10th

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Corinne



Quel lunedì la mia voglia di alzarmi dal letto era pari a zero. La sera precedente ero uscita con Michael e Calum e, complici gli innumerevoli drink che avevo bevuto, avevo finito per sfogarmi su tutta la situazione tra me e Luke nei minimi dettagli, dettagli che non avrei mai voluto condividere. Di conseguenza, ero tornata a casa con una sbornia e la testa piena di rimpianti - e di commentacci di Michael. Giuro che lo odio.

«Secondo me oggi non dovresti andare a lavoro», commentò mia madre, porgendomi una tazza di caffè, «Sembri uno straccio».

Mordicchiai un biscotto in attesa che il caffè si raffreddasse, pensando che dovessi prendere un'aspirina o qualcosa del genere. Ieri sera avevo esagerato, non ne era mia intenzione, ma Calum aveva avuto la brillante idea di andare in un locale di proprietà di suo zio - ergo potevamo avere qualsiasi cosa gratis - e nessuno di noi tre si sa controllare, quindi tendiamo sempre ad esagerare quando stiamo insieme. È un miracolo che sia tornata a casa sana e salva, a pensarci...

«Non posso mancare», sbottai, soffiando sul caffè prima di prenderne un sorso, «Non importa se sto bene o meno».

Mamma mi guardò in disappunto. «Sei proprio uguale a tuo padre, sempre a lavorare», disse, scuotendo la testa.

Sospirai. Forse la mamma aveva ragione, non dovevo andare a lavoro, soprattutto perché a lavoro avrei sicuramente incontrato Luke e non mi andava per niente di parlare con lui dopo gli avvenimenti del week-end. A proposito, non avevo ancora capito quale fosse il legame tra Riley e Luke oltre al fatto che i loro padri fossero soci. Quello mi sembrava un collegamento troppo debole per giustificare l'odio che sicuramente provavano l'uno per l'altro, e per giustificare le raccomandazioni di Riley... Forse Luke era stato con qualche sua parente? Forse aveva spezzato il cuore ad una sua ipotetica sorella. A chi avrei potuto chiedere?

«Non dovrei pensare al lavoro?», chiesi retorica, finendo il caffè. Adesso mi sentivo decisamente meglio.

La mamma scosse la testa, avvicinandosi a me. Mi scompigliò leggermente i capelli. «Sei cresciuta così in fretta negli ultimi due anni, adesso sei molto più responsabile. Proprio come tua sorella», notò, sedendosi a tavola.

Alzai le spalle. «Beh, sono successe tante cose in questa famiglia che mi hanno portato a crescere. Credo sia così per tutti, persino per Derek», riflettei prima che il mio cellulare squillasse. Lo afferrai e notai il nome di Thomas lampeggiare sullo schermo; quella mattina mi avrebbe accompagnato lui a lavoro. Dovrei smetterla di scroccare passaggi da chiunque... Il problema è che non ho un'auto e neanche i soldi per permettermene una.

Dopo aver buttato giù l'aspirina salutai mia madre con un bacio sulla guancia ed uscii di casa, vacillando più del solito sui tacchi a spillo. Avrei dovuto essere più stabile ora come ora, visto che li portavo quattro giorni su sette, no? Eppure continuavo a sembrare un'instabile ubriaca (definizione che quella mattina mi calzava a pennello).

«Sembri uno straccio», mi fece notare Thomas quando lo raggiunsi.

Gli lanciai un'occhiataccia. «E buongiorno anche a te», lo salutai sarcastica, salendo sulla sua auto.

Thomas scoppiò a ridere. «E dai, non prendertela. Ti stavo solo facendo notare una cosa».

Sospirai. «Secondo te non lo so che sembro uno straccio?», gli chiesi, chiudendo gli occhi, «Dio, mi fa così male la testa».

Thomas mi guardò con un sopracciglio alzato. «Sintomi della sbornia?», mi chiese, comprensivo, «Se vuoi ho delle aspirine nel vano portaoggetti».

Boss || Luke HemmingsWhere stories live. Discover now