DARKER//kookv

By fiamminga95

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"Due cuori, la stessa cicatrice" [COMPLETA] +++ Taehyung è un attore che dopo tanto tempo torna in corea per... More

Personaggi e Avvertenze
Prologo
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Epilogo

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By fiamminga95

Avvertenze: contenuti forti. Se non volete leggere, alla fine del capitolo troverete una breve sintesi così potrete andare avanti con la trama nei prossimi capitoli



Capitolo 36

Overdose pt. 2





Taehyung era io ospedale.

Non aveva spiegato al banco del pronto soccorso che cosa gli era successo, ma aveva detto di essere stato aggredito. L'infermiera l'aveva guardato e non aveva detto niente, ma aveva abbassato gli occhi sul suo collo macchiato di viola, gli occhi stanchi e i pantaloni macchiati di sangue che aveva cercato di tenere nascosti legandosi una giacca intorno alla vita.

Quando il dottore lo aveva visitato gli aveva espressamente chiesto: «Devo chiamare la polizia?»

Taehyung aveva scosso la testa. I segni che i suoi vestiti nascondevano parlavano chiaro di quello che era successo, e ora intontito dalle medicine e gli anti dolorifici che aveva ottenuto, si era andato a cambiare in un bagno, aprendo la sua valigia e mettendosi addosso altri vestiti, dopo aver provato a pulirsi un po'. Il dottore comunque aveva fatto la maggior parte del lavoro.

Si sarebbe risparmiato l'umiliazione ma non poteva tornare a casa e non poteva partire in quelle condizioni. Aveva ancora tempo per lasciare l'ospedale e andare in aeroporto.

Sentì delle sirene, e qualcuno precipitarsi all'ingresso del pronto soccorso. Facevano più chiasso, ma non era la prima volta che sentiva le sirene dell'ambulanza da quando era entrato lì. Uscito dal bagno, andò a cercarsi un posto a sedere, per riposarsi, anche se stare seduto gli faceva male ... ma del resto anche stare in piedi o sdraiato, o sveglio.

«Hai sentito?» disse un infermiere, al bancone che sorpassò. «Chi è arrivato adesso? Lo stanno ricoverando ... per un'overdose»

«Eh, quanti ne ho visti» disse una donna mentre scriveva qualcosa al pc, senza interessarsi.

«Ma no, non hai capito. Hanno ricoverato Jeon! Pensano fosse suicidio»

Taehyung si fermò, prima di potersi sedere. Guardò intensamente la sedia, anche se aveva le orecchie aperte.

«Eh? Quello dell'azienda di auto? Il miliardario?!» la donna al pc alzò la testa, ritrovando interesse.

«No, non lui» corresse l'infermiere «il figlio»

Taehyung si appoggiò al muro, sentendosi svenire. Cosa? Di cosa stavano parlando?

«Aspetta ...» disse la donna «Ma non era già successo? Sì, ti ricordi lo scandalo? Non si era uccisa pure la madre?»

«Appunto!» disse l'infermiere, cominciando a parlare più animatamente. Stava ricordando il suicidio della signora Jeon «Non è raro che queste cose si ripetano, in famiglia» spiegò alla fine.

Taehyung cadde a terra, sentendosi svenire. Sentì che qualcuno provava a riprenderlo «Signore? Sta bene? Sta bene, come si sente?» era lo stesso infermiere che si era voltato a guardarlo, quando aveva battuto con un tonfo a terra.

Vide nero, e poi riaprì gli occhi, e gli anti dolorifici non riuscivano a non fargli sentire il cuore che si apriva a metà.

+++

Aprì gli occhi e la prima sensazione che provò fu delusione.

Era ancora vivo.

Batté le palpebre e la seconda sensazione che provò fu che si sentiva uno schifo. Riconobbe il biancore del letto dell'ospedale, la luce al neon bianca che faceva male agli occhi e un sapore amaro in bocca che non aveva niente a che fare con l'amarezza di ritrovarsi a respirare ancora una volta.

Suo padre l'aveva fermato.

Di nuovo.

Chiuse gli occhi, e di nuovo non provò altro che odio. Non aveva più nemmeno la libertà di morire, poteva solo vivere come voleva lui, mentre lui aveva il controllo su tutto quello che era, che aveva, che pensava ... che amava.

Taehyung.

Fu strano. Perché quando pensò il suo nome aprì gli occhi e lo vide lì davanti a lui. Non aveva abbastanza energie per parlare, ma ruotò gli occhi verso il suo angelo, almeno accontentandosi di quella visione delirante della sua mente e ... no. No, la sua mente gli avrebbe offerto una migliore visione di Taehyung.

Il ragazzo era davanti a lui per davvero. Gli mancò il respiro, quando lo vide pallido, la pelle come un sottile velo di carta, gli occhi incavati, rossi, i capelli in tutte le direzioni, segni rossi sul collo che la maglia che portava non riusciva a nascondere bene.

Era lì. Si agitò e provò a muoversi, ma tutto il suo corpo faceva male.

Taehyung lo guardava come gli angeli che si mettono sopra le tombe e le lapidi. I suoi occhi erano spenti, non c'era più traccia della sua bellezza nel suo viso.

Jungkook allungò una mano davanti a sé, debolmente, ma non riuscì ad alzarla. Taehyung notò il suo movimento e provò a prendergli la mano, ma prima di toccarlo si fermò e si sottrasse, nascondendo le mani dentro le maniche delle tasche.

«Kookie, che cosa hai fatto?» chiese, la sua voce un sussurro disperato.

Mi dispiace. Mi dispiace, angelo mi dispiace. Non lo pensava per sé stesso, e non si riferiva a quello che aveva fatto. Se fosse morto, non avrebbe dovuto affrontare le conseguenze e nemmeno vedere l'espressione distrutta del suo amore davanti a lui. Gli dispiaceva per Taehyung, perché era colpa sua. Non l'aveva protetto e non l'aveva aiutato ed erano finiti così.

Era debole, e fragile, e incapace di prendersi cura di lui, quando Taehyung avrebbe meritato tanto, troppo di meglio di tutto questo.

Taehyung strinse gli occhi e le lacrime gli scesero sul viso, silenziose, agli angoli degli occhi. Jungkook fece un rantolo che non era né una parola o una frase, solo un debole sospiro.

«Perché lo hai fatto?» si sentì chiedere, ed era troppo difficile da spiegare. Non gli sarebbero bastati mille anni a parole per dirlo, e non certo un'occhiata silenziosa ora che il suo corpo era distrutto come la sua anima. «Kookie ... non ... non ...»

Taehyung si nascose il viso tra le mani e singhiozzò. Jungkook provò a raggiungerlo di nuovo, provò di nuovo ad alzare la mano ma non ci riuscì.

Taehyung rimase a piangere in silenzio vicino a lui, di nuovo come gli angeli sulle tombe. Jungkook si sentiva così, il suo corpo era un involucro vuoto, una tomba non ancora riempita, anche se ci aveva provato, a morire. Ma non aveva la libertà di fare nemmeno quello.

«Ti avevo chiesto di smettere. Ti avevo chiesto ...» le sue parole vennero soffocate di nuovo dai suoi singhiozzi e Jungkook non poteva rispondere.

«Guarda dove siamo finiti» continuò Taehyung, pulendosi le lacrime con le mani «Non ... Abbiamo fatto un bel sogno, per poco» disse, amaramente « Ci siamo svegliati, non è vero?»

No. No, Jungkook continuava a dormire, perché tutto si era trasformato in un incubo orribile. Il suo respiro accelerò e Taehyung tornò a guardarlo.

«Mi dispiace, Jungkook ma non ce la posso fare» gli disse, con voce bassa «Non posso più stare con te se è questo il risultato, se è questo quello che dobbiamo affrontare. È impossibile, anche se ci abbiamo provato»

Lui scosse la testa e rantolò di nuovo, sentendo il panico salirgli di nuovo nel petto. No, non era impossibile. Non era colpa di Taehyung, non era colpa sua, era colpa di suo padre.

Non avevano nemmeno provato.

Taehyung strinse le labbra, ma continuava a piangere «Penso di non essermi mai sentito così male in vita mia, Kookie» ammise «Non volgio più ... non voglio più sentimi così. Non se fai questo. Non se è questa la nostra vita»

Perché non lo ammetteva? Pensava Jungkook. Perché non diceva la verità e diceva che c'era suo padre dietro di loro, che era lui la causa di tutto questo. Era per lui che non potevano stare insieme, era sempre lui la ragione di tutta la sofferenza della sua vita.

Taehyung allungò piano la mano e toccò le sue dita con le sue, delicatamente, dolcemente, guardando la sua mano poggiare sopra l'altro. Jungkook provò a stringerla ma era così debole che riusciva a malapena a muoverla.

«Mi dispiace che sia finita così, Kookie»

No, non dirlo.

«Mi dispiace, ma forse non doveva nemmeno cominciare»

Scosse la testa. No, non dirlo. Non dirlo.

«Anche se ...» Taehyung deglutì e tirò su col naso. «Nonostante tutto, Kookie, ti prego non farlo mai più. Anche se non ci rivedremo ... non farlo mai più ti prego» gli strinse la mano e tornò a guardarlo in viso. Jungkook respirava velocemente, e se non fosse stato così male, avrebbe già avuto un attacco di panico. «Anche se non ci rivedremo» - Non dirlo! - «Non dubitare mai, nemmeno per un momento che ti amo davvero. L'ho sempre fatto e non smetterò mai. Ti prego ... non uccidere la persona che amo. Non ho nient'altro»

Lasciò andare la sua mano delicatamente e Jungkook provò a riprenderla. Si sforzò con tutto il corpo e con tutta la sua volontà per riprenderlo.

Taehyung fece un passo indietro e Jungkook rantolò e annaspò per prenderlo di nuovo.

No. Non te ne andare.

Non te ne andare.

Taehyung lo guardò un'ultima volta e disse, con un piccolo sorriso addolorato, «Addio, Kookie»

Uscì e si richiuse la porta alle spalle.

Se Jungkook avesse potuto urlare lo avrebbe fatto ma dalla sua bocca uscì solo un soffio. Se gli avesse potuto correre dietro lo avrebbe fatto, si sarebbe messo a strisciare a terra, di nuovo, ma nemmeno poteva muovere le gambe.

Piangeva per il dolore, la frustrazione e il cuore spezzato, annaspava nell'aria come se stesse annegando.

I macchinari a cui era legato cominciarono a suonare all'impazzata, mentre provava a muoversi. Non poteva vedere Taehyung andarsene via. Sarebbe stato meglio morire per davvero. Arrivarono due infermieri che lo fermarono e gli intimarono di stare fermo, anche se non lo potevano sedare.

Non sapeva da quanto si stava provando a liberare che suo padre entrò nella stanza, forse attirato al frastuono.

Aveva il suo miglior completo addosso, aveva i capelli pettinati all'indietro e sembrava l'uomo più rispettabile del mondo.

Lo guardò, dietro i due infermieri, alzando un sopracciglio e Jungkook poté sentire i suoi pensieri, anticiparli come se fossero i suoi: "Quanta scena" sembrava dire suo padre "Sei patetico"

Jungkook lo fissò dritto negli occhi, il proposito di morire improvvisamente dimenticato. Tanto era ancora vivo, e suo padre non gli avrebbe permesso di riprovarci di nuovo, questo era chiaro. Non si poteva liberare con la morte, allora lo avrebbe fatto con la vendetta.

Davanti ai piedi dell'uomo che chiamava padre c'era la sofferenza sua, di Taehyung e di sua madre.

Suo padre fece un passo indietro, sotto il suo sguardo.

È colpa tua. Pensò, con tutta la forza mentale che aveva e sapeva che suo padre stava capendo. Non poteva parlare ma solo rantolare come verme, ma suo padre gli aveva già visto fare quello sguardo, davanti al corpo di sua madre.

È colpa tua! Ripeté nella sua mente.

È colpa tua e io non lo scorderò mai.













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Taehyung osservava dalla finestra il brulichio di vita che c'era a Los Angeles, fuori dal palazzo bianco in cui era entrato. Con un diploma in mano, preso da lontano, si voltò quando qualcuno chiamò il suo nome. Una donna attirò la sua attenzione e gli fece segno di entrare.

Una volta entrate nell'ufficio, si sedette, a disagio.

Davanti a lui c'era un uomo sulla cinquantina, che quando lo vide sorrise. «Piacere di conoscerla, Kim Taehyung»

«Uh» si strinse nelle spalle «Piacere mio» disse.

L'uomo sorrise «Mi hanno fatto vedere il suo portfolio e devo dire che lei è anche sprecato come attore, quando con la sua altezza e la sua faccia potrebbe camminare su una passerella». L'uomo davanti a lui sfogliò delle pagine da un quaderno, dove Taehyung poteva vedere delle foto di sé stesso, quelle che aveva spedito.

«Le sembrerà strano» disse, a bassa voce e timidamente «Ma non sono molto a mio agio con le persone. La telecamera è più amichevole»

«Capisco benissimo» l'uomo si leccò distrattamente le labbra e tornò a guardarlo, incrociando le braccia «Perciò lei è un tipo timido? Si può sempre migliorare. Il successo di solito aiuta ad aprirsi»

«Oh, non ambisco davvero al successo. O meglio, non ci spero» disse, rigirandosi nelle mani lo strappo sulla coscia del suo jeans «Vorrei solo fare quello che mi piace fare. Non ... ho molto altro a cui pensare»

«Nessuna famiglia in Corea?» chiese, con uno strano interesse.

Taehyung scosse piano la testa e abbassò lo sguardo. «Voglio solo lavorare e sono disposto a fare tutto per questo. Voglio ... voglio avere qualcosa di mio da guardare e da apprezzare» spiegò alzò timidamente lo sguardo «è così strano?»

Kim Soowon fece uno strano ghigno, dondolandosi nella sua sedia girevole, ma Taehyung non riusciva a dargli un significato.

Non ancora.

«Oh, no. Tutt'altro mio caro»





+++




Jungkook alzò lo sguardo dal suo letto, mentre sentiva il corpo bruciare.

Era di nuovo in gabbia. Era di nuovo chiuso in un loculo dove suo padre lo voleva.

A disintossicarsi.

Quando stava bene, o quando gli davano il metadone per alleviare i sintomi dell'astinenza, Jungkook era quasi d'accordo con suo padre. Era arrivato ad un punto in cui, dopo il suo tentato suicidio, il suo corpo aveva bisogno di dosi sempre più grandi, anche se per ansi si era mantenuto dal prendere dosi troppo forti.

Non era uno di quei momenti. Sudava e respirava a fatica, e nella sua testa pensava solo a come avrebbe potuto strozzare l'infermiera di passaggio per rubargli le chiavi dell'armadietto del metadone. Non c'era nessuna traccia del sé razionale che, da sveglio, da cosciente, gli diceva che stava facendo bene.

Non aveva un obbiettivo, del resto?

Doveva liberarsi. Doveva trovare il modo di sfuggire alla gabbia e colpire suo padre, ed avere indietro Taehyung.

Il pensiero di Taehyung lo calmò per un attimo, prima di innervosirlo ancora di più. Diede un calcio al mobile dell'armadio, senza considerare il dolore al piede.

Con un urlo rabbioso, quello che lanciava tutte le notti, ripensava a Taehyung. Il suo Taehyung. Il suo angelo, la sua unica gioia e il suo unico amore, l'unica cosa buona e sacra della sua vita, distrutta e mandato lontano da suo padre, che ancora di più ora non gli aveva lasciato niente.

Jungkook non aveva più niente, ma si sarebbe ripreso quello che voleva.

Non era del resto, figlio di suo padre?

Suo padre era un maledetto bastardo figlio di puttana che avrebbe marcito all'inferno e se proprio voleva vederlo andare in pezzi e bruciare per poi risorgere come lui, era quello che stava accadendo, era quello che voleva.

Jungkook bruciava per la febbre dell'astinenza e per l'odio nelle vene e l'unica cosa che adesso lo mandava avanti, fin da quando aveva visto la delicata e bella schiena di Taehyung uscire per sempre dalla porta della sua vita, era riaverlo indietro.

Avrebbe ucciso, picchiato e stuprato anche lui stesso, così come suo padre aveva fatto, per riavere Taehyung.

Digrignò i denti, sentendo quel poco – pochissimo – di sanità mentale che aveva sfuggire via dalla sua mente.

Dopo ore a maledire il nome di suo padre e della sua famiglia, non seppe quando il suo sguardo cade sul quaderno che aveva sulla scrivania della piccola cella.

Un diario, così aveva detto il dottore, per scrivere i suoi pensieri. Quali pensieri? Aveva solo odio e rabbia, e un amore spezzato che gli stava avvelenando il cuore, che cosa doveva scrivere?

La verità avrebbe fatto accapponare la pelle a chiunque.

Aprì il quaderno che ancora manteneva tutte le pagine immacolate e prese la penna in mano.

Nessuno voleva la verità e a dire il vero nemmeno lui.

Perciò scrisse, scrisse dei suoi diavoli e dei suoi draghi che non poteva sconfiggere, perché diversamente da quello che avrebbe voluto quand'era piccolo ... non era un principe.











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La sua camicia era rassettata. Era bianca e immacolata, mentre la cravatta nera era lucida e pulita.

La giacca su misura lusingava bene le sue spalle larghe. Lo specchio gli restituiva una bella immagine. Era giovane, era bello e in ordine. Era ricco. Fece un passo indietro, ammirandosi e guardandosi nei suoi occhi spenti.

Aveva la faccia morbida di sua madre, gli occhi tondi e grandi erano come quelli che aveva avuto lei. Sperava di somigliarle molto, in quel momento. Anche se per un attimo poteva far riviver sua madre con quell'espressione, il suo corpo e la sua stazza, la sua postura e il suo mento alto erano quelli di suo padre. Da lontano, di profilo o da dietro, era proprio come lui, una più piccola, più giovane versione di lui.

Non era forse quello l'obbiettivo?

Si leccò le labbra, voltandosi dallo specchio e uscendo dalla sua camera. Non aveva particolare intensione di ritornarci mai più. Non c'era più niente di suoi lì dentro e avrebbe dato volentieri fuoco a tutto, anche ai mobili di sua madre.

Le sue scarpe rigide e lucide picchiettavano sopra il pavimento di legno.

Aveva comprato una nuova casa, e non aveva più bisogno di ritornare lì, di vivere ancora in quella camera dove due anni e mezzo fa aveva provato ad uccidersi, tra quelle mura che mantenevano il ricordo delle urla di sua madre e di Taehyung.

Passando davanti alla finestra, diede un'ultima occhiata alla dependance vuota, com'era vuota anche la casa.

Dopo sua madre, dopo Taehyung, non c'era più nessuno che la riempisse davvero, lui e suo padre erano stati solo dei fantasmi che aveva strisciato tra quei corridoi.

Ora che era diventato co-CEO con suo padre, in sua vece aveva potuto fare tutto quello che fino a quel momento non poteva.

Alcuni dei suoi dipendenti, uomini più anziani anche di suo padre, avevano pensato che sarebbe stato facile prenderlo in giro. Poveri idioti. Suo padre aveva diretto la loro azienda con il pugno di ferro e lui l'avrebbe fatto con la paura. Un mese, gli era bastato un mese e ora nessuno più si permetteva di metterlo in discussione.

Mise le mani in tasca, sentendo i capelli dondolargli davanti alla fronte.

Il suo corpo era sano, era rigido ed era forte. Persino il suo viso era diventato più squadrato da quando aveva cominciato ad allenarsi, con la dedizione e il desiderio un pazzo di mente, ma del resto non si riteneva qualcosa di diverso.

Si fermò davanti ad una grande porta, la camera di suo padre.

Fuori c'erano due uomini, o meglio, due ragazzini. Dove suo padre li avesse pescati, non lo sapeva. Ma probabilmente erano altri suoi piccoli progetti malati. Uno era silenzioso, l'altro lo guardava con un'espressione spiritata.

Lo vide leccarsi le labbra. «Sei vestito a lutto, Jeon. Chi è morto?» disse Hueningkai.

Beomgyun, dall'altra parte della porta, gli lanciò un'occhiata ma non disse niente.

Jungkook gli lanciò un'occhiata silenziosa e il ragazzino rise, mentre si voltava per andarsene. Beomgyun prima rimase perplesso, poi lo seguì, lanciando solo una piccola occhiata incerta a Jungkook, che rimase a chiedersi solamente cosa avesse fatto suo padre a quei due, o a tutti e cinque i suoi nuovi ragazzi. Lui era suo figlio e nonostante tutto, era stato trattato con un certo perverso riguardo.

Entrò nella stanza e trovò altre tre persone vicino ad un letto. Yeonjun e Soobin erano ai lati del letto, mentre un ragazzo, Taehyun stava scrivendo su un portatile. Si voltarono a guardarlo entrare, compresa la persona nel letto.

Jungkook non cambiò la sua espressione marmorea e rimise le mani in tasca.

Suo padre, dal letto, fece segno ai ragazzi. «Ne parliamo più tardi» disse con la sua bassa e gracchiante.

Era soffocato da un tubo che gli scendeva fin dentro i polmoni e lo aiutava a respirare. Jungkook si avvicinò, quando due ragazzi si allontanarono come ordinato, mentre Soobin rimaneva al fianco del letto di suo padre, con sguardo disinteressato solo all'apparenza.

Jungkook si sedette alla sedia vicino al letto di suo padre.

Il vecchio uomo lo guardò e chiese: «Come va in azienda?»

«Bene» disse lui e non avrebbe aggiunto altro. Quella maledetta azienda era stata la sua vita, il suo unico amore e la sua unica passione ed ora era prematuramente passata nelle mani di Jungkook che non aveva nessuna intenzione di renderlo parte dei suoi progetti. Il vecchio Jeon non sarebbe mai più potuto tornare a lavoro, non si sarebbe mai più ripreso.

Lo guardò senza pietà, sentendo solo una piccola punta di soddisfazione. Suo padre era stese su un letto, metà del suo corpo era completamente immobile, come metà della sua faccia cascava di lato. I suoi capelli erano diventati tutti bianchi, dopo il colpo.

Jungkook ricordava il giorno dell'incidente. Se chiudeva gli occhi poteva sentire il dolce suono delle ambulanze e delle persone che urlavano. Sul momento era rimasto impietrito e molti presenti gli avevano attribuito un naturale panico quando un figlio rischiava di assistere alla morte del padre.

Lo aveva visto cadere a terra, durante una riunione concitata, nella quale suo padre si era messo ad urlare.

Un ictus, e tutto il suo lavoro, tutti i suoi sogni erano passati nelle mani di Jungkook, che era rimasto in ospedale ad aspettare pazientemente la notizia della sua morte.

Notizia mai avvenuta, perché suoi padre era ancora lì, messo comodamente nel suo letto con tutte le attrezzature necessarie, per farsi accudire a casa dalle mani amorevoli di suo figlio.

Jungkook comunque non aveva avuto molto tempo. Si era dedicato di più a fare violenza psicologica, persino più raffinata e più sottile di quella di suo padre, a chi lavorava introno a lui.

Si guardò le mani e si aggiustò le maniche della giacca, riassettandole distrattamente.

«Parlami» disse suo padre «Che ne sai tu di come si dirige l'azienda»

«Pensavo mi avessi insegnato tutto» rispose lui, sempre concentrato sui suoi bottoni delle maniche. Proprio non volevano stare in ordine.

«Tsk» disse suo padre «Sei un ragazzino. Stupido e debole, anche se ti atteggi a grosso leone. Io ti conosco Jungkook. Farai fallire l'azienda»

«Per quello c'eri già tu» commentò come se niente fosse Jungkook «Sarà un po' complesso riportare tutto alla normalità ma ti assicuro che dopo i grossi errori che hai fatto in questi ultimi cinque anni, potrò fare di meglio»

«Non crederlo» disse suo padre, con asprezza, anche se la sua voce era gracchiante «Non sei niente senza di me»

«Concordo»

Soprese suo padre, che lo fissò. Jungkook accavallò le gambe e lo fissò, risistemandosi comodamente sulla sedia. Suo padre lo osservava con occhi fissi e scuri. «Perché sei sorpreso?» gli disse, facendo un mezzo sorriso «Riconosco i tuoi meriti. Sono quello che sono grazie a te, e questo lo ammetto con facilità. Sono davvero sicuro che ci hai messo un grande impegno a crescermi e che il mio successo era uno dei tuoi obbiettivi principali della vita. Un buon padre fa questo»

Jungkook fece scivolare lo sguardo sul vecchio corpo di suo padre e si succhiò l'interno della guancia. Gli occhi di suo padre rimanevano fissi sulla sua faccia.

«Vedi» continuò Jungkook «I medici dicono che non ti riprenderai» spiegò: «O forse lo farai nel giro di anni ed anni. Non puoi lavorare in azienda ed è noto che dopo un ictus il cervello non funziona più come prima. Sono dell'opinione che adesso ... tu non serva più»

«Come ti permetti ...»

«Oh, non ti agitare, non voglio farti sentire male adesso» Jungkook agitò piano la testa «Non c'è bisogno di prendersela male per questo ... la vita è tutta fatta di alti e bassi. Cos'è che mi dicevi sempre?» fece finta di non ricordare «L'importante non è il denaro, ma il potere e la forza del nostro nome» lo guardò di nuovo «Non hai più potere, papà» disse, facendo scoccare la lingua.

«Tu pensi»

Jungkook lanciò un'occhiata a Soobin che era ancora immobile e in silenzio, e fece una mezza risata. «Oh, andiamo. In questa famiglia si è data importanza solamente al buon nome e alle buone apparenze. Non abbiamo sempre nascosto la debolezza e la fragilità. Il fatto è che, papà» e lo disse come un insulto «sei debole e fragile. E inutile» fece una mezza smorfia, mentre suo padre digrignava i denti «Non hai avuto nient'altro di importante nella tua vita che non fosse il tuo potere e l'azienda» sorrise, compiaciuto «Ora è mia»

«No. È ancora mia, finché avrò fiato in corpo»

«Oh» Jungkook ridacchiò «è vero»

Suo padre lo guardò in silenzio ma il sorriso di Jungkook si aprì ancora di più e la sua risata diventò sempre più forte «Scusa, scusa papà ma avevo bisogno di godermi il momento. Guardami in faccia. Lo sai che ora io ho il potere in mano. Ora io rappresento la famiglia, ora io dirigo l'azienda, ora io porto avanti il nostro nome e devo ringraziare dio di avermi dato questo piccolo vantaggio perché ora sei qui su un letto, inutile come un pezzo di decorazione da muro» ridacchiò «Mi dispiace deluderti su una cosa però»

«Che cosa?» disse suo padre, con rabbia.

Jungkook fece spallucce. Si alzò dalla sedia e si avvicinò al letto, torreggiando sulla sua piccolo e fragile figura «Se fossi davvero come tu mi volevi ti somiglierei di più e penserei di tenerti qui a marcire per più tempo, tornado di tanto in tanto a guardarti per divertirmi» spiegò, sedendosi sul letto e guardandolo negli occhi «Come hai fatto con la mamma»

Gli occhi di suo padre si aprirono leggermente e il ghigno di Jungkook si aprì ancora di più. «Te la ricordi, la mamma? Il tuo piccolo segreto disdicevole, una donna malata di depressione causato da non so quanti anni di abusi. Sono fiero di lei» spiegò «Te l'ha fatta in barba quando si è uccisa, esponendo così il vostro piccolo segreto al pubblico, non è vero?»

Non avevano mai parlato di sua madre dal giorno in cui era morta, le uniche volte che veniva nominata da suo padre era come riferimento per Jungkook, come un insulto. Il giovane uomo sorrise.

«Sono sicuro che è fiera di me anche lei, adesso» disse con convinzione «Tu le hai tolto tutto, e ora io ho tolto tutto a te» sorrise e sperò che la sua faccia ricordasse così tanto sua madre da far venire i brividi all'uomo che aveva davanti «Ma il punto è che questa è una piccola parte di soddisfazione. Sono sicuro che Dio ti ha punito per quello che hai fatto alla mamma, dandomi quello che tu vuoi di più e rendendo te ... impotente. Però non c'è solo la mamma da vendicare» disse, con un mezzo sussurro e abbassandosi su suo padre.

L'uomo spalancò gli occhi e forse, nella sua piccola mente perversa e bruciata dai farmaci e dall'ictus, comprese.

«Taehyung» disse piano Jungkook.

Da anni non si permetteva di pronunciare il suo nome, lo manteneva solo caro nella sua mente, come se il nome del suo angelo, del suo Tae-Tae fosse sacro come quello di un santo, o di un martire.

«Hai tolto tutto a mia madre, e l'hai pagata per questo ma hai tolto tutto a me. Taehyung era mio. Era l'unica cosa che avevo cara, l'unica cosa che amavo e tu l'hai distrutto e dissacrato come fai con tutte le cose che tocchi» sussurrò a poca distanza da lui «E ho pensato a lungo a cosa fare per avere giustizia ... o vendetta, non so dov'è il confine tra le due» si rimise dritto e si godette lo sguardo di terrore che suo padre gli rivolse.

«Hai paura?» rise «Scommetto che anche Taehyung ne aveva. Se fossi come te, però mi godrei di più la tua sofferenza. O forse la fare durare un po' di più»

Scosse la testa e si protese verso la macchina del respirare. Suo padre cercò debolmente di fermarlo «Soobin!» chiamò aiuto, ma la guardia rimase immobile, a guardare la scena.

«La verità è ...» staccò la corrente al respiratore «che non voglio darti più il mio tempo»

Il macchinario si spense e suo padre fece un rantolo disgustoso.

Con la mano che poteva muore provò ad afferrare Jungkook ma con poca convinzione.

Soobin guardava la scena, senza cambiare espressione e poi distolse lo sguardo, fintamente annoiato.

Jungkook si godette la scena. Suo padre rantolò come un animale e provò a dimenarsi mentre cercava di respirare. Non distolse gli occhi da lui, mentre lo guardava diventare paonazzo e strabuzzare gli occhi, e si agitava come un insetto finito a cadere sul dorso.

Non sentì nessuna pietà per lui e sperò che la scena continuasse più a lungo, non tanto perché gli piaceva – era disgustoso – ma perché voleva sentirlo soffrire.

«Aiuto ...» rantolò suo padre, e Jungkook sospirò con un mezzo sorriso, come se fosse musica nelle sue orecchie.

Alla fine lo vide diventare sempre più fermo, sempre più debole e poi immobilizzarsi.

Era morto con gli occhi aperti, mentre guardava Jungkook e questa era semplicemente la cosa più bella della giornata.

Jungkook riaccese il respiratore e si alzò dal letto, tirandosi bene la giacca nera perché si era leggermente sgualcita.

«Capo» chiese Soobin «Chiamo le pompe funebri?»

Lui lanciò un'occhiata al corpo, mentre Soobin lo affiancava «No» disse, distrattamente «Aspetta domani. Sarebbe troppo educato seppellirlo quando il suo corpo è ancora intero. Fallo marcire un po'»

Si aggiustò la cravatta ed uscì dalla stanza, senza pensare di chiudere la porta.







Nota:

riassunto per chi non ha voluto leggere:

Taehyung è andato all'ospedale per medicarsi dopo lo stupro e ha scoperto che Jungkook ha tentato il suicidio. Gli ha parlato, ma non gli ha raccontato quello che è successo, e gli ha detto addio. Jungkook ha incolpato il padre. Taehyung è partito per l'America e ha incontrato Soowon, mentre Jungkook era in Corea a disintossicarsi. Dopo due anni il padre di Jungkook ha avuto un ictus che lo ha costretto paralizzato a letto. Jungkook lo ha ucciso, staccandogli il respiratore.

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Can e Demet sono due agenti speciali,che si ritroveranno a risolvere insieme il caso del dipinto rubato durante una notte, al Museo di Atatürk della...