Capitolo 5.

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Atlanta, 18 luglio 2015

Qualche mese prima...


Ian

E' come aprire di botto una bottiglia di spumante, preventivamente agitata, e ritrovarsi inondati di schiuma da tutte le parti, sporcandosi dappertutto senza riuscire a fermarla.

E' esattamente questo l'effetto che mi ha provocato rivedere quella ragazzina, dopo così tanti anni.

E' così che mi sento da quando Eleonor Parker è entrata nel mio locale qualche giorno fa.

Non avrei mai neanche lontanamente immaginato potesse essere lei la migliore amica di cui Megan parlava continuamente, tanto meno avrei mai pensato di poterla rivedere, un giorno.

Credevo di aver chiuso con tutto lo schifo di quel periodo, di averli cancellati dalla memoria tutti quei ricordi, invece sono esattamente lì dove li avevo lasciati.

E' maledettamente frustrante.

Lo è altrettanto voltarmi verso l'interno del mio letto matrimoniale, aprire appena gli occhi in una leggera fessura, tanto da far entrare quel minimo indispensabile di luce da realizzare dove sono e trovarmi davanti due enormi occhi azzurri, che mi scrutano e si addolciscono pian piano.

Odio essere fissato mentre dormo, mi da la sensazione che altri possano spiarmi e scoprire una parte di me che non conosco neppure io, al massimo posso essere io a svegliarmi prima di loro, ma per svignarmela prima di essere visto.

Per questo adesso sono a disagio, nonostante sia nudo e accanto a me ci sia una donna altrettanto svestita. In un'altra situazione ne avrei approfittato – come ho già fatto questa notte quando si è presentata da me, con una cheescake comprata oltretutto in una pasticceria che non era la mia, chiedendo di poter restare – invece in questo momento mi volto, tirandomi su con la schiena in cerca dei miei boxer.

Non so perché l'abbia fatto, cosa volesse dimostrare a se stessa venendo qui, tuttavia non mi interessa, fino a che riesco ad eludere le sue richieste va tutto bene.

Pensavo volesse farla finita con me da come mi ha parlato qualche giorno fa, dal modo scherzoso ma vero con cui mi sponsorizzava la sua amica e non se stessa, invece mi sono dovuto ricredere.

Mi piace tutto sommato questo rapporto, non vado a letto con nessun'altra se proprio vuole saperlo e non capisco perché le donne abbiano quest'ansia di dover per forza definire le relazioni con qualche appellativo soffocante.

Non si possono vivere le cose come vengono, e basta?

«Dove vai?»

La sua voce mi raggiunge quando sto già infilando i pantaloni.

Si è seduta sul letto, con una mano puntata sul materasso per sorreggersi e l'altra stretta intorno al lenzuolo con cui si copre il seno, i capelli appena scompigliati che le sfiorano le spalle nude.

Se non dovessi trattenermi per la consapevolezza che sto per fare un casino, sarei già sopra di lei a tapparle di nuovo la bocca.

«Devo lavorare Barbie

«Piantala di chiamarmi così!»

Le faccio un sorriso storto, provocante, il primo da quando abbiamo aperto gli occhi e lei cede al mio fascino, sorridendomi timidamente di rimando – so che le piaceva sentirmelo dire stanotte.

Infilo anche la camicia, allaccio il terzo bottone, lasciando aperti i primi due, chiudo il quarto e il quinto.

Lei è ancora nuda ed immobile, nel mio letto.

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