2.1. Forse oggi non verrai maledetto

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Tutto in quell'università era strano. Non tanto la struttura, che gli ricordava tanto la sua vecchia scuola elementare, quanto l'atmosfera. Tutti i cappelli a punta appesi agli appendiabiti sulla parete, quel modo di vestire che sarebbe stato guardato così male in qualsiasi altra università. E lo stemma, la luna e i tre grani, oro in campo viola. Viola, viola ovunque. Spille viola sulle giacche, sulle cartelle, rossetto viola o addirittura la responsabile dello scambio con il tailleur viola. Dire che si sentiva fuori luogo era un eufemismo. Ne aveva parlato con gli altri dopo la riunione del giorno prima. Livia era ancora sconvolta dal numero di cappelli a punta e dall'orario che si auto-aggiornava su una lavagna incantata. Gli altri due, Adriano e Ibrahim, invece erano più rimasti sconvolti dal numero di strighi e streghe, come se non ne avessero mai visti tanti in vita loro. Aveva provato a far notare loro che probabilmente allo stadio la domenica erano circondati da un numero ben maggiore di magici, ma non l'avevano preso seriamente. Soprattutto Adriano, "Grazie di avermi rovinato la domenica allo stadio, te ne sono proprio grato. Così grato che penso ti sputerò nel pranzo".

La verità era che nessuno di loro si sentiva a proprio agio. Erano letteralmente circondati da persone che avrebbero potuto fare di loro quel che volevano in uno schiocco di dita. Fuori dalla classe aveva sentito di cosa parlassero, di fatture, di bambole vudù, o di rune della limitazione. Non aveva ancora visto un singolo famiglio in giro ma temeva di veder spuntare un cavallo da un armadietto da un momento all'altro.

"Allora – aveva esordito Ibrahim – secondo me non è così diverso rispetto a noi. Le vedi quelle quattro, magistrali? Quarto anno? Quella vestita di bianco ha la faccia di una guaritrice o massaggiatrice magica, quella col poncho probabilmente magia della natura. Le altre due, amico, te lo dico io, evocano demoni per sport la mattina tra un oro saiwa e l'altro".

"E come faresti ad esserne così certo?" chiede Cato alzando le sopracciglia. "E poi scusa, non eri tu che dicevi che volevi fare colpo su una strega? Poi come la presenti ai tuoi?".

Ibrahim rise nervoso l'altro, passandosi una mano tra i riccioli scuri. "Non dirlo così. Mi fai sembrare un malintenzionato".

"Mai detto, fai tutto da solo" rispose l'altro alzano le mani in segno di resa. "Magari anche loro sussurrano tra loro di voler provare a conquistare un umano e poi non sanno come presentarlo ai propri genitori".

"Non vi sembra un po' presto per iniziare a parlare di fare colpo o chissà cosa, non siamo ancora riusciti a scambiare nemmeno una parola con loro" fece notare Livia appoggiando una mano sulla spalla di ciascuno dei due ragazzi. Adriano sembrava perso a cercare qualcosa nella sua cartella, evitando in toto la conversazione. Aveva provato a dirgli qualcosa il giorno prima usciti dall'Aula Magna ma non era stato di molte parole. L'aura di disagio attorno a lui era così palpabile da potersi tagliare con un coltello.

La conversazione era stata interrotta dall'arrivo dei professori che avevano aperto l'aula e fatto entrare tutti. Erano passati accanto alle streghe in corso con loro. Quella col caschetto di riccioli biondo chiaro li aveva squadrati senza troppa cura, per poi infilarsi nella porta un secondo prima di Livia. Una volta entrati si erano resi conto che le streghe si erano sedute tutte assieme da un lato della classe. Cato si sedette.

L'aula non era niente di speciale, esattamente come una classe di tutoraggio alla Politecnica. Sedie, banchi per due persone, cattedra, lavagna e gessetti. In un angolo giaceva un proiettore che sembrava avere almeno vent'anni, di cui almeno cinque passati ad accumulare un cospicuo strato di polvere. Adriano si sedette accanto a lui ed estrasse subito quaderno e penna per scrivere. Lo imitò distrattamente, mentre i professori si toglievano i cappotti e le streghe dall'altro lato della classe estraevano dalle borse quaderni, blocchi per appunti, penne e matite come qualsiasi studente normale.

Cave magamWhere stories live. Discover now