Chapter ten.

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2 Giugno 1984


Harry



Sollevai la manica della mia camicia a scacchi, scoprendo che fossero ancora le 07:30. Avevo abbastanza tempo per fare una colazione decente, così abbandonai lo zaino ai piedi dell'isola della cucina e mi sedetti sullo sgabello. Papà e Gemma avevano lasciato la tavola imbandita prima di uscire di casa, rigorosamente di fretta, come ogni Venerdì. Lo studio dentistico di Robin, nel quale Gemma lavorava come segretaria da due anni ormai, era affollatissimo durante il fine settimana, e i due dovevano arrivare in anticipo se volevano riuscire a smaltire la fila di fronte all'entrata prima della chiusura. Arraffai una tazza vuota e la riempì con del latte che mia madre aveva riscaldato all'interno di un pentolino, poi ci lasciai annegare dentro un pugno di cereali al cioccolato. Sospirai pesantemente godendomi il sublime silenzio che caratterizzava casa mia quella mattina. Mamma ed Angie erano andate a trovare la nonna, papà aveva dato loro uno strappo prima di andare a lavoro, ciò significava che avrei dovuto prendere l'autobus per arrivare a scuola. Cercai di accantonare il pensiero di quel veicolo lercio, pieno zeppo di zotici stravaccati malamente sui sedili, mentre mescolavo il contenuto della tazza con il cucchiaio.


Sorrisi improvvisamente al pensiero che anche quel giorno avrei visto Louis in aula di chimica, come succedeva ormai da due settimane. Avevamo scoperto che nessun professore usufruisse mai di quel luogo, nonostante fosse ben attrezzato (non avevo assolutamente mai rovesciato sul pavimento delle provette di vetro mentre Louis mi faceva un pompino), e dal momento che entrarci non era affatto un problema, era diventato il nostro luogo di incontri preferito. Era strano e bellissimo ciò che stavo vivendo, inspiegabile a parole. Avevo desiderato così tanto Louis, le sue mani, il suo tocco, i suoi baci, che il resto quasi non m'importava più.

Non m'importava che avesse difficoltà a farsi vedere con me in pubblico, non m'importava di Hannah, dei brutti voti, delle occhiatacce degli altri, dei pregiudizi dei miei compagni di scuola, e né tantomeno di ciò che Zayn pensasse.


Terminai di bere il contenuto della tazza e la lasciai all'interno del lavabo, rassettando in giro come meglio potei, prima di mettermi la tracolla in spalla ed uscire velocemente di casa.


La fermata dell'autobus era poco distante dalla mia abitazione, si trattava di un paio di isolati facilmente percorribili a piedi in un paio di minuti. Adocchiai la panchina sulla quale - intorno alle otto del mattino - sedeva un gruppo di ragazzini del primo anno con addosso vestiti troppo stirati e scarpe troppo nuove, e la trovai deserta. Mi ci sedetti sopra, estraendo dalla tasca interna della mia tracolla un pacco di Marlboro. La scatolina bianca un po' ammaccata conteneva quattro - di dieci - sigarette ancora perfettamente intatte, che Louis mi aveva gentilmente offerto l'ultima volta che ci eravamo visti. Avevo realizzato che mi piacesse fumare, e parecchio anche. Molti dei miei coetanei avevano scoperto il piacere proibito del fumo e lo tenevano nascosto ai loro genitori, per paura di imminenti ripercussioni; si sedevano sulle scale antincendio, ai piedi della vecchia quercia nel giardinetto, sui loro bolidi nel parcheggio della scuola, e si guardavano intorno con attenzione prima di stringere la sigaretta tra le labbra ed infiammarne la punta. Li avevo sempre guardati da lontano, soggetti del genere, domandandomi cosa ci trovassero di così bello nel polverizzarsi i polmoni, e alla fine - come nel più rispettabile dei cliché - ero diventato uno di loro. Nascondevo le confezioni nei posti più assurdi ed improbabili, nella speranza che mia madre non ci frugasse dentro e che non le trovasse. Fumavo durante la pausa pranzo, così da non puzzare eccessivamente una volta tornato a casa, e avevo sempre con me un pacchetto di chewing-gum alla menta.

Lovers In The 80s.Where stories live. Discover now