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De fiamminga95

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"Due cuori, la stessa cicatrice" [COMPLETA] +++ Taehyung è un attore che dopo tanto tempo torna in corea per... Mais

Personaggi e Avvertenze
Prologo
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Epilogo

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De fiamminga95

Capitolo 27

Dose





Jungkook stava osservando dall'alto della collina il taxi che caricava gli scatoloni.

Dalla finestra di casa sua sulla quale stava appoggiato a fumare, arrivava il dolce profumo dell'aria estiva, mista al tabacco che bruciava. Non era l'unica cosa a bruciare.

Sarebbe dovuto stare in azienda. Suo padre probabilmente lo stava aspettando, ma Jungkook l'avrebbe fatto aspettare quanto gli andava. Giù dalla collina la dependance di nonna Kim stava venendo svuotata. Non c'era più nessuno che la avrebbe abitata.

Jungkook aspirò più forte la sigaretta e poi la gettò dalla finestra, quando non rimase nient'altro che il mozzicone e si decise ad uscire di casa. Percorse tutta la collina, fino ad arrivare vicino al taxi.

Taehyung si fermò alla porta di casa, con lo scatolone in mano.

Quand'era l'ultima volta che si erano parlati? Si chiese Jungkook. Forse si erano detto un "buon giorno" qualche mese prima.

Da quando il suo piccolo angelo aveva finito la scuola, piccolo non lo era più stato. Si era iscritto ad una scuola d'arte, quella che chiedeva meno tasse per l'iscrizione. Jungkook sapeva che studiava recitazione e sapeva che sarebbe andato più che bene. Con un viso e un fisico come il suo e il suo talento, non avrebbe avuto problemi, e già il primo anno l'aveva passato con ottimi voti.

Jungkook sapeva che aveva fatto uno stage in un drama, dove aveva fatto una comparsa in un paio di puntante. Jungkook guardò solo quelle e si dimenticò della serie, troppo interessato a quello che considerava ancora il suo unico amico, anche se non si parlavano da anni.

A volte si chiedeva se Taehyung pensava a lui, ogni tanto.

Forse durante quel primo anno alla scuola d'arte aveva alzato la testa sulla collina e si era chiesto come se la passava Jungkook. Se lo augurava.

Sperava davvero che almeno un po' lui fosse nei pensieri di Taehyung, non come l'altro lo era nei suoi – sarebbe stato impossibile anche solo sognarlo – ma un po' gli bastava.

Nonna Kim se ne era andata nel sonno.

Jungkook aveva assistito al funerale senza avere il coraggio di parlare con Taehyung che piangeva in silenzio. Lo conosceva abbastanza da sapere che non piangeva per sua nonna (morta a novanta cinque anni, senza nessun dolore e nessuna malattia che le aveva afflitto la vecchiaia) ma per sé stesso rimasto da solo.

Strinse le labbra, consolandosi almeno un po' del fatto che anche se Taehyung si sentiva solo, non lo era.

Jungkook poteva stare a distanza, ma non l'aveva mai dimenticato.

Non quando a sedici anni aveva capito di amarlo diversamente da come si ama un fratello. Nel modo pericoloso che poteva distruggerli entrambi, nel modo consumante col quale tutti volevano amare.

Jungkook si era accorto tardi dei suoi sentimenti, solo quando aveva visto qualcun altro ... anzi meglio, un altro ragazzo, che provava ad averlo. Improvvisamente aveva unito tutti i puntini, in quel frangente drammatico in cui Jung-hee gli aveva rivelato le sue vere paure. Taehyung con una donna era impensabile. Taehyung con un uomo era inammissibile.

Taehyung era suo. In un modo che non capiva appieno ma sentiva che Taehyung era suo, che gli appartenevano come si appartengono due anime. E lui era, inesorabilmente, completamente, di Taehyung. Se l'altro gli avesse parlato, se l'altro gli avesse sorriso, Jungkook sarebbe morto per lui lentamente.

Non poteva pensare di stare al suo fianco e fare finta di niente, nascondere quello che aveva dentro.

Soprattutto perché, dentro aveva cose che non voleva affrontare.

Sentì il telefono vibrare nei suoi pantaloni e seppe che era suo padre che lo cercava. Meglio, gli avrebbe dato solo più fastidio.

Taehyung andò a mettere lo scatolone nel bagagliaio della macchina, passandogli davanti e incassando la testa nelle spalle, a disagio. Jungkook lo seguì con lo sguardo.

Ora che nonna Kim era morta, suo padre non aveva più nessuna intenzione di lasciare la dependance a Taehyung. Avrebbero assunto un'altra governante. Avrebbero dato la casa di Taehyung a qualcun altro ... anche, ad essere sinceri, quella non era casa sua davvero. Apparteneva a suo padre e suo padre non aveva mai apprezzato Taehyung.

Jungkook aveva provato a chiedere di lasciargliela, ma suo padre non l'aveva nemmeno fatto finire di parlare. Aveva cacciato Taehyung il giorno stesso del funerale.

La cosa positiva era che con l'eredità di sua nonna e la vendita di tutti gli oggetti che aveva accumulato – mobili e gioielli che erano appartenuti a lei – Taehyung si poteva permettere con più tranquillità le tasse della scuola e un appartamento da dividere con qualcun altro. Se avesse anche trovato un lavoro part-time, sarebbe andato tutto bene.

Taehyung aveva vent'anni e legalmente non doveva aver bisogno di qualcuno che lo aiutasse.

Però rimaneva da solo.

Jungkook si era chiesto come poteva aiutarlo, senza farglielo sapere, ma dandogli dei soldi si sarebbe fatto scoprire.

«Ehi» disse.

Taehyung si fermò prima di tornare sulla soglia a prendere la sua valigia. Si voltò, ancora in imbarazzo. «Ehi ... Jungkook» lo salutò «Non pensavo ... non pensavo che saresti venuto a salutarmi» aggiunse poi a bassa voce.

Jungkook si guardò intorno «Volevo venire ad aiutarti» disse, ma costatando che non c'era più niente da prendere. La casa dietro di loro era ormai vuota.

«Mi dispiace. Prendo questa e ho fatto» diede un colpetto alla sua valigia e tornò a guardare Jungkook «Ma ... forse puoi aiutarmi a scaricare, se vuoi»

«Uh?» Jungkook batté le palpebre «Oh, vuoi che venga con te?»

Forse aveva usato il tono sbagliato perché Taehyung provò a correggersi: «Se non hai da fare ... no, sicuramente avrai da fare. Ti devi diplomare tra un po' e avrai molto da studiare». Gli offrì la scusa perfetto per rifiutare ma Jungkook scosse la testa.

«No, posso venire con te, se vuoi. Magari mi fai vedere il tuo nuovo appartamento»

«Ah ... o-ok» Taehyung prese la sua valigia, ma subito Jungkook lo aiutò ad infilarla in macchina. Salirono poi tutti e due sui sedili posteriori e il tassista mise in moto. «Come va a scuola?» chiese Taehyung, senza riuscire a nascondere che si sentiva ancora a disagio.

«Bene» mentì lui. Anzi, non era proprio una bugia. Aveva ottimi voti, era tutto il resto a fare schifo «Sto facendo uno stage in azienda, per crediti aggiuntivi»

«Oh, ottimo» Taehyung sembrava sinceramente contento «Sicuramente ti aiuterà anche per l'università»

Jungkook annuì e guardò fuori dalla finestra.

«Sai già dove ti iscriverai?»

«Non ho molta scelta» commentò aspramente «Farò economia e la farò come vorrà mio padre»

«Oh» Taehyung si irrigidì e non aggiunse nient'altro. Jungkook si pentì di essere stato così duro. Rimasero in silenzio per tutta la durata del viaggio ed alla fine arrivarono in una zona residenziale piena di condomini, non un luogo elegante ma sembrava tutto in ordine e pulito, non certo un luogo degradato. Il taxi li scaricò davanti ad un edificio e mentre Jungkook prendeva due valigie, Taehyung aveva due scatole impilate tra le braccia.

Presero l'ascensore in silenzio ed arrivarono al quarto piano dove c'era il nuovo appartamento di Taehyung. Non c'era nessuno.

«Forse i miei coinquilini sono tutti fuori» disse Taehyung, notando che non volava una mosca. «Vieni, da questa parte» gli indicò la strada e finirono in una stanzetta. C'era un armadio, uno specchio, un letto e una scrivania nella stanza dalle semplici pareti bianche. Anche se era un luogo un po' claustrofobico, non sembrava male. Sicuramente era la situazione di uno studente medio che abitava da solo.

Taehyung poggiò i pacchi e Jungkook si sedette sul materasso ancora nudo.

«Non puoi permetterti di stare da solo? Come sono i tuoi coinquilini?» chiese, notando che la sua voce era ancora dura.

«Ah ...» Taehyung si grattò la testa «Ecco, sono altri quattro ragazzi» disse, e già era un'informazione che non piacque a Jungkook «Sono tutti studenti, perciò non ci dovrebbero essere problemi. Sarà come stare in uno studentato» sorrise, ma non con gli occhi. «Dovrò abituarmi a cucinare da solo»

Jungkook sentì brividi di freddo percorrergli la schiena, quando sentì la sua voce triste. Taehyung però cercò di riprendersi e cominciò ad aprire uno degli scatoloni.

«Magari potresti trovare un lavoro» suggerì Jungkook «E provare a trovare qualcosa di più grande»

«Non ho bisogno di molto spazio. Un posticino mi sta bene» disse l'altro dandogli ancora la schiena. «E sì, lo sto cercando. Se trovo qualcosa di buono posso mettere qualcosa da parte»

«Com'è la scuola? Ti piace?» chiese, anche se sapeva già la risposta.

«Moltissimo» annuì «è l'unica cosa positiva, adesso. Altrimenti non saprei come alzarmi la mattina»

Jungkook continuò a fissare la sua schiena, con il cuore che batteva forte nel petto. Oh, Taehyung. Se solo potessi darti tutto quello che vuoi. La sua mano gli accarezzò la schiena e Taehyung si voltò, sorpreso. Anche Jungkook era sorpreso: non si era nemmeno accorto di avere allungato la mano. Quando la spostò, gli fremevano i polpastrelli. Aveva toccato Taehyung. Dopo anni interi, lo aveva toccato ed ora gli stava troppo vicino.

Taehyung lo fissava con i suoi occhi grandi e la sua espressione cambiò. «Kookie, da quanto sei diventato così alto» gli picchiettò la testa «Mi diplomo prima di te e in così poco tempo cresci in fretta. Riesco a guardarti negli occhi senza piegarmi, adesso» fece un mezzo sorriso, ma Jungkook era impietrito.

Sì, ora si guardavano dritto negli occhi.

Jungkook era maggiorenne, non era più il bambino fragile di prima anche se rimaneva ossuto e sottile.

L'età che li aveva divisi fino a quel momento non esisteva più.

Fece un passo indietro e Taehyung si appoggiò alla scrivania con una mano «Uh, scusa. Non ti volevo offendere» disse.

Lui scosse la testa «No, non mi hai offeso. Hai ragione. È strano anche per me»

Jungkook riusciva a capire i pensieri di Taehyung. Entrambi, in quel momento, stavano pensando a quanto tempo era passato e quante cose avevano perso. Tutti e due orfani. Tutti e due da soli.

«Grazie per avermi aiutato» disse Taehyung, arrossendo un po' «Spero ... spero che le cose ti vadano bene da questo momento in avanti»

Jungkook rimase zitto, inclinando solo un poco la testa.

Taehyung disegnò un ghirigoro inventato sul legno della scrivania e disse: «Dopo che mi sono diplomato non ci siamo più visti e ora anche tu stai per finire la scuola e cominciare l'università. Visto che non abito più vicino ... non credo che avremo più occasioni di incontrarci»

Jungkook strinse la mascella e gli si attorcigliarono le budella. «Immagino ...»

«Mi dispiace che le cose siano andate così. Mi mancano i vecchi tempi» disse a bassa voce «I vecchi, vecchi tempi»

Quando suo padre non era così presente, quando sua madre era viva e la nonna di Taehyung regalava le caramelle. Era quello il prezzo della maturità? Era così che si cresceva? Jungkook era immobile. Aveva paura che sarebbe andato in pezzi.

Davvero non avrebbe più avuto motivo per vedere Taehyung. Del resto, i loro circoli adesso erano così lontani uno dall'altro. Lui nei grattacieli, tra i ricchi rampolli dell'alta società nelle università private, Taehyung nella sua piccola stanza a studiare recitazione.

«Sono passati, ormai» disse, amaramente.

Non c'era modo di tornare indietro. Non c'era modo di essere di nuovo felice così. Jungkook abbassò lo sguardo e annuì, andandosene.

«Jungkook» lo chiamò Taehyung e lui si fermò a alla soglia «Prima di andartene, c'era una cosa che volevo chiederti da tempo»

«Che cosa?» chiese, senza voltarsi.

«Jung-hee» la voce di Taehyung era bassa e a quel punto, Jungkook si voltò lentamente per guardarlo in faccia. «Cosa ... cosa è successo a Jung-hee

Jungkook non rispose subito.

I ricordi gli passarono davanti agli occhi come una serie di frammenti di pellicola bruciata. Aveva preso la sua solita dose, prima di vedere i ragazzi. Jung-hee non si era presentato. Era andato nel bagno e aveva aperto la porta.

L'immagine di Taehyung seminudo contro il muro, che piangeva si sovrappose per un attimo a quella di Taehyung davanti a lui e Jungkook si irrigidì al solo pensiero. Jung-hee e le sue sporche mani l'avevano toccato.

Ricordava di aver pensato, così chiaramente: Taehyung è mio.

Lui era andato via. Jung-hee aveva provato a minimizzare. Jungkook non aveva nemmeno parlato.

Altre immagini seguirono. La testa di Jung-hee dentro il gabinetto sporco. Il rumore della sua carne quando veniva colpita, il suono che in quel momento aveva ritenuto bellissimo, delle sue grida e delle sue richieste di aiuto.

La cocaina gli aveva bruciato il cervello, la gelosia il cuore e la rabbia l'anima. Era stato fermato da un inserviente che l'aveva portato dal preside che aveva minacciato la denuncia per aggressione.

Quei momenti erano più limpidi nella sua mente. Lo sguardo spaventato del preside quando Jungkook, coperto di sangue, gli aveva ricordato chi era. La sua voce bassa e calma quando aveva detto di aver visto Jung-hee molestare un altro studente e la minaccia di far scatenare uno scandalo così grande che avrebbe ridotto la scuola in cenere, con l'aiuto di suo padre e dei suoi soldi.

"Io sono Jeon Jungkook" aveva detto solamente, con lo sguardo di fuoco. Si sentiva tale. In quel momento era il Jeon che suo padre aspirava che fosse.

Ed era magnifico.

Quel pomeriggio era come uscito da una oscura crisalide che aveva per sempre trasformato il suo vecchio io. Aveva abbracciato ed usato quello che era e che aveva e la sensazione era stata più intossicante della cocaina che aveva sniffato solo un'ora prima. Gli era piaciuto. Ne voleva di più. Voleva avere tutto e voleva avere il potere di fare tutto, come gli diceva suo padre.

Jung-hee era finito ricoverato in ospedale e poi espulso.

E lui non aveva più parlato al suo angelo.

«Ha lasciato la scuola» disse, semplicemente. Il suo sguardo era marmoreo e Taehyung lo sostenne per poco. Abbassò la testa e poi tornò a guardare le sue cose.

«Mmm» commentò piano «Addio, Jungkook»

«Ciao, Tae-Tae»

L'altro lo osservò andare via, con lo sguardo perplesso mentre Jungkook usciva dall'appartamento.

Il telefono squillava ancora e suo padre ancora lo cercava. Lo spense e aspettò solo di andare nel vicolo più vicino.

Tirò dalla tasca la sua solita bustina, e per una volta, ne aspirò un po' di più, accasciandosi a terra dietro i bodoni dell'immondizia.

Perché, se poteva avere tutto, non poteva avere Taehyung?



+++





«Prego mi può dare il cappotto ... oh» Taehyung rimase immobile, all'ingresso.

Jungkook era coperto d'acqua, i capelli appiccicati alla fronte, perché non aveva ricordato di portare un ombrello. Non aveva ricordato nulla. Taehyung era lì e gli aveva parlato. Morì dentro, sotto il suo sguardo pulito. «Ciao» gli disse, a bassa voce.

«Il cappotto» indicò Taehyung e Jungkook se lo tolse, per offrirglielo. Taehyung lo prese, anche se era tutto zuppo. «Se preferisce posso chiedere alla lavanderia dell'albergo di asciugarlo, signore»

«Taehyung ...»

«Sono a lavoro, mi dispiace» l'altro sorrise, e si guardò intorno.

La sala d'ingresso dell'Hotel era di una magica opulenza che solo la gente come lui poteva vedere. E in quel caso, Taehyung che stava lavorando. Sulla destra c'era l'ingresso del ristorante al quale aveva prenotato un tavolo, mentre dall'altra parte la Hall finiva in una grande scalinata che portava ai piani superiori.

«Sì, grazie» disse, riferendosi al capotto. Si chiese se Taehyung riuscisse a vedere la sua disperazione negli occhi. Forse non era così evidente, ma Jungkook avrebbe potuto piegarsi in ginocchio davanti a lui e scoppiare in lacrime, se solo lo avesse guardato un po' più a lungo.

Taehyung, il mio bellissimo Taehyung.

L'altro annuì e procedette a dare il cappotto ad una donna che stava lì alla reception insieme a lui. «Ha un tavolo riservato, signore?»

Lui annuì.

«Allora prego. Da questa parte» Taehyung si fece strada tra i tavoli pieni per l'ora di pranzo e lo fece accomodare ad un tavolo vuoto. «Le porto il menu o sa già cosa ordinare?»

«Non mi parlare così» disse lui, senza fiato e Taehyung alzò i suoi begli occhi dal suo taccuino su di lui. «Taehyung». Non era possibile fraintendere la sua tristezza. La sua voce vibrava per l'emozione e chiunque l'avesse sentito gli avrebbe almeno chiesto come stava.

«È da molto che non ci vediamo, Jungkook» disse.

«Sono almeno ... diciotto mesi» Lui sbagliò apposta. Non voleva dare l'impressione di chi aveva contato.

Taehyung si accigliò «No, penso siano due anni»

«Ah ... come vola il tempo» deglutì a fatica. Era patetico. Un patetico inutile ragazzino innamorato. «Ordinami tu qualcosa. Non importa cosa» disse, riferendosi al pranzo. Taehyung annuì e cominciò a scrivere qualcosa.

«Lavori qui da molto?» mentiva e mentiva e continuava a mentire. Sapeva tutto, di Taehyung. Gli aveva trovato lui quel maledetto lavoro.

Taehyung annuì mentre ancora scriveva «Da più di un anno. Per un po' ho fatto il cameriere in un bar ma da quando mi hanno assunto qui va molto meglio. Sicuramente pagano meglio»

«Ah, posso immaginare» Jungkook sapeva esattamente quanto guadagnava.

«Farò arrivare il tuo ordine il prima possibile» si infilò la penna nel taschino del completo e poi andò via.

«Aspetta ...»

«Scusa, Jungkook, sto lavorando» si scusò lui. Taehyung andò via, per prendere un'altra ordinazione e Jungkook rimase al tavolo, ad osservarlo fare avanti e dietro dalla cucina e hai tavoli.

Non fu lui a portarli il pranzo, per suo sfortuna e Jungkook mangiò l'anatra arrosto a fatica, pieno di acidità di stomaco, mentre picchiettava il piede a terra. Se solo non fosse stato in pubblico, avrebbe preso una dose in più. Oggi era uno di quei giorni in cui la sua solita quantità non bastava più. L'intera situazione non bastava più.

Quando lasciò il piatto e smise di mangiare, si avvicinò un altro cameriere che gli portò un altro piatto. Su di esso c'era un dolce ... no, meglio, una torta con una candelina sopra.

«Buon compleanno, signore, con gli omaggi dell'Hotel» disse il cameriere.

«Grazie» disse lui, confuso davanti a quella sorpresa. «Ma come ...» non concluse la frase. Si voltò e vide Taehyung che versava da bere nel bicchiere di una giovane donna, dall'altra parte della sala. Quando alzò gli occhi e incontrò i sui notò la torta e fece un sorriso. Jungkook deglutì a fatica e annuì al cameriere. «Va bene ... grazie mille»

Il cameriere si congedò e Jungkook prese una sola forchettata della torta, sentendola sciogliersi in bocca. Cioccolato e arancia, come piaceva a lui. Insieme alla panna, si sciolse anche lui, mentre mangiava.

Non doveva scoppiare a piangere davanti a tutti. Non poteva. Non oggi, non davanti a Taehyung. Finì in fretta la torta e si pulì il viso con un tovagliolo, mentre si alzava per andare in bagno. Fortunatamente non doveva chiedere permesso a nessuno. Era da solo.

Era sempre da solo.

Andò in bagno, e si sciacquò il viso con l'acqua fredda. Sentendo la camicia del suo completo appiccicarsi alla schiena per il sudore. Stava per prendere di nuovo la sua busta, incapace di resistere ancora, quando sentì qualcuno entrare nel bagno.

«Jungkook? Stai bene?» Taehyung si richiuse la porta alle spalle e la chiuse a chiave. Jungkook si sarebbe tranquillizzato, se non ci fosse stato proprio Taehyung davanti a lui. Così vicino che lo poteva toccare. Stava morendo dalla voglia di farlo, di prendergli la mano e stringerla al viso.

«Ti sei ... ti sei ricordato il mio compleanno?»

«Certo che sì» rispose lui «Non posso scordarlo per più di un motivo»

Già. Era il suo compleanno e l'anniversario del funerale di sua madre.

Strinse le labbra, e abbassò la testa. «Non credevo ti ricordassi ancora di me, Taehyung»

«E come potrei non farlo?» disse sinceramente lui e Jungkook sospirò. Voleva riprendere in mano la sua cocaina, ma voleva anche toccare Taehyung. Qualsiasi cosa sarebbe stato meglio che quella distanza, quella terra bruciata intorno a sé che si era creato da solo.

Erano passati due anni da quando Taehyung l'aveva visto l'ultima volta, ma Jungkook l'aveva osservato. Aveva visto quegli altri piccoli drama dove lui aveva di nuovo fatto piccolissimi ruoli. A volte si era fermato con la sua macchina dai vetri oscurati davanti la sua scuola di recitazione quando sapeva che le lezioni erano finite, per poterlo vedere tornare a casa.

Da quando aveva quattordici anni aveva sempre usato piccoli stratagemmi per informarsi su quello che Taehyung faceva. Chiedeva ad altri, sbirciava il suo orario di lezione. Ora che aveva più mezzi poteva fare di più. Poteva chiamare uno degli hotel che aveva frequentato e mettere una buona parola per lui che stava cercando lavoro. Poteva chiedere al proprietario di casa di ridurgli l'affitto ... solo per assicurarsi che stesse bene, che non avesse ulteriori problemi, mentre lui era nel suo maledetto palazzo di cristallo, con suo padre, ad imparare a fare il Jeon.

Oh, e come gli stava venendo bene. Com'era bravo nel suo lavoro. Senza amici e senza interessi, lavorava e studiava e ringhiava a chi era sotto di lui.

L'unica cosa buona che faceva era aiutare Taehyung, da lontano e non immischiarsi nella sua vita. L'avrebbe solo complicata. L'avrebbe solo macchiata.

Quello ... e poi voleva assicurarsi che non ci fosse nessuno che gli ronzasse intorno. Taehyung era dolce come il miele che colava dal alveare e tanti si affollavano intorno a lui. Jungkook non aveva la pretesa di dire di essere una buona persona, o di aiutare Taehyung solo perché voleva che stesse bene.

Lo voleva felice. Felice e senza qualcun altro al suo fianco.

E questa, forse era cosa più orribile che avesse mai fatto.

«Tae-Tae» disse, con la gola stretta dall'emozione e sperò che l'altro non lo odiasse perché lo stava chiamando così. Forse pensava che non ne aveva più diritto, ma non c'era giorno in cui Jungkook non pensava a lui. Il suo bellissimo, buono, talentuoso angelo lontano da tutto lo schifo che era la sua vita.

E Taehyung, da angelo qual era, si avvicinò per abbracciarlo.

Jungkook sentì il suo cuore andare in pezzi quando percepì il suo calore addosso e sentì le sue braccia intorno al suo torace. «Jungkookie, va tutto bene»

«No, non va tutto bene» disse.

Sei lontano. Sei lontanissimo da me mentre io sto sprofondando all'inferno e sono così tentato di trascinarti con me.

«Vuoi ... vuoi che rimanga con te? Posso chiedere un permesso»

«Sì ... no ...» si corresse, incapace di prendere una decisione ma Taehyung annuì lo stesso.

«Va bene se chiedo una stanza? Possiamo andare a parlare lì» lo tirò con sé fuori dal bagno e Jungkook rimase con lui mentre l'altro si faceva dare la chiave di una camera libera e faceva segnare ad uno dei suoi colleghi, che evidentemente fraintese la natura della loro relazione, il nome di Jungkook sul registro.

Salirono ai piani superiori e Taehyung aprì con una scheda la porta di una suite. Jungkook entrò dopo di lui e si andò a sedere al divano che vide nell'anticamera. L'agitazione crebbe. Era da solo con Taehyung. Dopo così tanto tempo, aveva sentito la sua voce, aveva sentito il suo tocco. Aveva sentito il suo profumo.

«Kookie?» disse l'altro che si sedette al tavolino davanti a lui. Jungkook lo fissò ad occhi spalancati. «Perché sei qui?» gli venne chiesto. «Sei da solo il giorno del tuo compleanno?»

«Sono da solo ... sempre» disse, e si vergognò di quanto patetico suonava.

La pietà riempì gli occhi di Taehyung e lui nemmeno ebbe voglia di prendersela. «Non stai con tuo padre?»

«Se lo dovessi vedere ...» strinse le labbra «Non lo so cosa gli farei. Lo odio. Lo odio con tutto me stesso e riderò il giorno in cui morirà»

«Jungkook ... non dire così. Cosa è successo?»

Jungkook scosse la testa. Che senso aveva raccontarlo? Che senso aveva raccontare anche Taehyung le umiliazioni e angherie che suo padre si ostinava a fargli, i compiti ingrati che gli affidava, a suo dire per irrobustirlo, ma in realtà solo per farlo diventare sempre più marcio dentro. Che senso aveva dire che suo padre l'aveva persino visto drogarsi di nascosto nel bagno, e l'unica cosa che gli aveva detto era stata: «Non farlo nel bagno del mio ufficio. Fallo nel tuo»

L'idea che si stesse drogando da anni solo per attirare l'attenzione gli aveva sfiorato la mente. In realtà voleva solo suscitare un po' di emozioni umane in suo padre quando l'avrebbe inevitabilmente scoperto. Come poteva non essere chiaro? Era magro. Aveva sempre gli occhi arrossati. Aveva la faccia di un drogato vestito in giacca e cravatta e non c'era differenza tra lui e quelli che rubavano per strada per poter comprare una dose.

Per suo padre, non era una persona. Era solo un mezzo per un fine: far continuare a vivere l'azienda. E suo padre avrebbe fatto di tutto per costringere Jungkook a fare il suo dovere e non mandare tutto in fiamme per ripicca. C'erano giorni in cui, tornato dall'università dove a questo punto i suoi voti erano tutti comprati, arrivava all'azienda e aveva voglia di urlare a squarciagola blasfemie davanti all'insegna. Altri giorni, invece, il potere era persino più efficace della cocaina.

Non oggi.

Non con l'immagine di sua madre davanti agli occhi, non con il desiderio bruciante di avere Taehyung vicino.

«Sapevi che lavoravo qui, non è vero?» chiese Taehyung e Jungkook annuì. L'altro sospirò e gli passò una mano sulla sua, accarezzandolo piano. Jungkook conservò quella sensazione come se fosse la più bella della sua intera esistenza. Con i suoi grandi occhi spalancati, tornò ad osservare Taehyung.

«Non era difficile provare a chiamarmi, se volevi parlarmi o passare del tempo insieme» disse con rassegnazione.

«Pensavo che non mi volessi più vedere»

«Sono io quello che lo pensava» rispose Taehyung «Sei tu quello che mi ha sempre ignorato» il suo sguardo era triste.

«La mia vita» disse «e la mia famiglia, non ti hanno mai fatto bene. Stai bene senza di me»

Taehyung lo fissò dritto negli occhi «È questa la bugia che ti sei raccontato per tutto questo tempo?»

«È l'unica che aveva senso» rispose.

«Kookie» Taehyung scosse la testa e gli strinse la mano «Le cose non sono così difficili come lo credi tu»

«Sì lo sono»

«No» disse Taehyung «Credimi»

Forse fu il tocco caldo della sua mano o la sua voce angosciata. Forse furono gli occhi luminosi di Taehyung che anche dopo anni, tantissimi anni lontani, continuavano a vedere quel Kookie che lui non era più, che gli diede alla testa. Kookie esisteva, se Taehyung lo chiamava e forse lui era meno diabolico e meno marcio dentro, se Taehyung lo assolveva.

Si piegò in avanti e sfilò la mano di Taehyung dalla sua. Gli prese il viso con entrambe le mani e lo sentì sussultare, sorpreso.

Nella sua mente aveva immaginato il suo primo bacio con l'amore della sua vita più gioioso, più festoso, come quello alla felice conclusione di una favola. Invece ora sta piangendo in silenzio, in lutto per sua madre e per sé stesso sulle labbra di Kim Taehyung, l'unica persona al mondo che per lui avesse un valore.

Il suo primo amico.

Suo fratello.

La sua altra metà con cui non si poteva congiungere.

Si separò da lui e le loro labbra fecero uno morbido schiocco umido. Gli occhi di Taehyung erano spalancati, mentre lui era immobile, ancora seduto sul tavolino.

Cosa ho fatto? Si pentì.

«Sì, angelo, lo sono» insistette e lo lasciò andare. Si alzò in piedi e lo lasciò lì, sentendo l'anima strapparsi in due perché l'antro nemmeno lo chiamò indietro né provò a fermarlo.

Doveva andare via e non c'era bisogno di asciugarsi le lacrime, tanto fuori pioveva.

Doveva tornare a lavoro, doveva finire di studiare e doveva prendere la sua nuova dose.

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