Capitolo 15.

13 1 0
                                    


Eleonor

Sono le 21:40 quando esco di corsa dal portone, non so neanche come abbia fatto ad andarmene dall'ufficio, vorrei solo corrermene a casa, nascondermi sotto il lenzuolo e non sentire più niente.

Vorrei qualcuno pronto a fermarmi, che mi dicesse andrà tutto bene, qualcuno che mi sostenga senza giudicarmi, che approvi la mia scelta di andarmene da un uomo che mi ha tenuta sospesa per anni.

Vorrei lei, vorrei tanto mia madre per chiederle come si fa, come si può scappare via dopo essere stata scelta se è tutta la vita che cerco questo.

Forse perché non è da lui, che lo vorrei.

Sento gli occhi pizzicarmi ma ingoio le mie lacrime come ho sempre fatto, mi nascondo per non farmi toccare, anestetizzo il mio dolore diventando di pietra per non farmi ferire ancora.

E allora prendo un respiro perché Ian è lì ad aspettarmi e, tutto avrei voluto, tranne affrontare pure lui stasera.

Lo vedo seduto sul cofano della sua macchina, le caviglie incrociate, un jeans nero, anfibi e la sua immancabile t-shirt dello stesso colore, stringe tra le mani un sacchetto e con l'altra scorre le dita sul suo cellulare.

Un altro terribile sbaglio, un'ulteriore scelta sbagliata la mia, che pagherò in futuro ne sono certa, eppure ormai sono in gioco, non saprei come tirarmene fuori, non posso fermarmi proprio adesso.

Mi sente arrivare, lo capisco perché si volta verso di me mentre ancora sono ferma sul portone.

«Spero tu non abbia cenato, perché ti ho aspettata fino ad ora con del cibo thailandese ormai freddo, ed ho una fame che mangerei direttamente te!»

Sbarro gli occhi perplessa, incerta se essergli grata del non chiedere niente o prenderlo per pazzo, lo capirò e mi scuserò pure del ritardo ma più avanti, adesso vorrei soltanto allontanarmi da qui.

«Puoi mangiare anche la mia parte, possiamo andare?»

Ho fretta e lo so che non comprende, che ho una faccia strana e dura ma non fa domande, sale in macchina mollandomi il sacchetto di cibo e mette in moto.

In un batter d'occhio svoltiamo l'angolo e siamo già sulla strada principale, diretti non so dove.

Mi parla di alcune cose che non ascolto, forse chiede anche se sia tutto apposto, mi racconta di questo posto scoperto, dove ha preso la cena che ho tra le mani e me ne sfiora una, mentre afferra una scatolina dalla quale esce un involtino.

Mangia e parla e non so perché mi ritrovo a sorridere per una sua battuta estremamente stupida e maliziosa, continua a tirare fuori cibo finché mi cede istintivamente una polpetta per cambiare marcia e avere la mano libera. Non se la riprende, neanche quando toglie la mano dal cambio e la poggia distratta sulla sua gamba, così me la finisco, colta da una fame che non sapevo di avere.

Non dice niente, ancora, mi guarda con la coda dell'occhio mentre ne prendo un'altra e continua a chiacchierare di non so cosa.

Finiamo praticamente di cenare in macchina, quando parcheggia nei pressi di un parco il sacchetto è finito ai miei piedi, vuoto ed io ho dimenticato perfino il motivo per cui dovevamo incontrarci.

«Allora come sta... Megan?»

E' una doccia fredda sentire il suo nome, perché avevo cercato di mettere il resto del mondo da una parte, di non fare entrare nessuno tra me e lui, Ian invece non è del mio stesso avviso ma lo capisco dal tono incerto e quasi imbarazzato quanto gli costi chiedermelo e quanto realmente sia interessato alla risposta.

«Sta... non sta tanto bene ancora.»

Continuo a camminare nel parco seguita da lui che giocherella con un rametto tra le mani, resta in silenzio per un attimo riflettendo sulla questione e poi continua.

Relazioni PericoloseWhere stories live. Discover now