24. Cosa si nascondeva sotto la cattedra

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Sapeva benissimo come aveva fatto a farsi convincere. Non appena Chanej l'aveva chiamata dicendole di presentarsi fuori dalla Politecnica vestita comoda aveva intuito che qualcosa stesse bollendo in quella testa rapata. Pallia non era uno stinco di santo lei stessa quindi al posto di pensare che forse era meglio starsene al caldo in casa e poi farsi una doccia bollente prima di andare a dormire, aveva pensato bene che fosse una buona idea uscire. Aveva messo dei pantaloni da ginnastica, ma ora se ne pentiva. Appena il sole era calato la nebbia era lievitata diventando densa e lattiginosa, un'enorme coperta stesa sulla città. Inizialmente non aveva nemmeno notato Chanej davanti all'edificio. Le strade erano pressoché deserte e la cosa non la lasciava tranquilla. Gerda, dalla tasca della giacca, pigolava infastidita. "Avresti dovuto pensarci due volte prima di uscire, chissà cosa ha in mente!". Un brivido le corse lungo la schiena quando intravide una figura allampanata camminare verso di lei. I tratti si liberarono dalla nebbia uno a uno, rivelando la faccia conosciuta di Chanej. Era vestita come uno di quegli strani umani che escono a correre la mattina presto, non con il solito cappotto grande tre volte lei. Aveva anche uno scaldacollo e un cappello di lana nera calato sulla testa.

"Mi chiedo perché tu abbia chiamato solo me" le disse appena fu a portata di voce.

"La mia idea era chiamare tutte e tre, ma Kizia non risponde e Tibu sappiamo bene entrambe essere l'ultima persona che deve essere coinvolta in questa cosa".

Per quanto desse fastidio, Chanej aveva ragione. Pensò a che razza di stupide dovevano essere per pensare che tutto quello fosse una buona idea, ma dall'altro lato c'era solamente l'opzione di assistere pacificamente all'oppressione del proprio popolo, e se c'era una cosa che sua mamma le aveva insegnato con chiarezza era che la libertà non andava messa e repentaglio per alcun motivo al mondo. Si appoggiò una mano sulla bocca dello stomaco e inspirò profondamente, aspettando che i cristalli sugli anelli che portava alla mano destra catalizzassero le energie che le servivano. Aspettò qualche secondo, in completo silenzio, ma on sentì nulla nell'aria, nessuna vibrazione sospetta, e soprattutto nessun pericolo.

"Avremmo potuto chiamare anche gli umani, a questo punto" rispose Pallia, infilandosi le mani in tasca, senza disturbare troppo Gerda, anche lei intabarrata in un piccolo maglione formato topo.

"Ci ho pensato anche io, ma oggi Cato mi ha fatto notare che noi volendo potremo evitare di entrare alla Politecnica in futuro, loro no. Non devono essere coinvolti in questo tipo di cosa" rispose seria. A Pallia sembrò di percepire una punta di dispiacere nel tono della ragazza.

"Ti dispiace che non siano qui?" la stuzzicò. Lei non avrebbe avuto nessun problema a dire che la presenza di Ibrahim avrebbe solo contribuito, ma Chanej aveva ragione. Non potevano rischiare di essere riconosciuti e poi visti in università.

"Bhe sì. Sarebbe stato più facile fare una foto al volantino in ogni caso" rispose mostrando il telefono. "Avrei potuto chiedere a Livia, dato che oggi è rimasta in università fino a tardi, ma non volevo farla trovare dove abbiamo trovato il primo foglio, così sono entrata io dopo la fine delle lezioni".

Pallia prese il telefono e guardò l'immagine. Esattamente come il manifesto precedente, anche questo non le diceva assolutamente niente. Adriano aveva mandato una lista ordinata di indicazioni su come interpretare quel tipo di codice, ma senza il riferimento sottomano, era impossibile. Chanej doveva aver fatto pratica perché lo lesse senza problemi. "Vedi quella mano sul lato sinistro del foglio?"

"Quella con accanto un quadratino?". Chiunque avesse disegnato quella mano aveva la stessa manualità di un mutilato di guerra. Quella mano desiderava ardentemente essere una zampa di gallina, per quanto sapesse di essere destinata a rimanere una mano. "Cosa dovrebbe significare?"

Cave magamWhere stories live. Discover now