Anima d'acciaio

By animasporca

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Desidero strapparmi i capelli, urlare a squarciagola, prendere a pugni un muro qualsiasi, sparare alla prima... More

Nathan.
Nathan.
Nathan.
Nathan.
Zachary.
Nathan.
Nathan.
Zachary.
Zachary.
Zachary.
Zachary.
Nathan.
Zachary.
Nathan.
Nathan.
Zachary.
Zachary.
Jonas.
Nathan.
Zachary.

Zachary.

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By animasporca

Primo

<Oggi>

Mi hanno sempre detto che trovare l'anima gemella è un'impresa talmente ardua che ci occorrono anni prima di riuscirvi, che di norma si viene feriti dalla persona sbagliata prima di essere uccisi da quella giusta. Be', quel tre settembre mi bastò aprire la portiera della macchina, attraversare la strada e percorrere una decina di metri per rimanere impressionato dalle sue iridi particolari. Nathan era seduto su una panchina troppo piccola per contenere uno sguardo tanto assorto, l'espressione a disagio e la cartella che schiacciava il suo corpicino esile, diverso in tutto e per tutto da quello robusto che adesso conosco a memoria. Aveva il capo chino, in segno di circospezione, e picchiettava un piede sul marciapiede in attesa dell'autobus che avrebbe segnato la nostra storia. Ero abituato a studiare la gente, l'attività si classificava al terzo posto nella mia lista di passatempi preferiti dopo le ragazze e il football, per questo non fu difficile riconoscere all'istante la sua caratteristica principale: era un solitario, un personaggio singolare per gli undicenni soliti a giocare in giardino, rotolarsi nel fango e sbraitare di fronte al videogioco di Star Wars nuovo di zecca. Appena lo squadrai, fui sicuro che non avesse mai preso in mano un controller.

Nate era ritenuto diverso perché anteponeva un libro a una discussione sulla squadra di rugby che meritava di vincere il campionato, perché preferiva rimanere in silenzio e fare in modo che quel silenzio venisse riempito di parole, perché spiegava le ipotesi con una calma innaturalmente falsa, anche se non voleva avere ragione, benché, di continuo, le sue idee fossero le più razionali. L'aspetto che mi affascinò di più fu che, nonostante le guance spesso rosee e la voce traballante, non era un bambino timido, ma introverso. E imparai che una grande differenza distingueva questi termini all'apparenza identici: Nathan ci metteva un istante per mandarti al diavolo e farti scappare a gambe levate. Teneva per sé ciò che gli passava per la testa con fare testardo, tratteneva a stento la simpatia e si conteneva se doveva mostrare entusiasmo per paura di essere giudicato un tipo passionale. Conosceva i suoi punti deboli ed era disposto a mantenerli segreti a chiunque, soprattutto a me: sapeva della sua diffidenza, meschinità, presunzione, e lo sapevo anch'io. Le sue peculiarità lo rendevano umano, cosa che Nate non voleva rappresentare. Secondo il suo punto di vista non si poteva fallire, e la questione assurda è che fu proprio lui quello a battersi in ritirata per primo: la realizzazione d'essere stato colto in fragrante, esposto sotto i riflettori, nudo, privo di maschere a coprirlo, con le emozioni proibite fuori dalla loro tana che senza alcuna pietà danzavano sui suoi lineamenti, lo aveva reso tutt'a un tratto debole. Era ossessionato nel sopprimersi, ma non nel sopprimere una grande quantità d'amarezza. E quelle poche volte in cui, all'inizio, riversava la frustrazione in misere gesta, come incrociare le braccia al petto o mordersi il labbro fino a sanguinare, appariva al mio sguardo affine a un fuoco d'artificio in un cielo sprovvisto di stelle: la sua luce bastava per farlo risplendere e al cielo bastava lui. Non poteva desiderare abbaglio migliore.

Uno dei miei passatempi divenne presto quello d'inquadrarlo e ricordo con divertimento quanto gli stetti appiccicato, facendolo impazzire di noia. Ritraevo il suo opposto, un ragazzino con cui forse non avrebbe scovato hobbies in comune. Ero quello richiesto dalle femmine, col fratello maggiore, riconosciuto per le eccellenti doti sportive, e lui era l'unica persona che auspicavo mi notasse e l'unica che mi sviliva. I miei sforzi non venivano ripagati; non apprezzava la gioia che mettevo in qualunque impresa, seppur banale, né si manifestava comprensivo se gli rivelavo una confidenza intima da amico. Ricordo quanto m'impegnai per assomigliargli, per innamorarmi delle sue stesse passioni, per parlare con lui degli stessi argomenti, per fare colpo nelle occasioni più impensabili, regalandogli un sorriso nelle giornate nere. Nate era così maledettamente misterioso e io così sconsideratamente indiscreto. Era divenuto la mia scommessa e, piano piano, il solo ragazzo capace di contare davvero qualcosa, il solo per cui mi sarei fatto spezzare il cuore. A volte, da lunatico imprescindibile qual era, mi mandava in bestia, ma imbestialirmi a causa sua per poi fare la pace ne valeva la pena.

E il problema è che Nate ne vale sempre la pena. Non riesco ad arrabbiarmi con lui per più di qualche giorno, a offenderlo e non pentirmene, a litigarci, a rimanere senza la sua avidità d'imparare che arricchisce anche la mia cultura, la pozza d'oro alla fine di un arcobaleno infinito. Cavolo, se solo fosse stato meno ingenuo, ora non avrei questi dilanianti sensi di colpa. Ho provato a fuggire dal rammarico per tre anni consecutivi, malgrado prevedessi d'essere rinchiuso in un circolo vizioso, e arrivai alla conclusione che sì, la soluzione era dietro l'angolo, ma mi trovavo dentro un labirinto dalla forma ovale. Cosa sarebbe successo se Nathan non si fosse avvilito? Se Aleksandr lo avesse accolto per quello che era? Se si fosse lasciato andare, smettendo di rintanarsi nei fantasmi del passato, del presente e del futuro? È pieno di ragionamenti, valutazioni, timori, pregiudizi, avversità: immagino la sua anima come quella di un vecchio tormentato. Gli si addicono le figure dell'anziano – è un ragazzo vissuto da esperienze che sono state in grado di farlo crescere in fretta – e del perseguitato – la sua vita è stata un susseguirsi di disavventure traumatiche, a cui è sopravvissuto, però non superato: sono tuttora il fulcro delle sue angosce.

Ricordo che fui io a prendere l'iniziativa, la prima volta che ci baciammo. Ero fidanzato con una spocchiosa di nome Becky, bionda tutta curve a cui i quasi quindicenni della città sbavavano dietro, che Nathan, prontamente, detestava per la sua vanità. Non mi aveva mai costretto ad attuare la cosa giusta, come lasciarla per esempio, anche se glielo leggevo negli occhi e lo interpretavo dal tono nauseato che utilizzava per descriverla ai compagni di classe. È indescrivibile lo sgomento che mi sbranò quando mi resi conto che Becky era noiosa se confrontata a Nate. Ero certo dei sentimenti che si smuovevano al mio interno, provocando le classiche farfalle allo stomaco e spolverando strane immaginazioni imbarazzanti da parecchio. Erano passati ormai quattro anni dal nostro primo incontro e non c'era bisogno di domandarsi se sarebbe stato il caso di rischiare. Avrei potuto mentire e reprimere la sensazione viscerale che si creava ogni volta che incrociavo la sua bocca carnosa, ma non ero un bravo bugiardo, non quanto lui che, educato alle menzogne, avrebbe sospettato in un baleno delle mie occhiate sognanti. Non sarebbe servito a niente negarmi il lusso della scoperta, perché ero arrivato a un punto critico del mio percorso: possibile che un eterosessuale fremesse per fare l'amore col proprio migliore amico? Nel momento irragionevole in cui lo guardai, poco prima d'appoggiare le mie labbra sulle sue, mandai al diavolo Becky e i quasi quindicenni della città, perché la persona più bella ce l'avevo di fronte, era un maschio e non me ne fregava un cazzo.

Sono intrappolato fra due muri di fuoco, l'incendio sta divampando ovunque e soffoco nelle mie stesse grida, nella paura di lasciarlo solo. Ho sempre creduto che non gli importasse l'opinione della gente, invece mi sbagliavo. Nate ha un terrore cieco di ciò che gli altri pensano di lui, indipendentemente dai suoi: "Vai al diavolo." Non è pronto per affrontare il mondo senza di me, e questa non è presunzione, ma oggettività. A livello psicologico non è stabile e so bene cosa significhi.

Tossisco. È uscito dall'auto-distruzione da poco.

Tossisco di nuovo. Non posso abbandonarlo, sono pronto a implorare qualsiasi Dio per diventare il suo angelo custode.

Tossisco per la terza volta, ustionandomi, svenendo e riprendendomi dopo un po', l'olfatto destabilizzato, il tatto inesistente, le papille gustative nelle condizioni di assaggiare solo il sapore imminente della morte. Vorrei supplicarlo d'aiutarmi, ma ho paura che si faccia male a rientrare nell'edificio. Non ho le forze per rialzarmi, sono stanco, fiacco, neanche le memorie visive del sole circondato dalle nuvole, delle lentiggini sul naso aquilino di Nate, del buongiorno che, come ogni mattina ci siamo augurati, m'infondono speranza. Non sopravvivrò, eppure non sono triste per la sorte che mi attende, bensì per il dolore che attenderà il mio compagno. Cosa gli impedirà di sfidare la sorte e farsi sopraffare dallo sconforto? Se mancherò io, pure i suoi progetti verranno meno. I dubbi, uno a uno, mi assalgono soffocandomi più del fumo dovuto alle tende e alla carta incenerite: mi rimarrà fedele o si sposerà con qualcun altro? Piangerà sulla mia tomba o sarà sepolto vicino a suo marito? Preso da uno sfogo di rabbia s'ucciderà o comprenderà che gli aspetta dinanzi un'esistenza fantastica, sebbene non segnata dalla mia presenza?

È nel momento in cui mi sento risucchiare dalle vampate di calore, dalle fiammate dovute al caos generale e agli oggetti squagliati, dall'aria palpabile rovente, che mi rassicuro: è uscito, l'ho visto mentre correva all'aperto d'istinto, senza curarsi del resto. Non è più rientrato da quella porta e va bene così, non sopporterei l'idea della sua vita in pericolo per salvaguardare la mia salute. Ho il cuore in pace, mi sento libero di poter finalmente soffrire senza il timore che Nathan mi scorga in questo stato.

Cristo, quanto vorrei un suo bacio.

Le persone hanno invidiato la mia maestra nel calcio, la sensibilità nel comporre canzoni, i sorrisi regalati ai poveri di virtù, tuttavia mi sento d'affermare che avrebbero dovuto invidiarmi solamente per una cosa, solamente per lui. La mia anima gemella ha un nome. Gli altri hanno avuto il coraggio di chiamarla "femminuccia", "figlioccio gay di papà", "occhi verde vuoto", "poco di buono", "scarto", "anima sporca", "fallito." Ma Nate non si chiama così, Nate è forte. È il più forte.

Vorrei che mi perdonasse per non essere stato abbastanza valido da raggiungere la porta d'uscita, da raggiungerlo. Tossisco fino a vomitare i succhi gastrici, residui del mio stomaco prossimo a bollire in un forno infernale: i miei rigurgiti e il sangue che cola dalle gambe sono gli unici liquidi nella stanza del Pantheon. Il resto è silenzio. Mi tappo il naso, la puzza è divenuta insopportabile. In lontananza mi sembra di scorgere uno dei gemelli grazie alla felpa riconoscibile dalla scritta: "FRATELLI ASHER." Un Matt costernato è l'ultima scena che avvisto prima di notare di stare andando a fuoco.

[Angolo playlist: Recovery, James Arthur.]

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