Chapter 3

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Nessuno avrebbe potuto dire con certezza per quanto tempo Phoebe continuò a cadere nel vuoto prima di colpire il suolo piuttosto violentemente. La ragazza controllò di non avere niente di rotto e poi aprì gli occhi ritrovandosi in una piccola stalla aperta, in mezzo al fieno. Tentò di alzarsi ma la sua testa girava talmente tanto che decise di capire dove si trovasse da seduta. I primi timidi raggi di Sole illuminavano debolmente la cittadina in cui si trovava, l'aria gelata del mattino le entrava nelle ossa e la strada sterrata e piena di sassolini al suo fianco era completamente deserta.

La giovane iniziò a gattonare verso il box davanti a lei per provare a far forza sulla porticina e alzarsi, ma dovette subito indietreggiare a causa dell'inquilino della stalla: un mustang nero con una macchia bianca in mezzo agli occhi.

— Buona bella, buona — disse titubante mantenendo una mano aperta davanti a lei per tentare di calmare la cavalla — Non voglio farti del male, te lo giuro.

Per tutta risposta la giumenta iniziò a scalciare e nitrire quasi con l'intento di distruggere completamente l'abitacolo. Phoebe dovette indietreggiare per non ricevere una zoccolata in viso e cadde nuovamente in mezzo alla paglia ruvida.

— Calma Hayla, stai buona — gridò una voce maschile piuttosto assonnata ma decisa.

Il ragazzo si avvicinò alla giumenta innervosita con molta calma, senza mai guardarla negli occhi; i capelli castano chiaro leggermente mossi e arruffati gli ricaddero sul viso ben definito da un leggero accenno di barba quando abbassò il volto una volta arrivato alla porta del box. Poggiò una mano sul muso e cominciò ad accarezzarlo con gentilezza facendo calmare la cavalla e poi le stampò un piccolo bacio sulla macchia bianca.

— Ci sai proprio fare con i cavalli imbizzarriti — commentò Phoebe, ancora seduta a terra e con il batticuore.

— Che cosa stavi facendo? — urlò il giovane per tutta risposta voltandosi verso di lei — Volevi rubarla?

— Cosa? No! Non so nemmeno come sono arrivata qui!

— Cerchi soltanto di confondermi! — replicò lui facendo saettare gli occhi verdi nei miei — Non credere che soltanto perché sei una ragazza io te la faccia passare liscia!

— Cosa vorrebbe dire? Non stavo cercando di rubare nulla.

— Ma per favore, ti hanno fatto indossare... qualsiasi cosa tu abbia addosso senza uno scopo?

— Cosa stai dicendo?

— È piuttosto ovvio quello che sto dicendo.

— Spiegami perché

— Per rivenderla e guadagnarci, è ovvio.

— E pensi che se avessi voluto dei soldi avrei rischiato la mia vita per rubare un cavallo?

— Giumenta — commentò lui facendo alzare Phoebe con forza, prendendola per un polso — È una giumenta. E tu ora vieni con me.

I due svoltarono l'angolo e il giovane la fece entrare dentro ad una casetta di legno e la fece sedere su una sedia intagliata davanti ad un grande tavolo vuoto. Lui si piantò alle sue spalle, con le braccia conserte e un'espressione accigliata, accentuata da un ciuffo di capelli ribelli che gli coprivano le sopracciglia.

— Padre — gridò rivolto al piano superiore della casetta.

La camicia beige continuava a ricadergli oltre una spalla dato che i lacci che dovrebbero stringere lo scollo a V non erano stati legati, per la fretta di salvare la sua giumenta; le brache marroni aderivano alle gambe e gli arrivavano poco più in alto dei piedi nudi.

L'interno della casa era piuttosto accogliente, completamente ricavato dal legno, ad eccezione del piccolo camino in pietra al lato del tavolo. Una scala al lato opposto della stanza portava sul soppalco che fungeva da camera da letto e, accanto ad essa, una piccola porta portava ad un orticello visibile da delle semplici finestre che portavano luce alla casa.

— Scusa — iniziò Phoebe ancora tremante — potresti dirmi dove mi trovo precisamente perché...

— Taci — rispose lui scorbutico senza spostarsi di un millimetro.

— Il tuo nome? — chiese provando a fare conversazione, ma il tentativo fu stroncato da un piccolo sbuffo da parte dell'interlocutore — Hai almeno una coperta? Sto gelando.

— La prossima volta non fidarti di uomini che per qualche soldo fanno vestire così le proprie complici.

— Te l'ho già detto, non lavoro con nessuno —rispose la ragazza spazientita.

— Aidan — tuonò la voce di un uomo sulla quarantina che stava scendendo le scale in quel momento.

Era vestito esattamente come il figlio ad eccezione della camicia, grigio chiaro nel suo caso. Passò a malapena nello spazio tra le scale e il soppalco mentre sistemava i lacci dello scollo, due piccoli occhi castano intenso erano ancora assonnati e i capelli neri leggermente brizzolati gli ricadevano leggermente sulla fronte.

— Allora è questo il tuo nome — esclamò Phoebe con un sorriso ricevendo un'occhiataccia dal giovane.

— Padre, ho trovato questa...

— Aidan, non vedi che trema? Dove sono finite le tue buone maniere?

— Ma padre...

— Niente ma, figliolo. Prendi una coperta per la fanciulla.

— Ma stava rubando Hayla!

— È vero? — domandò dolcemente l'uomo sedendosi accanto a me.

— No, signore, non stavo rubando niente.

— Visto? Non la stava rubando. Ora prendi la coperta — disse il padre con un tono gentile ma risolutivo — Perdonate mio figlio, è molto legato a quella giumenta, fa a malapena avvicinare noi. Ad ogni modo, il mio nome è Arthur Atwood, padrone di questa casa; voi siete?

— Phoebe Tarnoff, padrona...di niente, in realtà.

— Posso sapere per quale motivo vi trovavate nella nostra stalla? — chiese calmo mentre il figlio gettava una coperta di canapa sulle gambe della giovane ospite e si sedeva sul basamento del camino.

— Io non saprei — rispose lei avvolgendosi nel panno ruvido — Ero su un ponte e una ragazza si è gettata, ma quando ho guardato in basso non c'era più. Poi me la sono ritrovata alle spalle e mi ha spinta nel torrente che scorreva sotto e mi sono ritrovata qua.

— Sta mentendo, padre, è ovvio che menta!

— Taci Aidan — tuonò al figlio per poi tornare a guardare Phoebe con calma — Ti trovi nei sobborghi di Larnwick, capitale del regno di Eniri. Dove vi trovavate quando è accaduto il fatto?

— Lenexa, si trova in Kansas, negli Stati Uniti. Ne avete mai sentito parlare?

— No, è un bel posto?

— Padre, non potete crederle!

— Figliolo, come sempre presti poca attenzione ai dettagli — replicò pacato Arthur alzandosi dalla sedia — Le hai chiesto l'età?

— Io... no, stava rubando Hayla.

— Quanti anni avete, mia cara? — domandò con un sorriso l'uomo

— Compirò 18 anni tra un paio di mesi, per quale motivo è così importante?

Nessuno dei due uomini rispose, ma entrambi avevano capito chi era atterrato nella loro stalla quella mattina, qualcuno che avevano atteso per molto, forse troppo tempo e che finalmente avrebbe risolto la situazione e riportato Eniri al suo vecchio splendore.

Eniri - Il Regno PerdutoWhere stories live. Discover now