Qualcosa di imperdonabile

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Qualcosa di imperdonabile

Mi osservai ancora una volta allo specchio. Non mi sarei mai abituata a quella pelle pallida, dura come una corazza, le labbra scure, i capelli neri e le iridi viola ametista. Non mi accettavo nei panni di una vampira, preferivo cento, mille, un milione di volte la vecchia, semplice ed umana Kim. Dagli occhi verdi, dalla pelle abbronzata, dal cuore che batteva.

Piegai di poco la testa, portandomi una mano sul collo, dove mi aveva morso Derek. Non aveva esitato questa volta: aveva bisogno del mio sangue, anche se avrebbe preferito quello di quando ero ancora viva. Aveva fatto girare la testa anche a me, quando ero entrata nella sua stanza.

E stranamente non mi aveva obbligata a bere il suo. Certo, lui non ne aveva preso tanto dal mio corpo, ma conoscendolo, preferiva essere sicuro che io stessi bene, che non rischiassi di perdere il controllo, donandomi di nuovo il suo sangue.

“Come potevo amare quella donna?” mi aveva chiesto subito dopo aver staccato le sue labbra dal mio collo. Io gli tenevo una mano stretta tra i capelli. “È completamente diversa da te.”

“No, non più di tanto” gli risposi.

“Sì invece. Lei è un’assassina e tu sei...”

“Un’assassina.”

Mi guardò con quegli occhi ardenti, mentre si puliva la bocca. “Tu non sei un’assassina, tu uccidi gli assassini come lei. Mi vergogno di averla amata.”

“Non ti farà più soffrire, lo impedirò.”

Anche se la prima a farlo soffrire sono io stessa, mi dissi nella mente.

Uscii dal bagno di camera mia, guardandomi intorno. Il sole era ancora in cielo e ci sarebbe stato per almeno ancora qualche ora. Chissà se la signora Montgomery si era ripresa del tutto, o se ricordava qualche cosa della nottata precedente.

Elizabeth...

Solo a pensare quel nome mi venne una rabbia che avrei voluto spaccare qualsiasi cosa.

Andai nell’armeria, pronta a scegliere le armi per un allenamento improvvisato. Giusto per dare libero sfogo ai miei nervi. Osservai le pistole, ma passai subito oltre. Preferivo un profilo nettamente più basso, come un pugnale. Non mi andava di fare tanto chiasso dato che l’altra idea era di accendere lo stereo con un po’ di musica rock – di cui la mia playlist andava fiera –  adatta alla situazione.

Presi in mano il pugnale egizio e subito mi vennero in mente due cose: lo scontro tra Tia e Vlad, nell’antico Egitto del mio passato, e i primi allenamenti con Gabriel nel sotterraneo, quando dovevamo uccidere Arthur Blood.

Allungai la mano, ma appena gli sfiorai la punta, mi tagliai lungo tutto l’indice, mentre afferravo completamente il manico. Doveva essere un taglio da niente e non doveva nemmeno essere un problema dato che le ferite dei vampiri si curavano molto facilmente. Ma quando osservai meglio la superficie del pugnale, notai che era ricoperto di una patina più opaca causata da acqua santa.

Sentivo una nauseante puzza di bruciato e tutta la mano sembrava stesse andando a fuoco.

Lasciai cadere il pugnale a terra, stringendo gli occhi per il dolore e ansimando. 

Derek entrò di volata e portò il dito alle sue labbra. Bevve un goccio di sangue, per poi mordersi il polso e lasciar cadere qualche goccia sulla mia ferita. Poco dopo, iniziavo a sentirmi più sollevata, ed il bruciore stava scomparendo. Derek tirò un sospiro di sollievo.

«Buttare sempre un po’ di sangue sulle ferite prodotte da acqua santa. Se prese in tempo, non causano problemi,» mi spiegò, continuando a controllarmi la mano. «Va meglio?»

Daughter of EvilWhere stories live. Discover now