𝐇𝐚𝐧𝐝𝐬𝐨𝐦𝐞 𝐚𝐧𝐝 𝐭𝐡�...

Von RainbowCockatoo

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Regno di Alerath, 1627. Tristan Pyranel è un principe, ultimo di sette figli. Dopo la fine della guerra che p... Mehr

𝐈𝐧𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢
𝐃𝐢𝐬𝐜𝐥𝐚𝐢𝐦𝐞𝐫 𝐞 𝐚𝐯𝐯𝐞𝐫𝐭𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐬𝐮𝐥 𝐫𝐚𝐭𝐢𝐧𝐠
𝐃𝐫𝐚𝐦𝐚𝐭𝐢𝐬 𝐏𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐚𝐞
𝐓𝐫𝐢𝐬𝐭𝐚𝐧 & 𝐓𝐡𝐞 𝐖𝐢𝐜𝐤𝐞𝐝 𝐊𝐢𝐧𝐠 [𝐒𝐤𝐞𝐭𝐜𝐡 + 𝐌𝐚𝐧𝐢𝐩]
𝐄𝐩𝐢𝐠𝐫𝐚𝐟𝐞
𝐏𝐫𝐨𝐥𝐨𝐠𝐨. 𝐈𝐥 𝐩𝐫𝐢𝐧𝐜𝐢𝐩𝐞 𝐦𝐚𝐥𝐞𝐝𝐞𝐭𝐭𝐨
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐈. 𝐋𝐚 𝐑𝐨𝐬𝐚 𝐝𝐢 𝐕𝐞𝐡𝐞𝐥𝐚𝐫
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐈𝐈. 𝐋𝐨𝐧𝐭𝐚𝐧𝐨 𝐝𝐚 𝐜𝐚𝐬𝐚
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐈𝐈𝐈. 𝐀 𝐜𝐢𝐚𝐬𝐜𝐮𝐧 𝐬𝐨𝐫𝐭𝐢𝐥𝐞𝐠𝐢𝐨 𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐬𝐨𝐥𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐈𝐕. 𝐏𝐚𝐥𝐚𝐳𝐳𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐆𝐢𝐠𝐥𝐢
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐕. 𝐀𝐧𝐠𝐨𝐫
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐕𝐈. 𝐃𝐢 𝐟𝐚𝐧𝐭𝐚𝐬𝐦𝐢 𝐞 𝐫𝐨𝐬𝐞 𝐢𝐧𝐜𝐚𝐧𝐭𝐚𝐭𝐞
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐕𝐈𝐈. 𝐋𝐚 𝐒𝐜𝐢𝐚𝐠𝐮𝐫𝐚 𝐑𝐨𝐬𝐬𝐚
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐕𝐈𝐈𝐈. 𝐀 𝐜𝐞𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐥𝐚 𝐁𝐞𝐬𝐭𝐢𝐚
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐈𝐗. 𝐅𝐞𝐛𝐛𝐫𝐞
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗. 𝐃𝐢 𝐟𝐚𝐧𝐜𝐢𝐮𝐥𝐥𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐭𝐨𝐫𝐫𝐢 𝐞 𝐫𝐨𝐬𝐩𝐢
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐈. 𝐑𝐢𝐟𝐢𝐮𝐭𝐨
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐈𝐈. 𝐋'𝐀𝐥𝐛𝐞𝐫𝐨 𝐝𝐢 𝐑𝐲𝐦𝐧𝐞
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐈𝐈𝐈. 𝐈𝐥 𝐅𝐢𝐨𝐫𝐞 𝐝𝐢 𝐋𝐲𝐡𝐫
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐕. 𝐈𝐥 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨𝐫𝐚𝐥𝐞
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐕𝐈. 𝐋𝐨 𝐒𝐜𝐞𝐭𝐭𝐫𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐌𝐚𝐫𝐞
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐕𝐈𝐈. 𝐔𝐧 𝐚𝐯𝐯𝐞𝐧𝐢𝐫𝐞 𝐚𝐥𝐥'𝐨𝐫𝐢𝐳𝐳𝐨𝐧𝐭𝐞
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐕𝐈𝐈𝐈. 𝐈 𝐬𝐮𝐬𝐬𝐮𝐫𝐫𝐢 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐦𝐚𝐧𝐭𝐢
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐈𝐗. 𝐅𝐢𝐠𝐥𝐢𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐫𝐞𝐠𝐨𝐧𝐞𝐫𝐢𝐚
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐗. 𝐆𝐢𝐥𝐲𝐚𝐬 𝐑𝐞𝐢𝐬𝐛𝐚𝐜𝐡
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐗𝐈. 𝐒𝐜𝐨𝐦𝐩𝐚𝐫𝐬𝐢
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐗𝐈𝐈. 𝐔𝐧𝐚 𝐬𝐩𝐢𝐚 𝐚 𝐜𝐨𝐫𝐭𝐞
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐗𝐈𝐈𝐈. 𝐈𝐥 𝐌𝐚𝐮𝐬𝐨𝐥𝐞𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐕𝐚𝐥𝐝𝐞𝐦𝐚𝐫
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐗𝐈𝐕. 𝐈𝐥 𝐂𝐚𝐯𝐚𝐥𝐢𝐞𝐫𝐞 𝐝'𝐎𝐬𝐬𝐚
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐗𝐕. 𝐎𝐫𝐛𝐢𝐭𝐞 𝐯𝐮𝐨𝐭𝐞
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐗𝐕𝐈. 𝐒𝐞𝐭𝐞 𝐝𝐢 𝐠𝐢𝐮𝐬𝐭𝐢𝐳𝐢𝐚
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐗𝐕𝐈𝐈. 𝐋𝐚 𝐯𝐞𝐫𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐢 𝐆𝐢𝐥𝐲𝐚𝐬 𝐑𝐞𝐢𝐬𝐛𝐚𝐜𝐡
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐗𝐕𝐈𝐈𝐈. 𝐒𝐩𝐢𝐫𝐚𝐠𝐥𝐢𝐨 𝐝𝐢 𝐥𝐮𝐜𝐞
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐗𝐈𝐗. 𝐒𝐩𝐞𝐫𝐚𝐧𝐳𝐚 𝐞 𝐦𝐢𝐬𝐞𝐫𝐢𝐚
𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐗𝐗. 𝐕𝐞𝐥𝐞𝐧𝐨

𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐈𝐕. 𝐔𝐧 𝐛𝐫𝐮𝐬𝐜𝐨 𝐜𝐚𝐦𝐛𝐢𝐨 𝐝𝐢 𝐫𝐨𝐭𝐭𝐚

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Von RainbowCockatoo


«Partirete domani, quindi?» Angor distolse lo sguardo da Tristan che stava conversando amabilmente con Seraphina e tornò a guardare il fratello. «Pensavo che vi sareste trattenuti più a lungo, ma posso capire cosa ti abbia spinto a prendere questa decisione.»

Prospero lanciò una breve occhiata alla futura moglie, poi: «Non voglio dilungare oltre l'attesa del confronto con nostro padre, a esser sincero. Prima mi toglierò questo dente e meglio sarà, e... voglio che tu mi scriva, Angor. Anche solo per una sciocchezza, ma fallo. Non voglio che la distanza fisica divenga anche spirituale, se sai cosa intendo».

Il maggiore sorrise di sbieco. «Non credo che nostro padre ci permetterà di avere un'estesa corrispondenza.»

«Lascia che me la veda io con lui, Angor. Non ho intenzione solo di mettere in chiaro le cose per quanto riguarda il mio matrimonio con Seraphina. Voglio anche intercedere per te e per Tristan.»

«Che cosa?»

«Hai capito bene.» Il minore dei Valdemar fece una pausa. «Non potete continuare a essere prigionieri di questo castello. Non è giusto e non permetterò che una situazione del genere abbia seguito. Avete diritto ad avere la vostra libertà. Entrambi. Tu... Tu, ora come ora, non puoi neppure abbandonare i confini della tenuta. Vorrei che almeno questo sortilegio venisse infranto. Non sei più un pericolo per gli altri, anzi forse mai lo sei stato.»

Angor scosse la testa. «Magari questo discorso potrà valere per Tristan, ma ora come ora dubito di poter andare chissà dove. La gente non capirebbe, lo sappiamo tutti e due. Sortilegio di confinamento o meno, non ho l'aspetto di un uomo comune. Non riuscirei mai a passar per tale.»

«In realtà non è solo al sortilegio che alludo» lo rimbeccò Prospero, cupo. «Mi riferisco, Angor, anche al fatto che ogni volta che tu e Tristan uscite là fuori, fino al cuore dei boschi che circondano questo castello, siete sorvegliati da uomini che recano sulle loro armature il sigillo reale di Krygan, di nostro padre. Li ho visti coi miei occhi ed è inaccettabile. Vieni trattato come un prigioniero a tutti gli effetti, non capisci?»

L'altro deglutì. «Io e Tristan ce ne siamo già accorti. Io so di non essere mai del tutto solo là fuori da ormai dieci lunghi anni. Ammetto di aver pensato per anni che fosse non solo per la mia sicurezza, ma anche per le persone del villaggio qui vicino. In fin dei conti ero la Bestia, giusto? Non potevo essere lasciato allo stato brado né si poteva rischiare che i paesani venissero a curiosare fin qui.»

«E la pensi ancora così?»

«No e... non è l'unico dubbio ad avermi assalito sin da quando Tristan è arrivato.»

«Cos'altro ti tormenta?»

«La morte della principessa Dorabella. Nostro padre ha sempre affermato che fui io a ucciderla in un momento di furia cieca, ma lo spettro della fanciulla vaga ancora per queste sale, ogni singola notte, persino di giorno, a volte, e in una di queste occasioni ha incrociato Tristan. In realtà ha sì e no fatto in modo di riferirgli un messaggio.»

«In che senso?»

Angor, per farsi forza, si portò la sua tazza di tè alle labbra e diede un bel sorso. «Non poteva parlare, non con la lingua mozzata.»

Prospero sbatté le palpebre. «Dunque è stata realmente assassinata.»

«Esatto. Confesso che da principio non ho dato peso alla cosa, credevo fosse solo una pratica barbara comune nelle vecchie storie dell'orrore che ci venivano narrate quand'eravamo bambini, ma mi fido ciecamente di Tristan e riflettendo, conoscendolo meglio, sono giunto alla conclusione di non dover sottovalutare le sue capacità e il modo in cui sa trarre dei giudizi da determinate questioni. Io so solo questo, Prospero: non ricordo nulla della sera in cui Dorabella morì. Mio padre afferma che ebbi un tale episodio di folle ira, da aver dimenticato tutto quanto e aver infine perso i sensi per via dello scatto di rabbia, ma non mi è mai accaduto niente di simile in dieci anni di maledizione. Senza contare che io e Dorabella andavamo d'accordo, malgrado lei fosse consapevole della verità, del fatto che non l'avrei mai amata nel modo in cui lei, purtroppo, amava me.»

Il fratello di Angor si accigliò. «Dunque c'è la seria possibilità che nostro padre l'abbia uccisa. La domanda, a questo punto, è per quale ragione l'abbia fatto.»

«Tristan sostiene che lo fece perché Dorabella, semplicemente, aveva fallito ed esaurito così la propria utilità, ma io... io credo vi sia sotto dell'altro. Non può essere così semplice. Mai lo è, quando si tratta di nostro padre. No, Prospero. Quella ragazza venne ammazzata per essere messa a tacere su qualcosa per sempre, persino nella vita dopo la morte.»

Il maggiore dei Valdemar sussultò appena quando udì dietro di sé la voce di Tristan e poi percepì una delle mani del giovane posarsi su di una spalla. Un gesto semplice che, tuttavia, parve anche intimo. «Di cosa state confabulando voi due?» chiese il principe di Alerath.

Angor in silenzio fece intrecciare le loro dita, quasi senza rendersene conto. Sollevò lo sguardo e non subito rispose. Si concentrò totalmente su quel minimo contatto fra lui e il giovane Pyranel e in quel momento, esattamente in quel preciso istante, si sentì del tutto un uomo normale, uno come tanti altri rinfrancato dalla presenza rassicurante di una persona molto cara, anzi speciale. Tristan gli rivolse un sorriso amorevole e gli scostò i lunghi capelli dal viso. «Stavamo parlando di Dorabella e dei sospetti sulla sua morte» disse infine Angor, rauco. «Capitate al momento giusto.»

«Presumo che Prospero voglia che gli racconti della mia singolare conversazione con il fantasma della dama» replicò Tristan. «Molto bene, dunque.» Si accorse che non vi era una seggiola abbastanza vicina dove prender posto.

Prospero fece per alzarsi. «Se volete, vi cedo il mio posto. Non mi disturba stare in piedi.»

«Oh, no, restate seduto!» lo rassicurò Tristan, per poi fare una cosa che fece sorridere sotto i baffi il minore dei Valdemar e mancare un battito all'altro: con naturalezza si sedé, in posizione laterale, sulle ginocchia di Angor, un braccio avvolto sul retro del collo dell'uomo, l'altra mano adagiata sul tavolo. «Siamo fra amici. Ormai possiamo abbandonare le convenzioni.»

Angor si umettò le labbra e infine parve prendere una decisione: fece scostare da sé con gentilezza Pyranel, si alzò e indicò lo scranno. «S-Sedete pure. Mi sono appena ricordato di... uhm... di dover parlare con l'ambasciatore Hume. Scusatemi.» L'impressione che diede a tutti quanti fu di voler fuggire dalla sala e nessuno poté fermarlo, perché se ne andò prima che Tristan e gli altri potessero fare alcunché. Il ragazzo sospirò, decisamente demoralizzato. Guardò Prospero. «Credo di averlo messo in imbarazzo» ammise. «Eppure non mi sembrava un gesto inopportuno. Sapete... lo facevo spesso anche con i miei fratelli maggiori e loro non erano mai contrari. Ricordo che Fabian mi stringeva a sé come quando ero ancora piccolo. Fra tutti loro, lui è sempre stato il più affettuoso e tranquillo. Somiglia molto a mio padre, parlando del carattere. Si capiscono sempre al volo, loro due.» Si umettò le labbra e non si fece problemi a terminare il tè ancora caldo che Angor aveva lasciato a metà. «A-Allora, volevate parlare di cosa è accaduto la notte in cui ho visto il fantasma di Dorabella?»

Anche se ormai lì si sentiva a casa, era come se una parte di lui fosse destinata sempre a restare ancorata ad Alerath e alla sua famiglia. Gli faceva sempre più male parlare di tutti loro e per questo aveva iniziato a parlarne sempre di meno, anche se a volte finiva per cedere alla tentazione e per richiamare alla mente tanti momenti che per anni aveva ritenuto brandelli di tempo di poco conto e che, col senno di poi, aveva rivalutato. Sentiva la mancanza di quegli attimi. Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di poter riabbracciare, anche solo per un istante, i suoi fratelli. Persino quel testone arrogante di Ferdinand gli mancava. Avrebbe stretto forte perfino lui e pianto sulla sua spalla dalla contentezza.

Prospero non era sicuro di quale argomento affrontare. «Vorrei poter fare qualcosa.»

«Come dite?»

«Vi manca la vostra famiglia, Tristan. Siete una persona troppo trasparente perché possiate riuscire a nasconderlo. So bene che stavamo parlando di una questione seria e importante, ma ritengo che anche questo argomento valga la pena di essere sviscerato.»

«Non vedo come ciò potrebbe risolvere il mio problema» ammise il ragazzo, rassegnato. «Più ne parlo e più mi sento triste, perciò tanto vale non parlarne affatto. E poi... se anche potessi tornare a casa liberamente, non sono sicuro che oserei farlo. Neppure una volta ho anche solo accarezzato l'idea di fuggire, credetemi. Non per il rischio che avrei corso facendolo né per vigliaccheria. Dopo aver conosciuto vostro fratello e aver visto tanta tristezza nei suoi occhi, mi sono ripromesso che sarei rimasto, anche a costo di sfidare la sua pazienza e di spingerlo all'esasperazione pur di accettare la mia presenza qui. Lui stesso voleva che tornassi a casa, quando ci siamo parlati per la prima volta, ma io mi sono imposto. No, Prospero. Non penso sarei capace di restare lontano da lui. Parte della mia anima, adesso, ha trovato profonde radici in queste mura. Ora è questa casa mia, anche se detto ad alta voce suona da masochisti. Sembrano le parole di qualcuno che ha scelto di farsi piacere la prigionia, ma non è così. Adesso è Angor ad aver maggior bisogno di me, tanto quanto io ne ho di lui.»

Il minore dei Valdemar annuì debolmente. «Perdonate la domanda diretta, ma... credete di... insomma...»

«Mi chiedete se lo amo?» incalzò Tristan e il cuore subito gli sussultò dentro il petto nel pronunciare quelle parole a voce alta. «Non saprei cosa dirvi, ma gli voglio bene, gli sono affezionato e ho molto a cuore il suo avvenire. Ogni volta che lo vedo sorridere e stare sempre di più un po' meglio, in me si risveglia una primavera che persino l'inverno là fuori non sarebbe capace di uccidere. Su questo metterei senza timore la mano sul fuoco, consapevole che non ne uscirei scottato.» Prese un altro sorso di tè. «Vostro fratello è un uomo prezioso e come pochi ce ne sono al mondo, Prospero. Siate fiero di lui, perché se lo merita e penso che necessiti della stima di almeno un membro della sua famiglia. Vostro padre è un uomo arido, ma voi e Angor siete diversi. Siete entrambi brave persone e uomini brillanti. Mi dispiace in parte a dirlo, ma se il prezzo da pagare per aver potuto conoscervi entrambi è stato di dover allontanarmi da casa, allora compirei la scelta fatta quella sera altre mille volte e senza mai indugiare.»

Prospero sorrise appena, ma era chiaro che le parole di Tristan lo avessero colpito in positivo. «Credo sul serio che voi, in un modo o nell'altro, potreste essere la sua salvezza. Dove la solitudine e la rassegnazione hanno lasciato ferite, siete arrivato voi a spargervi sopra un balsamo. A Rödmyssa si sono dette molte cose sul vostro conto, ma la verità è che pochi altri avrebbero avuto la vostra stessa tenacia, Tristan. Il vostro viso è quello di un fanciullo, ma dentro di voi vibra fieramente il battito del cuore di un uomo. Un uomo coraggioso e buono. Io sono felice quanto voi di avervi potuto conoscere di persona.»  Una pausa. «Non dovete rivivere la conversazione con Dorabella. Mi è bastato sentire due parole in croce da parte di Angor per farmi un'idea della faccenda e concordare con quello che voi avete pensato sin da subito: mio fratello è innocente. Così è fin troppo facile, no? Incolpare della morte di una povera principessa la Bestia. Nessuno oserebbe contraddire quel che viene fatto passare per verità inconfutabile, ma noi siamo noi e io dico che mio padre, perdonate la rozzezza, è un autentico esempio di raccontaballe.»

«Raccontaballe?» ripeté confuso Tristan. «Che significa?»

«Sì, beh, è una persona che dice scemenze, ma in effetti il termine adatto sarebbe bugiardo. Mio padre è un bugiardo e penso che Dorabella, che si dice fosse un bel po' curiosa, avesse sporto troppo il collo oltre la siepe e visto o scoperto qualcosa che non doveva sapere.»

«Un segreto?» ipotizzò Tristan, pur con un po' di scetticismo. «Ma quale segreto potrebbe mai celarsi fra queste mura, Prospero?»

Valdemar si strinse nelle spalle. «Non saprei dirvi. Circolano tante di quelle inquietanti voci su questo posto! Vi è un tale arsenale di leggende e retroscena macabri sepolto nelle fondamenta di Palazzo dei Gigli, che ci si potrebbe vergare un libro intero.»

«Ma se doveste ragionare per esclusione?»

«In tal caso, uno degli eventi più misteriosi di tutta la storia della famiglia è in assoluto la nascita di Angor. Anzi, in realtà il modo in cui venne generato ancor prima di venire al mondo. A insaputa di mio padre per anni ho scavato parecchio nella questione e ho ottenuto alcune informazioni da parte della fonte più impensabile e che neppure avevo preso in considerazione, almeno all'inizio. Mi dissi, da principio, che gli affari privati di mio padre e della sua prima consorte non potessero esser pervenuti fino alle orecchie della mia povera e defunta zia: Titania. Mi sbagliavo di grosso. Lei morì anni fa e prima di spirare volle vedere me. Era rischioso, rischiavo di venir contagiato dal suo male, ma sentivo di dover acconsentire alla sua richiesta. Quando fui al suo capezzale, mi disse che aveva bisogno di confidarmi un segreto che solo il re, la scomparsa Cordelia, lei e la regina Feodora condividevano.»

«Ovvero?» incalzò Tristan.

«Non ci capii molto, lo ammetto. Stava molto male, credetemi, e quando morì... mi vergogno a dirlo, ma fu un sollievo per tutti quanti. Non si poteva più vederla in quello stato di prostrazione e deperimento. Disse tante cose, ma erano discorsi un po' sconclusionati, in fin dei conti stava morendo. Ciò che invece compresi chiaramente, era che la regina Cordelia fosse stata infine giudicata dal medico di corte sterile. Non poteva in alcun modo dare dei figli a mio padre.»

«Eppure poi arrivò Angor. Come?»

«La vera domanda, Tristan, è un'altra: quale parte ebbe in tutto ciò Feodora? Perché dopo la nascita di mio fratello il regno di Krygan e le Fate entrarono in conflitto? Quale fu il dissapore di troppo? Perché mai mio padre, che ha sempre avuto un minimo di riserbo nei confronti della magia e di chi la opera, avrebbe dovuto coinvolgere in affari così importanti di Krygan una Fata Oscura?»

Il ragazzo si accigliò. «Una Fata Oscura?»

«Sembra pazzesco, ma si può quasi affermare che tra le Fate sia l'oscurità a farla da padrona. Saranno pacifiche, ma chiuse nei confronti delle altre creature e a volte sanno essere subdole, Tristan. Mai fidarsi di una Fata fino in fondo. Bisogna sempre conservare un minimo di cautela quando si ha a che fare con loro.»

«È mai possibile che creature come le Fate possano avere così tante ombre nell'animo?» chiese perplesso Tristan. «Ad Alerath da sempre le riteniamo esseri benevoli.»

«Suppongo sia per il vostro modo di porvi del tutto diverso da quello che abbiamo noi a Krygan. Il popolo di Alerath rispetta la natura e ciò che vi si annida, Krygan invece vuole dominarla, la sfrutta da sempre in ogni maniera possibile. Penso sia questa la ragione, anche se basta davvero poco per farle indispettire e offendere. Il figlio di un sovrano, non ricordo di quale regno, proprio come Angor venne punito, anche se non aveva colpe. Feodora ha una sorella, Zerka, e fu proprio quella Fata a scagliare un maleficio su quel principe.»

«E cosa accadde?»

«Dicono che il ragazzo fosse di buon cuore e con l'anima di un poeta. Amava girare per i boschi del regno e ritrarne le creature, quando poteva e quando riusciva a sgattaiolare fuori dal castello. Insomma, un principe perbene, come ormai non ce ne sono più tanti. Il poveretto, il giorno del suo diciottesimo compleanno, per la sua sicurezza venne però fatto recludere da suo padre nelle proprie stanze, in modo da scongiurare il maleficio, ma questo servì solo a sigillare la fine del ragazzo. Ai servitori era sempre stato imposto di tenere il castello al massimo della pulizia e dello splendore. Non doveva esserci neppure una ragnatela nel palazzo, eppure... eppure, a un certo punto, qualcuno consegnò a una domestica dei fiori. Erano così belli che l'ignara donna, conoscendo l'amore per i fiori del principe, decise di metterli in un bel vaso d'argento e di sistemarli nella camera del ragazzo. La domestica era ancora lì quando lui, sorridente e di umore rinfrancato, si avvicinò al mazzo profumato per ammirarlo. Avvenne tutto in pochi istanti: un ragno velenoso emerse dalla corolla di uno dei fiori e morse la mano al principe.»

Tristan deglutì a fatica. «Quindi morì?»

«Oh, no. Il destino che gli venne riservato fu ben peggiore: cadde in un sonno eterno e rimase così fino alla morte dei genitori e ancor oltre. Venne scelto ovviamente uno dei suoi due cugini come nuovo sovrano e quell'uomo, convinto che non ci fosse nulla da fare e stanco dei vuoti tentativi atti a risvegliare il giovane, fece deporre il suo corpo nelle cripte sotterranee del castello e a distanza di duecento anni, è lì che il principe tuttora giace, immobile, né vivo né morto, per sempre assopito e ovviamente non soggetto a decadimento alcuno. Dorme e basta, ignaro delle ere che si sono susseguite, di non aver più nessuno ormai ad attendere il suo risveglio.»

«Cielo...», Tristan aveva i brividi. Che destino orribile. «Possibile che non vi fosse soluzione alcuna?»

«C'era eccome: il bacio della persona di cui si sarebbe dovuto innamorare entro il diciottesimo compleanno, ma ciò non avvenne. L'amore è imprevedibile, non lo si trova facilmente, specie quando si è un principe o una principessa. Non lo si comanda a bacchetta e ogni caso è a se stante. Non si innamorò mai, non ne ebbe il tempo, non ne ebbe l'occasione, il Fato stabilì che il suo cuore dovesse restare vergine e incontaminato da tale sentimento e così... il maleficio si compì. Non c'era più niente che si potesse fare e lui sarà condannato per sempre, almeno finché la sorella di Feodora non stabilirà di sentirsi abbastanza appagata. Tutto questo avvenne perché il re in questione venne ospitato un giorno dalla corte di quella Fata. Fu trattato bene, in fin dei conti la legge dell'ospitalità è sacra, ma quell'uomo venne irretito dal fascino di un cimelio molto caro a Zerka. Dopo che se ne fu andato, a lei fu chiaro che il cimelio fosse stato trafugato e si infuriò parecchio, così tanto che quando venne a risapere, mesi dopo, che il re aveva avuto un figlio, un erede maschio, per giunta, decise di vendicarsi e maledisse davanti a tutto il regno il principe in fasce.»

Prospero sospirò. «Vi ho detto che il principe è ancora addormentato, ma... devo confessarvi una cosa, Tristan, e vi prego di non giudicarmi severamente. La storia che vi ho narrato è solamente la versione canonica, quella che si è sparsa ovunque diventando infine leggenda. Un finale esiste, ma ben diverso da quello delle fiabe che ci venivano narrate da bambini.»

«Ditemi.»

«Io ho visto le rovine di quel castello, emblema architettonico di un regno il cui nome è stato sgretolato dalle grinfie del tempo e del perpetuo susseguirsi di guerre per il potere. L'anno scorso trovai le cripte, dopo aver esplorato il palazzo, e lo vidi. Era proprio come avevano raccontato i locali. A differenza loro, non mi spaventavano le dicerie che il castello fosse infestato e maledetto. Fui mosso da pietà da ciò che stavo vedendo e... e allora sguainai la spada e trafissi il cuore del ragazzo. Posi fine a uno strazio che ormai durava da troppo tempo. Lo feci perché finalmente potesse riposare davvero in pace. Non potevo salvarlo in un modo, scelsi quindi l'altra possibilità che molti altri, per ignote ragioni, mai avevano voluto vagliare: un atto di clemenza. Il sortilegio venne infranto con la morte del principe e feci in tempo a scappare, prima di vedere il castello crollare su se stesso in un cumulo fumante di macerie. Non sapevo se avessi fatto la cosa giusta o meno, non fino in fondo, ma nel momento in cui affondai la lama... sentii qualcosa... capii, in qualche maniera, che mi era stato grato per tale gesto, sentii che era finalmente libero e in pace.»

Quell'avvenimento doveva aver segnato in modo indelebile Prospero, perché Tristan lo vide passarsi il dorso di una mano sugli occhi.

«Non vi giudico» disse infine il più giovane. «Se la situazione era davvero così drammatica, allora avete fatto la cosa giusta. Nessuno dovrebbe essere sottoposto a una sorte del genere, specie quando il peccato da assolvere non è suo.»

«V-Vi ho detto tutto ciò, Tristan, perché ora vi chiedo, vi imploro di fare di tutto per salvare in qualche maniera mio fratello. Non voglio che una storia del genere si ripeta. Tutto tranne questo.»

Tristan abbassò lo sguardo, poi: «Farò ciò che potrò, Prospero. Vi giuro che è l'ultimo dei miei desideri permettere che accada una cosa così terribile e triste a vostro fratello».

Angor distolse lo sguardo dalla rosa incantata e tornò a fissare Gideon Hume. L'ambasciatore lo aveva incrociato poco dopo che lui aveva lasciato la sala da pranzo, anche se quando si era congedato, la sua era stata una semplice scusa.
Ormai si trovavano lì da dieci minuti buoni e ancora Hume non si era deciso a spiegare il motivo per cui si era premurato di insistere affinché la conversazione rimanesse assolutamente privata.

Il principe di Krygan sospirò e si avvicinò all'uomo. Lo vedeva che era nervoso, qualcosa lo tormentava, lo rosicchiava da dentro, proprio come facevano i topi usati in una delle torture preferite dagli uomini del Sud: dei topi venivano chiusi in un contenitore di ferro che poi veniva posto a ridosso dello stomaco del prigioniero. I roditori erano così costretti dal calore di una torcia o di un braciere a trovare una via d'uscita attraverso le interiora del povero disgraziato. Orribile, certo, e non molto efficace quando si voleva estorcere una confessione. A suo parere quella tortura esisteva solo per ragioni puramente sadiche e malvagie.

Mise le mani sui fianchi. «Signor Hume, ormai siamo qui da almeno un quarto d'ora» disse poi, non facendocela più. «Volete spiegarmi cosa vi angoscia? Dèi benedetti, state tremando! Guardatevi le mani! Che succede?» Iniziava a essere davvero preoccupato. Accennò al trono. «Sedetevi. Non avete una bella cera e ch'io possa morire fulminato se vi permetterei mai di crollare a terra come un sasso.»

Hume lo guardò a bocca aperta. Era come se Angor gli avesse detto di fare la cosa più folle, stupida e insensata del mondo. «S-Sedermi s-su...»

«Poche storie e fatelo» lo interruppe sbrigativo il principe. Per lui quell'affare laggiù non era diverso da una poltrona qualsiasi. Azzerò la distanza con l'ambasciatore, gli pose una mano tra le scapole e lo spinse gentilmente verso il vecchio trono. Appena Gideon si fu seduto, seppur recalcitrante come un mulo, lo esortò di nuovo a parlare. Hume deglutì e si torturò le mani. «I-Io... io non ero sicuro di dirvelo. Voglio dire... mi era stato intimato di non farlo ancor prima della partenza di sua Altezza per Krygan, ma dopo le ultime notizie...»

«Notizie su che cosa?»

Gideon di nuovo esitò. «Riguardo al principe consorte, Altezza. Revarn, ovvero... il padre del vostro regale ospite.»

Angor fece un lieve cenno. «Dunque?»

«Vedete... egli non era in buona salute da ancor prima che suo figlio partisse, ma ultimamente la sua salute ha subito un notevole peggioramento. Mi dicono che ormai è impossibile nascondere la gravità delle sue condizioni e... si aggrava di giorno in giorno. È stata la regina a tenermi costantemente informato. Con lei ho una corrispondenza più o meno stabile e nell'ultima missiva non ha potuto evitare di ammettere che suo marito non riuscirà a vedere la fine dell'anno corrente. Questo, come sicuramente potrete immaginare, potrebbe presto porvi davanti a un bivio, Altezza.»

Valdemar cercò di metabolizzare tutto quanto e più lo faceva, più tutto gli sembrava terribile. «Se le cose stanno così, vorrei poter avere sul serio il potere di permettere a Tristan di fare ritorno in patria per rimanere accanto al padre fino alla fine.»

«Per questo la regina mi ha imposto di non dire nulla al principe, ma sentivo di dover allertare almeno voi. Non immaginate quale peso sia stato tacere fino ad ora.»

«Avete fatto bene a confidarvi con me» replicò Angor. «Credo, tuttavia, che dovreste riferirlo anche a Tristan. Volontà di Gatria o meno, ha il diritto di sapere. Non mi piacciono le menzogne, neppure quelle a fin di bene. La verità è una cosa che non può essere confinata.» Notò lo sguardo che aveva Hume. «Se non ve la sentite, prenderò sulle spalle il vostro onere, non vi preoccupate. Lo dirò io a sua Altezza. Spero... spero solo di averne la forza. Non sarà una conversazione piacevole.»

«M-Ma... Altezza... se glielo direte...»

«Lo so, Hume, ed è esattamente questa la mia volontà. Ha il diritto di stare al capezzale di suo padre come lo ha chiunque altro.»

Gideon cercò di insistere, parlandogli in parte come si faceva con una persona un po' ottusa e dura di comprendonio: «L-Lo capisco, ma vi invito a riconsiderare un paio di cose. Voglio dire... una malattia può durare mesi interi come può prolungarsi solo per una settimana, e non dimentichiamo vostro padre. Se venisse a risapere che avete lasciato andare il principe di Alerath, che in fin dei conti si trova in ostaggio a Krygan, non so dirvi cosa potrebbe succedere. Potreste finire in guai molto seri voi in primo luogo.»

«Ne sono consapevole e proprio per questo cercherò di studiare un diversivo o comunque un modo per far sì che mio padre ne resti fuori e all'oscuro. Esorto voi, piuttosto, a tenere la bocca sigillata con il re. Provate simpatia sincera per Tristan, dico bene? Sarebbe spregevole ricambiare la sua amicizia e la sua fiducia tradendolo. Merita più lealtà di quanta ne meriti mio padre, poco ma sicuro. Come avete taciuto con Caliban sulla forte intesa fra me e quel ragazzo, così manterrete il silenzio anche sulla sua imminente partenza. Conto su di voi. È fondamentale la vostra collaborazione per la riuscita del piano.»

Hume annuì senza esitare. «Non dirò nulla al re, credetemi. So che è giusto che il principe di Alerath faccia ritorno a casa, ma non posso non pensare anche a voi e a cosa ne sarà della vostra sorte futura se...»

«Siamo nelle mani degli dèi, Hume. Lo siamo tutti, sempre, ogni singolo istante della nostra esistenza. Affido a loro la mia sorte futura.»

«Ma come farete per nascondere l'assenza di Sua Altezza?»

«Sono o non sono un mago? Mi inventerò qualcosa.»

«Intendete dire che userete la magia?» Hume fissò Angor in preda all'angoscia e alla paura. «Ma non potete! Sapete cosa accade se ne fate un uso eccessivo e prolungato!»

«Lo so bene, ma non posso fare altrimenti e dovrò fare questo piccolo sacrificio per una buona causa, una di quelle per cui vale la pena rischiare fino a tal punto.»

«E... s-se la rosa dovesse perdere altri petali? Se la magia che userete dovesse sottrarvi troppe energie? Non potete non metterlo in conto.»

Il principe fece un respiro profondo e strinse le spalle. Curvò le labbra in un mesto sorriso. «Vorrà dire che se Tristan dovesse far ritorno prima che l'ultimo petalo cada, almeno riuscirò a vederlo un'ultima volta prima di congedarmi da questa vita.» Inutile non parlarne, fare finta di niente o non chiamare le cose col loro nome. Da un lato se l'era aspettato. Fino ad allora le cose erano andate tutto sommato bene, lisce come l'olio. Avrebbe dovuto immaginare un cambio di rotta così brusco e ironico. «Mi auguro che non torni, però» ammise. «Non solo perché non sopporterei di vederlo triste, ma anche perché sarebbe uno sciocco a farlo. Sta per tornare in libertà, per tornare a casa. Non varrebbe la pena tornare e solo per vedermi sul letto di morte.»

Proprio quando...

Volse altrove gli occhi lucidi come specchi d'acqua, come il freddo oceano dal quale tanto tempo addietro erano giunti i suoi avi.

Se lo sarebbe dovuto aspettare, ma questo non significava che facesse meno male.

Gideon si alzò e gli giunse di fronte. «Vi prego, almeno non... non usate la magia, Altezza. Vi prego. Se lo farete, non vi rimarrà poi molto tempo. Potrebbe uccidervi.»

«Non ho scelta, Hume. Vi imploro di non insistere.»

«E vostro fratello?»

«Non occorre che lo sappia. Ha già troppe cose a cui pensare. Non aggiungerò un altro peso ai tanti che ha già sulle sue spalle. Rimarrà tra me e voi.»

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