Ad occhi chiusi

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Ad occhi chiusi

Spalancai gli occhi in piena notte. Stavo facendo un incubo, un orribile incubo.

Stavo rivivendo la sera in cui mia madre era stata trasformata da Victor. Era davanti a me e urlava dal dolore. Il vampiro non si staccava dal suo collo, continuava a far sgorgare il sangue sul suo mento e sul petto di mia madre. Quando ormai l’aveva lasciata mezza morta, mi aveva guardato: sorrideva. Un sorriso di sfida e addirittura di vittoria. Aveva vinto su mia madre ed era sicuro che avrebbe vinto anche su di me.

Ma io ero diversa da Hilda, in un certo senso.

Io ce l’avrei fatta anche senza diventare una vampira. Da semplice umana.

Non riuscii più a dormire, perché la paura di rivedere quell’orribile immagine era sempre dietro l’angolo. Non volevo vedere di nuovo mia madre soffrire. Era solamente colpa mia se non ero riuscita a fermarla in tempo.

Perché poi era scappata così di casa, senza avvertirmi? Forse non l’avrei mai capito.

Ad ogni modo, i giorni passavano, ma il mal di testa era sempre lo stesso. Non sentivo più quella voce minacciosa, per fortuna. Sentivo invece i pensieri di Derek, ogni tanto. Ma man mano erano sempre più fiochi, forse perché il mio sangue si stava stabilizzando.

«Kim, c’è qualcosa che non va?» chiese Gabriel per l’ennesima volta, mentre eravamo stesi sul letto della mia camera. Non avevo ancora aperto bocca per tutta la sera. Silenziosa, pensavo ad un sacco di cose. A ciò che mi era successo, a quello che avrei dovuto fare, al sogno di mia madre. A tutto e la mia mente non viveva più nel presente.

«No» risposi in un sussurro, fissando l’armadio davanti a noi. Gabriel aveva il braccio dietro le mie spalle ed ero appoggiata sul suo petto. Si muoveva lentamente, i suoi respiri erano regolari e potevo sentire il battito del cuore proprio sotto il mio orecchio. Tu– tump, tu– tump.

Mi sollevai con la schiena e lo guardai negli occhi. Quelle iridi blu notte erano intente a fissarmi come sempre, mi lanciavano mille messaggi. Era preoccupato e dubbioso, ma non su di me. Su quello che sarebbe potuto succedere.

Ogni giorno avevo notato che lasciava cadere il suo sguardo sul mio collo, dalla quale le cicatrici non sarebbero andate via mai più. Magari si sarebbero notate di meno, col passare degli anni, ma non sarebbero di certo scomparse.

Eppure le fissava con una tale ira che a volte non riuscivo a sopportarmi.

Mi avvicinai a lui e gli diedi un bacio sul naso, poi sulle labbra. Veloce, quasi non ci toccammo, ma andava bene così. Appoggiai il mento sull’incavo della sua spalla, sospirando. Gabriel non si era ancora mosso.

«Abbracciami» bisbigliai al suo orecchio. E a comando sentii le sue braccia stringermi al suo petto, molto dolcemente. Una mano mi accarezzava i capelli, giocando con i miei boccoli e senza fiatare. «Dimmi che mi ami.»

Spostò i capelli dal mio viso e mi diede un bacio sulla guancia. «Ti amo.»

«Continua a dirlo.» Non capivo bene il perché gli stessi dando degli ordini, ma lui non si lamentava ed ubbidiva come uno scolaretto. Almeno questo serviva a distrarmi, a non farmi pensare ad altro se non lui.

«Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo...» cominciò a mormorare dandomi ogni tanto un altro bacio: sui capelli, sulle guance, sul collo. Fino a quando non lo bloccai, prendendo il suo viso tra le mani, a pochi centimetri da me. «E tu mi ami?» chiese con un sorriso dolce.

Mi abbassai e premetti le mie labbra sulle sue. A lungo, non come prima. Così a lungo che fummo obbligati a prendere fiato, dopo un po’ di tempo. Per poi ricadere di nuovo in tentazione e cancellare ogni pensiero dalla mente.

Daughter of EvilWhere stories live. Discover now