Chapter one.

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10 Maggio 1984

Harry

Quel Lunedì mattina odiai le 10:57.
Il professor Parker scarabocchiava incessantemente sulla lavagna da circa quaranta minuti e nonostante mi sforzassi di comprendere ciò che, con metodicità impeccabile, stava esponendo alla classe, ai miei occhi tutti quei segni non sembravano altro che una caotica accozzaglia di numeri. Di tanto in tanto mi imponevo di applicarmi e, tirando fuori tutta la buona volontà che possedessi, appuntavo qua e là sul quaderno qualche concetto appreso di sfuggita, con la speranza che il tempo passasse più velocemente.
Tutte le volte che davo un'occhiata all'orologio però, quello segnava esattamente la stessa ora, minuto più minuto meno.
10:57.
Il tempo sembrava essersi congelato e qualunque cosa facessi per ammazzare la noia, si rivelava inutile. Mi resi conto di non essere l'unico a sentire il peso del tempo gravare in quel modo, quando mi voltai per dare un'occhiata alla classe: Holly ed Eveline parlottavano su chissà quale ultimo gossip, John ed il suo compagno di banco del quale, nonostante i quattro anni scolastici passati insieme, non riuscivo mai a ricordare il nome, avevano creato una barriera di libri per coprirsi mentre dormivano indisturbati, Amber e Robert discutevano animatamente e lei sembrava addirittura sul punto di piangere (quei due portavano avanti una relazione di tira e molla da ben due anni), mentre il resto della classe era impegnata in futili conversazioni o impiegava il proprio tempo in espressione artistica scribacchiando sul libro o macchiando i banchi col pennarello indelebile.
Scossi il capo alla vista di tutti quegli sfaticati, per poi ricordarmi di essere io stesso parte di quel gruppo di gente che se ne stava stravaccata sulle sedie e che dormiva non curandosi del resto.
Non ero indifferente alla scuola come Darren dell'ultima fila, in quanto non avessi mai rischiato di bocciare o mi fossi presentato impreparato il giorno di un test in classe, ma l'idea di passare tutto quel tempo piegato sui banchi di scuola, non mi entusiasmava affatto. Ero una persona a cui stava inevitabilmente a cuore il proprio futuro (non sarei di certo voluto finire a spazzare i camini), ma ero anche un diciassettenne con tanta voglia di vivere e se a questo aggiungessimo il fatto che professassi convulsamente libertà assoluta, l'idea di stare nove ore recluso all'interno di una classe, diventava insostenibile. A maggior ragione se ero costretto a passare tutto quel tempo in compagnia di persone che nutrivano sentimenti di profondo pregiudizio nei miei confronti, in merito al mio modo di vestire e di comportarmi.
Ero comunemente denominato "hippie" in quanto indossassi pantaloni ultra skinny col risvolto in fondo, t-shirt con le stampe delle mie rock band preferite e perché, di tanto in tanto, acconciassi i miei ricci con qualche coroncina floreale fatta a mano. Le persone non mi guardavano di buon occhio, nonostante avessi visto in TV che in America dell'altra gente ormai da molto tempo si vestisse come mi vestivo io, battendosi per ciò in cui credevo anche io.
Ebbi la mia "trasformazione" durante il primo anno di liceo, cosa che lasciò tutti parecchio interdetti. Solo perché ascoltavo un certo genere di musica e mi piaceva un certo tipo di abbigliamento, mi era stata assegnata una stupida etichetta che avrei dovuto caricarmi dietro per tutti gli anni successivi. Non ero né un hippie, né un hipster, né tanto meno un figlio dei fiori, ero Harry e portavo avanti il mio ideale basato sulla pace e sulla libertà di pensiero, sul rifiuto della violenza e sul desiderio di uscire dagli schemi tradizionali.

Secondo la mia opinione, la gente avrebbe potuto esprimersi liberamente e dire ciò che le pareva, avrebbe potuto ascoltare ciò che preferiva e amare chi le andava di amare, senza distinzione tra sesso e religione. Purtroppo però, non tutti sembravano essere della stesso parere motivo per cui, cercavo di non espormi eccessivamente; non che avessi paura del giudizio altrui, ma mi rendevo conto che la società non fosse ancora pronta a quello e ne erano la dimostrazione le numerose manifestazioni che trasmettevano quasi tutti i giorni in TV.
Che motivo avrebbero avuto quelle persone di uscire in strada coi corpi interamente colorati e gli striscioni stretti tra le mani, se la società avesse dichiarato di accettarli? La gente combatteva per cambiare le cose, per abbattere il muro d'ignoranza che separava il bigottismo e la libertà d'espressione, si mettevano a nudo di fronte a quella società che speravano li avrebbe accolti così com'erano. Le persone avevano finalmente capito di non aver deciso di nascere in un certo modo, che all'interno di un determinato corpo c'erano finiti per volere superiore e che di conseguenza l'errore non stava in loro, ma in coloro che li circondavano. Perciò avevano cercato di arrivare alla radice del problema per comprenderlo e risolverlo.
Ma nonostante le decine e decine di manifestazioni, la ragazza dai capelli tinti di verde che avevo visto quel Lunedì mattina in televisione mentre facevo colazione, non sarebbe mai riuscita ad esprimere completamente se stessa senza ricevere commenti sprezzanti sul suo modo di essere. Il ragazzo di colore con gli occhi grandi e blu che sollevava sulla testa un enorme cartellone con su scritto "Stop Discrimination", non avrebbe potuto accedere a quel locale in fondo alla strada, quello che esponeva il cartello "Non sono ammessi i neri". La ragazzina bionda dagli occhiali squadrati e le lentiggini sulle guance, si sarebbe seduta ancora sola alla fermata del pullman. I due ragazzi col petto nudo che si tenevano la mano e si baciavano appassionatamente di fronte alle telecamere, sarebbero stati denominati ancora "froci" - "scherzi della natura" e avrebbero ricevuto gli stessi calci sullo stomaco, tutte le mattine, dagli stessi compagni di scuola.
Possiamo uscire fuori, partecipare a questi raduni, mostrarci agli altri per quello che siamo e provare l'ebbrezza di essere stati liberamente noi stessi per qualche secondo, ma quando decideremo di cambiare ulteriormente tinta di capelli, di riprovare ad entrare in quel posto dal quale precedentemente ci avevano cacciato, di sederci accanto al ragazzino più carino della scuola sul pullman o di confessare a tutti di amare una persona del nostro stesso sesso, tutto ciò che riceveremo sarà una porta in faccia.
Non può esserci un reale cambiamento se questo avviene soltanto all'interno di noi stessi e se non coinvolge direttamente anche gli altri.

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