11. Non c'è peggior sordo

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"Non è quel che intendevo – la rimbeccò immediatamente Pallia. – Mi sembra peggio, però, non dire nulla. Faremmo esattamente come tutte le generazioni prima di noi, una volta visto il problema lo ricacciamo sotto il tappeto o semplicemente smettiamo di parlarci".

In effetti come ragionamento non faceva una piega.

"Non possiamo nemmeno buttar via tutto quello che abbiamo imparato gli uni sugli altri in queste settimane".

"Sono conoscenze che chiunque potrebbe reperire in una biblioteca, Pallia" rispose di nuovo Kizia, evidentemente era più che una giornata no, ma sospettava ci fosse di più sotto rispetto a quanto si poteva immaginare.

"Non me ne importa un fico secco, Ki. Io non voglio buttarle via, e non ho letto queste cose in un libro. Quindi, voi fate quello che volete, io non ho la benché minima intenzione di buttare via tutto questo. Qualsiasi cosa questo sia. Non è perché i nostri antenati si sono odiati, allora dobbiamo odiarci anche noi. Dobbiamo prendere quel male che ci siamo fatti e fare ammenda, chiedere scusa, anche se non siamo stati noi fisicamente a farlo. Se no non si andrà da nessuna parte. E in aggiunta io non ho la minima intenzione di fare un progetto da sola, quindi potrebbe essere il caso di organizzarci".

"Davvero, non penso sia il caso" stava per dire Livia, ma fu interrotta da Ibrahim. "Io invece sì. Siamo tutti abbastanza scossi dalla situazione, non ci stiamo chiedendo di tornare a ridere come se niente fosse, ma di fare fronte alla questione assieme. Se vuoi lavorare con me, io ci sto"

"Ottimo. Grazie. Questa è della sana e ottima collaborazione".

"Già che ci siamo – avanzò Tibu – io avrei un favore da chiedere a te Ibrahim". Il ragazzo si voltò verso di lei. "Dimmi".

"Cato mi ha detto che hai una macchina qui a Mediterra. E io stasera devo andare a un teatro dall'altra parte della città per il consiglio dei rappresentanti. Il problema è che lì la metropolitana non arriva, e non mi fiderei a prendere una circolare alle nove di sera. Ti scoccerebbe darmi uno strappo?"

"Affatto. In che zona sei?"

"Posso farmi trovare dove vuoi. Il teatro è in zona Piazzale Censori, a sud. Io sto in zona Città Studi, completamente dall'altro lato"

"Aspetta, Censori non è lontano da Protettori della Repubblica, vero?"

Adriano estrasse il cellulare dalla tasca e mostrò la mappa a Ibrahim. "No, è a nemmeno un isolato di distanza. C'è la partita di qualificazione questa sera, se vuoi possiamo andare al bar a vederla".

"Partita?" chiese Pallia. "Andate a vedere la partita al bar?"

"Sì? Perché?" chiesero gli altri due, un attimo confusi dalla domanda. Era una cosa estremamente normale, anzi, di moda, ma non da richiedere così tanto entusiasmo.

"Posso imbucarmi? Vi prego, non ho mai nessuno con cui andare a vedere la partita al bar, ai magici generalmente non piace il calcio!". Cato non se lo sarebbe mai aspettato, ma Pallia iniziò a fare dei piccoli saltelli sul posto, come se a stento potesse trattenere l'eccitazione.

"Ma per me non c'è assolutamente nessun problema. Anzi, di solito siamo sempre io e Adri e ci paccano gli altri due, quindi sei la benvenuta. Vi passiamo a prendere a questo punto, scarichiamo Tibu al teatro, noi andiamo al bar, quando Tibu ha finito ci scrive e vi riportiamo a casa. Per me non è un problema".

"Dovrò avvertire a casa che sto fuori stasera" disse preoccupato Adriano.

Tibu ringraziò profondamente Ibrahim e sorrise, sempre tenendo le distanze. Poteva capirla, era scossa e probabilmente non era pronta a ignorare tutto quanto appena avvenuto in classe.

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