore tenue di una abatjour nella stanza accanto la sala da pranzo.
Tolgo la sedia dalla mia traiettoria e sento dei leggeri passi avvicinarsi alla porta della camera.
La figura esile e i capelli ondulati della mia amica fanno capolino e i suoi occhi assonnati cercano il mio sguardo e la sua rivincita.

«Com'è andata?» chiede preoccupata e in attesa di conferme.
«Come doveva.»

Non sono in condizioni di raccontare nulla, sia per l'ora tarda della notte, sia per i fremiti e i brividi che ancora percorrono il mio corpo, eppure lei vuole sapere.

«Siete andati... molto oltre?»
«No.» Sì, troppo. «Ha avuto ciò che meritava.»

Lei annuisce, mi sorride rincuorata non riuscendo però a controllare lo sbadiglio che le nasce tra le labbra e la costringe a portare una mano sulla bocca per coprirlo. Io mi avvicino, le do un bacio sulla fronte e le intimo di tornare a dormire.

«Ne parliamo domani.»
«Grazie El.»
«Buonanotte Meg.»

Finalmente posso dire conclusa questa lunga ed estenuante giornata. Entro nella mia stanza e crollo nel mio letto senza neanche spogliarmi o struccarmi.
Domani mi aspetta un'altra lunga e faticosa giornata.

Relazioni PericoloseWhere stories live. Discover now