Anima d'acciaio

By animasporca

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Desidero strapparmi i capelli, urlare a squarciagola, prendere a pugni un muro qualsiasi, sparare alla prima... More

Zachary.
Nathan.
Nathan.
Nathan.
Zachary.
Nathan.
Nathan.
Zachary.
Zachary.
Zachary.
Zachary.
Nathan.
Zachary.
Nathan.
Nathan.
Zachary.
Zachary.
Jonas.
Nathan.
Zachary.

Nathan.

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By animasporca

Primo

<Oggi>

Mi hanno sempre detto che l'incontro con l'anima gemella avviene nell'ultimo luogo in cui ci si potrebbe aspettare d'incontrare un'anima gemella. Il mio caso rientra in queste leggende metropolitane. Zeke si era presentato nella sua divisa scolastica alla fermata di un autobus, quando ancora il mondo degli adulti distava anni luce dalla nostra spensieratezza. Si dimostrò subito una persona dalla vivacità incontenibile, forse un po' troppo stressante per un bambino pacato e malinconico come il vecchio Nathan. Mai, come prima d'allora, mi era piaciuto condividere certe esperienze con qualcuno e pensare che quel qualcuno, di lì a qualche anno, sarebbe stato il ragazzo più importante della mia vita, era assurdo perfino per una mentalità aperta come la mia. Zachary mi aveva affascinato sin dall'inizio con la sua zazzera di capelli biondi e gli occhi azzurro intenso. Era un sognatore e mi faceva sognare. Se io ero il bozzolo, Zeke rappresentava indubbiamente la farfalla: vedevo in lui un qualcosa che, nemmeno pregando, sarei riuscito a eguagliare. In principio ero quasi geloso della sua facciata spavalda, ma mi bastò conoscerlo per sapere che presto, entrambi, avremmo spiccato il volo senza alcun tipo di differenza. Era un ottimo maestro, e mi aveva insegnato che anche i maschi si possono baciare sulla bocca.

Mi hanno sempre detto che l'Amore non ha età. Neanche il nostro ne aveva una. Ho sempre saputo di amarlo. Mi ha accettato mentre gli altri mi disprezzavano, ha reso semplici le operazioni più complesse, è stato in grado di cogliere tutte quelle virtù che io stesso ignoravo di possedere. Eppure, nonostante gli apprezzamenti, l'entusiasmo dimostrato, nonostante quei piccoli dettagli che mi avevano reso migliore, commisi, a causa della voce del Diavolo, uno sbaglio che mi costò caro.

Scelsi di credere alle menzogne piuttosto che alle sue rassicurazioni.

Zeke iniziò a non comunicare abbastanza, mettendo alla prova la mia solitudine nel misero tentativo di spronarmi a cambiare. Per cogliere una provocazione simile serviva coraggio e Nathan Traynor era un codardo. Mollai all'istante la funicella infischiandomene se, a tenere l'altro capo, ci fosse stato qualcuno di speciale, qualcuno che, in fondo, desiderava ardentemente restare al mio fianco e chiacchierare di più. Lo ferii, ferii l'uomo che diede alla mia esistenza un senso compiuto, fui egoista. E adesso che il fumo m'impregna i vestiti e corro da una parte a quella opposta del cortile, una meta imprecisa in mente, sono immerso nella stessa ansia che anni fa mi aveva dilaniato, nella stessa angoscia che mi aveva strangolato in una trappola suicida, nello stesso terrore della perdita imminente, del rifiuto.

Non ho visto uscire Zeke dall'incendio.

I vigili del fuoco mi circondano. Spintono quanta più gente possibile, decidendo d'entrare pur di accertarmi che si sia salvato. Non so di chi siano gli strilli, da dove provengano i suoni delle sirene, quando siano arrivate le ambulanze e quali feriti stiano portando in ospedale: so solo che Zachary non si trova fra loro, perché è dentro l'edificio ed è lì che devo andare prima che il fuoco bruci il suo corpo maledettamente perfetto. Schivo un agente e urlo, il panico infuocato divampa in gola, fuoriuscendo in singhiozzi scoraggiati finché una mano salda mi ferma, facendomi voltare con facilità. Matthew. La prima cosa di cui mi accorgo è che sta piangendo, proprio come me, dopodiché noto le chiazze di sangue rappreso sulla felpa, i pantaloni strappati, il viso cosparso di fuliggine. ― L'ho visto ― sussurra, la voce tremante.

Corrugo la fronte, scuoto il capo, mi scrollo di dosso le sue dita malferme in un gesto che, se fossimo stati in circostanze differenti, avrei considerato villano. ― Non ho tempo. Zeke potrebbe essere in pericolo ― dico sbrigativo, continuando a divincolare il braccio per liberarmi dalla presa che, inspiegabilmente, risulta più forte del previsto. In questo momento sono talmente fragile che riuscirebbe a spezzarmi l'osso del collo con un'occhiata assassina in più.

― No, Nate ― mi blocca, gli occhi arrossati e vuoti come il tunnel di una giostra degli orrori. ― Zeke non ce l'ha fatta.

Trattengo il fiato.

Lo guardo.

Apro la bocca per sputargli addosso parolacce, perché se c'è qualcosa che non si deve permettere di fare è scherzare sull'incolumità del mio fidanzato. Ma Matt ha i muscoli della mascella contratti e lo sguardo di chi è stato sfiorato dalla mano scheletrica della morte.

Zachary è sempre stato una persona fortunata. A casa Aleksandr mi picchiava per essermi dichiarato bisessuale; suo fratello maggiore si era proposto di preparare le nostre nozze con disinvoltura. A scuola ero preso in giro dai bulli; lui possedeva amici ovunque e nei recessi polverosi dei corridoi non vi era qualcuno che lo conoscesse con definizioni dispregiative. In generale vincevo raramente nelle sfide; Zeke indossava cinque medaglie d'oro al collo e passeggiava con orgoglio, una falcata più grande della precedente, la nuca sollevata che squadrava gli indiscreti, il torace all'infuori prosperoso come il carattere. Capisco che non potrò sposarlo, né sperare di trovarlo vivo quando Matt fa una smorfia di dolore tastandosi il fianco. ― È una merda, mi dispiace ― singhiozza e s'inginocchia a terra, senza forze. Lo guardo un'altra volta fingendo di non capire. Matthew è in un bagno di sangue, il mio cuore in un bagno di dolore. Che squarcia il petto. Che esplode come una bomba a orologeria. Lo spingo via, non m'importa se gli farò male, sferro un pugno sulla sua mascella e spero che il livido diventi più grosso di quelli che la fuga gli ha procurato. Cade a peso morto sull'asfalto e mi supplica di stare fermo, di aspettare, di chiamare la polizia, mi promette che andrà tutto bene, che Zachary non aveva intenzione di abbandonarmi o di farmi soffrire.

Gli rispondo che tanto sto andando da lui, che sto andando a tirarlo fuori dai guai e non resterò un nullafacente mentre l'uomo della mia vita lotta contro il decesso, i polmoni colmi di fumo. ― Nathan, quelli che sono rimasti all'interno della palestra sono morti. ― Lo maledico, gli ripeto di smetterla di fare lo stronzo e augurare al mio compagno una brutta sorte: Zachary non è uno sventurato come me, se non sono io quello immerso nel getto ardente significa che la scamperà, strappandosi dal pericolo. Morto? Chi vuole prendere in giro? Zeke è immortale, non ne è a conoscenza? Me l'aveva promesso: avrebbe fatto in modo di decedere dopo l'ultima speranza. Poi Matt piagnucola: ― Nate, ascoltami! Nicholas era con lui, non è uscito. Sono rimasti rinchiusi, non l'ho nemmeno abbracciato, non lo abbraccio da mesi per stupida presunzione personale ― e comprendo.

Non lo invidio, stamattina mi sono svegliato e nel letto c'era tutto ciò che bramavo a darmi il buongiorno. Un buongiorno che preannunciava una giornata memorabile, fattore in realtà veritiero: chi scorderà più la data in cui il Pantheon, edificio pluripremiato di Portland, è stato distrutto? Apro la bocca. Vorrei tranquillizzarlo, non insultarlo, ma farfuglio suoni sordi.

Matthew sta gettando la spugna, è adesso che devo dimostrare a me stesso di non essere un vigliacco come la sua coda di paglia. Nicholas e Zachary sono in mezzo alla disperazione: inutile negarlo, non ne usciranno indenni da soli. Mi allontano, scappo, non mi volto nell'udire i suoi richiami moribondi. Sto andando da Zeke per baciargli quelle nuove bruciature che, certamente, avranno deformato il suo viso senza imbruttirlo. Sto andando da Zeke, perché riconosco quanto sia incapace di sopravvivere al resto senza i suoi sproni. No, gli agenti che mi bloccano non sanno che se mi strapperanno da lui morirò d'apatia, inghiottito nella bolla della depressione. Credo di averne picchiato un paio, facendo sanguinare dei nasi impiccioni. Forse mi hanno attaccato in diversi, il mondo è sfocato, hanno calato una maschera che sputa ossigeno sulla mia faccia, costringendomi ad annusare l'aria. Sono così insulsi da non intendere che è Zeke quello ad avere un estremo bisogno d'ossigeno? Adesso Matt mi è affianco ed è strano perché fino a un attimo fa l'avevo seminato ed ero spaventosamente vicino all'entrata della palestra.

Mi accarezzano i capelli, ma i loro tocchi sono ruvidi e disgustosi. ― Te lo riporteremo ― afferma uno sconosciuto. Questa frase ha un effetto intenso su Matt, che scoppia in un pianto isterico contorcendosi, e un effetto ambiguo su di me, che in disparte conto le volte in cui lo ripetono. ― Sarete di nuovo una coppia felice ― ribadisce lo stesso tono piatto, quello di un infermiere dalla barba curata. Dio, considero in un impeto di repulsione, se Zachary non mi avesse migliorato, sarei diventato come questo dottore.

Provo a rialzarmi, a fuggire, però mi acciuffano in tempo e qualsiasi tentativo risulta vano di fronte alla loro astuzia. Calcio, tiro spallate, mordo. Il vapore gettato dal macchinario uguale a quello che, a sedici anni, mi avevano agganciato in ospedale per farmi respirare, mi offusca la vista. E pensare che quella volta mamma strillava vicino al letto su cui era poggiato il mio corpo inerme mentre ora potrei essere io a frignare sulle coperte di Zeke che, un giorno, smetterebbero di sprigionare il suo odore. Percepisco il sentore dell'intuito farsi strada nelle mie consapevolezze: sto per perdere i sensi. ― Te lo riporteremo sano e salvo.

Ma di Zeke, in ogni angolo del giardino, non c'è traccia.

[Angolo playlist: Lost In Paradise, Evanescence.]

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