27. Cosa covava nell'ombra

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Cato sorrise tra sé e sé e fu certo che con quella frase Kizia avesse perdonato ben più della citazione. Si strinse nel cappotto, sentendosi svuotato dopo l'intensa discussione con lei, ma anche stranamente conscio del fatto che uno scambio del genere sarebbe potuto accadere solo con un amico. Cercò di concentrarsi sui gatti, di cui si era quasi dimenticato dopo tutta la discussione che aveva occupato l'intero tragitto, appesantendoli. Sentì un piccolo tonfo sulle foglie secche e umide, un suono di zampe leggere e nel cono di luce gialla di un lampione vide Alma che aveva abbandonato la borsa e aveva deciso di scorrazzare liberamente. Si alzò sulle zampette posteriori e aspettò che Kizia la superasse per raggiungere il piccolo casotto di legno. Era uno sgabuzzino molto piccolo, con un tetto spiovente e una porticina chiusa con una grossa catena e un lucchetto grosso come un suo pugno. Kizia estrasse dalla borsa un mazzo di chiavi e a colpo sicurò e ne infilò una nel lucchetto che oppose non poca resistenza. Doveva essere rugginoso essendo all'esterno, ma si aprì comunque con un sonoro clack.

"Vuoi l'acqua o il cibo?" chiese Kizia, con un tono di voce che virava disperatamente verso una normalità.

"Acqua" rispose sicuro Cato allungando una mano e ricevendo un vecchio annaffiatoio di plastica arancione, mentre Kizia si armava di guanti di plastica e secchio di crocchette, pronta a nutrire felini come se non ci fosse un domani. Alma sembrava estatica tanto quanto loro. Per quanto fosse abituato ai suoi due mici e per quanto ormai avesse in mente dove di solito si nascondevano, non riusciva a vedere nemmeno uno dei gatti del parco. Di certo ce n'erano almeno dieci, nascosti nell'ombra a fissarli, ma sarebbero rimasti invisibili fino a che non avrebbero deciso altrimenti. Alma si staccò da loro e raggiunse il centro di uno dei vialetti del parco, punto in cui si alzò su due zampe e iniziò a guardarsi attorno annusando l'aria. Una prima zampa avanzò nella luce, dubbiosa. Apparteneva a un grosso gatto tigrato grigio e nero, con gli occhi fatti d'oro liquido alla luce del lampione. Si avvicinò con le orecchie tese e la testa bassa, circospetto, ad Alma annusando anche lui l'aria, fino a che non gli parve di riconoscere un odore familiare aleggiare. Non seppe se era quello di Kizia o quello di Alma, o la presenza spirituale di Alma, sta di fatto che alzò il muso, richiamato da qualcosa, e miagolò lievemente. Un altro miagolio rispose da dietro di loro e in poco tempo Cato si trovò ad assistere a un mare di felini, di tutti i colori, taglie e fogge. Alma era il fulcro della loro attenzione, ma non ci volle molto prima che si rendessero conto della presenza sua e di Kizia e del secchio dentro cui scrosciavano le crocchette, seguendo i passi della ragazza, colmo di quello che, per i felini, poteva essere descritto come ogni ben degli Dei. Dieci era stata una stima assolutamente ottimistica: iniziarono a essere seguiti da quasi una quarantina di felini, visibili, a occhio e croce. Cato era incredulo. Temette che gli avrebbero impedito di avvicinarsi alla fontanella a cui doveva riempire l'annaffiatoio, magari non riconoscendolo, ma avvenne tutto il contrario.

"Non ti preoccupare, loro capiscono molto più di quanto pensiamo" fu la risposta di Kizia alla sua muta preoccupazione. Il mare di gatti si aprì per farlo passare e raggiungere la fontanella. Aveva sempre saputo, da qualche parte dentro di sé che in qualche modo gli animali capivano ed erano coscienti di sé stessi e del mondo, ma non aveva mai lontanamente immaginato di interagire con loro nel modo in cui vedeva fare Kizia. Era arrivato a capire che era qualcosa di proprio a lei, come individuo, non lei come appartenente alla categoria strega. Erano tutte, sì, dotate di un'attenzione e un legame con la natura che non aveva mai visto negli umani, e aveva sempre imputato la cosa alla loro connessione con qualcosa di ignoto, una specie di energia cosmica. Ma Kizia era lì, attorniata da decine di gatti e li salutava e parlava loro come fossero stati suoi grandi amici di vecchia data, di cui sapeva vita, morte e miracoli, di cui conosceva i punti deboli, le gioie e i dolori. Si chinava ogni tanto, con una mano tesa a grattare una testolina pelosa che probabilmente era evitata dai più, perché i gatti selvatici non possono andare a farsi fare il bagno alle toelette per animali, ma non c'era nulla di paternalistico o superiore nel suo modo di fare. Per un secondo capì davvero cosa intendesse quando diceva che non vedeva tutta questa differenza tra gli animali comuni e i famigli.

Cave magamWhere stories live. Discover now