I Temibili 10

De GiulSma

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•Terzo volume della serie Le cronache dei Prescelti Celestiali• «We are here...» Negli Stati Uniti si sta ve... Mais

1|Proprio come Eleven
2|Kitsune
3|Strizzacervelli
4|Di nuovo coi guardiani
5|Il MMantello
6|Chi è L. Degare?
7|Terapia di coppia
8|Team Anti-Killer X
9|Un gelato a marzo
10|L'avventuriera
11|Un pomeriggio col principino viziato
12|Killer X
13|Sebastian
14|Resisti
15|Una pessima babysitter
16|Fuggire dai problemi
17|Biscotto?
18|Necessario per vincere
19|Marta, sei un genio!
20|Petali blu
21|Pagina bianca
22|Segreti
23|Sta succedendo
24|Chiamata alle armi
25|Odi et amo - M&A
25|Odi et amo - R&D
25|Odi et amo - B&J
25|Odi et amo - E & A/S
25|Odi et amo - D & T
25|Odi et amo - G & T
25|Odi et amo - Loro...
26|Salvare i salvatori
27|Requiem
28|Sei il nostro piccolo Sole
29|Harron
30|Pace?
31|Regina dei mostri
32|In viaggio per Zurigo
33|Il succo è la mia debolezza
34|C'è un asino dietro di te! Ah no, è Nicholas
35|Basta bugie
36|Il tempo scorre
37|Impossibile tocco di due dita
38|Chiromante
39|Non si torna più indietro
40|Non dimenticare le calze
41|Che la missione abbia inizio
42|Φιλία
43|È finita
44|Duo mortale
45|Esprimi un desiderio...
Epilogo
⚜️ Curiosità ⚜️
Ringraziamenti

Prologo

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De GiulSma

Lasciai che lo zaino scivolasse a terra con un tonfo e attraversai barcollando il salotto.
Non riuscivo a respirare. Il sangue incrostato mi aveva tappato le narici.

Un raggio di sole era riuscito a penetrare nel salotto, illuminando il solito divano grigio davanti al piccolo televisore posto sulla parete turchese.
Sembrava tutto così calmo, invece, proprio in quel momento, si stava scatenando l'inferno.

Entrai in bagno tremando come una foglia. Ero salva. Ero a casa mia. Perché avevo ancora paura? Non potevano più farmi del male, non sarei mai più andata a scuola.

Con movimenti lenti e curati mi tolsi la mia felpa verde strappata e sfilacciata, dove si potevano vedere ancora le macchie lasciate dalle cicche che ci avevano attaccato sopra.

E pensare che un tempo era la mia preferita.
Ho sempre amato il verde, mi ricorda il mio cognome: Greenwood, bosco verde.
Sentivo sempre di persone che se ne infischiavano del loro cognome, che non ci facevano nemmeno caso e a volte lo cambiavano, io invece ci prestavo molta attenzione e ne andavo fiera.

Con la mia famiglia almeno una volta al mese andavo a fare passeggiate nella Hudson Valley, in mezzo alla natura verdeggiante.
Ma d'inverno, quando il freddo ghiacciava le strade e i boschi erano troppo umidi, era meglio rimanere a casa e guardarsi dei film con in mano una cioccolata calda e un sacchettino di popcorn al caramello.

Mi guardai le braccia fin troppo magre, colpa di tutti i pasti che avevo saltato a causa di quegli idioti che me li buttavano addosso per fare più visualizzazioni. Erano piene di lividi che partivano da uno strano verdognolo al viola, quasi nero. Non che fosse una novità per me, ormai ero abituata a vederle sulla mia pelle ed ero diventata abilissima a nasconderle ai miei genitori con fondotinta o vestiti lunghi.

Riempii d'acqua un bicchiere di plastica, ignorando che sotto era bucato e che stava bagnando le piastrelle del pavimento, e ingoiai un antidolorifico sospirando amareggiata.

Sentii il mio telefono vibrare. Lo ignorai.
Vibrò ancora e ancora e ancora e ancora... finché non cadde a terra.
Non lo raccolsi nemmeno. Non volevo vedere, non ero pronta a vedere.

Il mio telefono era totalmente distrutto ed era un miracolo che si accendesse ancora.
Quei ragazzi lo avevano ridotto così male che era irriconoscibile. Io ero irriconoscibile.

Mi guardai allo specchio appoggiandomi al lavandino e vidi una ragazzina stanca di vivere una vita da oppressa, con due occhi nocciola spenti e dei grossi occhiali neri crepati che avrebbero dovuto proteggere quelle iridi piene di speranza e invece non ce l'avevano fatta.

Mi legai i capelli mori in una coda bassa, gemendo ad ogni movimento, e decisi di raccogliere il telefono da terra.

La curiosità aveva vinto.

C'erano centinaia se non migliaia di notifiche tutte uguali ma mandate da persone diverse, la maggior parte erano di numeri sconosciuti che non so come erano riusciti ad ottenere il mio contatto. Tutte quante dicevano "burning photo" o "dumb b*tch" o "just die assh*le".

Digrignai i denti e scagliai il telefono contro il muro, lasciando che si rompesse del tutto. Schegge metalliche volarono ovunque e pregai che mi colpissero.

Non avevo più bisogno di un telefono, non di quello. Ne avrei preso uno nuovo e avrei cambiato numero. E se non avessi trovato i soldi per pagarmelo lo avrei rubato. Non mi interessava più nulla.
Volevo solo scomparire...

«Cosa ti è successo?»

Alzai lo sguardo e vidi un diciassettenne dai caldi occhi verdi e i capelli del mio stesso colore.
Lui non aveva lo sguardo stanco come il mio, tutt'altro, era solare, vispo, perfetto.
Quanto invidiavo mio fratello.

«N-nulla» mentii rimettendomi la felpa.

«Quei lividi non sono "nulla"» Aveva ragione. «Fammi vedere»

Indietreggiai scuotendo la testa. «Non voglio»

«Morgan, fammi vedere cosa ti hanno fatto» Mio fratello si sporse in avanti, mettendomi la mano sul viso per ispezionare il mio occhio nero nuovo di fabbrica made in USA. «Ti hanno conciata proprio male questa volta... Non so se mamma e papà si berranno una delle tue solite scuse»

Lo seguii fuori dal bagno, facendo attenzione a non calpestare i pezzetti del mio ex telefono. «E allora che faccio? Sai che non posso dire nulla...»

Arrivammo in cucina. Dal frigo prese una bistecca cruda e me la mise sull'occhio. Sì, proprio come fanno vedere nei film.

«Perché non puoi dire nulla? Sai che sarebbe solo meglio. Ti aiuterebbero...»

«No, Gideon, perderebbero solo il lavoro e lo sai»

Sospirò e mi diede un bacio sulla fronte. Di solito non era un amante del contatto fisico, così come non lo ero io, ma quando tornavo a casa conciata male era sempre pronto a consolarmi e farmi sentire amata. Aveva paura che io me ne andassi... non dopo avermi beccata a provarci.

Mi ero rinchiusa una volta in camera alle tre di notte, avevo provato a farla finita ma mi aveva sorpresa appena in tempo e addio salvezza ultraterrena.
Dopo quella volta aveva fatto in modo che in camera mia non ci fosse nulla di affilato e persino per usare delle forbici lui doveva starmi accanto e osservarmi per assicurarsi che non facessi alcuna mossa azzardata.

Non aveva detto nulla ai miei genitori, non era uno spione e non era nemmeno stupido. Sapeva che io mi fidavo solo di lui e non voleva perdere la mia fiducia.

«Cosa ti hanno fatto questa volta? Dimmelo, Morgan, parlami, dimmelo, dimmi chi è stato» insisté Gideon, gli occhi lucidi che trattenevano tutto il dolore di vedere la sua povera sorellina in quelle condizioni.

Mi scappò un singhiozzo e una lacrima scese lungo la mia guancia. Era da mesi che non una sola lacrima aveva oltrepassato la barriera, ma era arrivato il momento di lasciarle andare.

«La foto... loro hanno distrutto la nostra foto... e io...»

Scoppiai in lacrime e venni avvolta dalle gentili braccia di mio fratello, il mio angelo custode.

Non riuscii a dirgli nulla quella volta, ma non vi posso lasciare così, senza raccontarvi quel che è successo, perché immagino che sarete abbastanza confusi adesso.

Era il mio ultimo anno alle medie, Dio solo sa quanto ero grata per questo.
Dalla prima media una ragazzina, Breyanna Thompson, la figlia del magnate più importante di tutta Manhattan nonché quarto uomo più ricco al mondo, mi aveva presa di mira. Non sapevo il perché, non me l'aveva mai detto e dubito che le fosse anche solo passato per l'anticamera del cervello di farlo.

Ben presto il suo nome si diffuse su tutte le bocche degli studenti e lei diventò una vera e propria dea. Tutti le stavano intorno e la seguivano perché i loro genitori lavoravano per suo padre, come anche i miei, o perché semplicemente volevano trarne profitto venendo invitati nel suo bell'attico con vista sull'Empire State Building.

Tutti le facevano la corte, persino io ma solo per il primo periodo.

All'inizio era una ragazza carina. Adorava vestirsi con colori tendenti al rosso pallido e al rosa e si metteva sempre una mollettina bianca tra i lisci capelli neri.

Ogni volta che la vedevo il mio cuore si riempiva di gioia, ero stregata dalla sua bellezza, così come Tyler, colui che pensavo fosse il mio migliore amico.

Era un idiota. Non spenderò molte parole su di lui, i traditori non meritano tante attenzioni.
Vi basta sapere che non ha mai mosso un dito per difendermi contro Bryn quando lei aveva iniziato a maltrattarmi e che alla prima occasione era riuscito ad entrare nella sua cerchia ristretta.

Come rito d'iniziazione sapete cosa lo avevano obbligato a fare? Doveva farmi del male o altrimenti sarebbe stato lui a venire pestato. E cosa ha scelto secondo voi? Ha scelto di difendere se stesso, lasciandomi sola ad affrontare tutto.

Quel giorno ero andata da lui, ignara del suo compito, e mi aveva tirato un pugno nell'occhio.

Distrutta ero andata a sciacquarmi la faccia in bagno ma quando ero ritornata... era lì che si era scatenato il vero inferno.

Vedevo Bryn e la sua cerchia di "amici" sghignazzare vicino al mio armadietto. Cosa avevano combinato quella volta?

Molti studenti si erano addensati nel corridoio per vedere cosa stesse succedendo. Avevano i telefoni in mano, stavano registrando tutto.

Ero conciata malissimo. L'occhio si stava facendo più nero anche se l'avevo sciacquato con l'acqua gelida.

«Finalmente è arrivata!» aveva detto Bryn, il maglioncino rosso messo sulla schiena come un mantello, legato al collo per mezzo delle maniche.

Avrei voluto prenderne le estremità e strozzarla.

«Appena in tempo, direi. Abbiamo appena nascosto la tua sorpresa. Ora devi trovarla»

Guardai l'armadietto. Della schiuma bianca fuoriusciva dalle fessure. Tutti i miei libri, i quaderni, l'astuccio e la merenda, tutto quanto era stato rovinato. Ma la cosa che mi premeva di più era un oggetto, uno che aveva per me un valore inestimabile. Lo portavo con me come portafortuna, anche se non funzionava molto. Mi trasmetteva l'affetto di un fratello fantastico su cui ero certa che avrei potuto contare sempre.

Bryn sghignazzò e a scoppio ritardato lo fecero tutti gli altri. Sembrava uno strano remake di qualche serie tv Disney dove tutto era palesemente finto e ridicolo.

Tirò fuori dalla tasca un pezzetto di carta quadrato. «È questa che cerchi?» La mia foto. C'eravamo io e Gideon, abbracciati e sorridenti, l'uno di fianco all'altra sul divano di casa nostra. «Questo è tuo fratello? Niente male»

«R-ridammela» balbettai, avvicinandomi con passo incerto.

Tyler mi guardava dispiaciuto, ma intanto era insieme alla cricca della ragazza e mi aveva tirato un pugno.

«Cosa? Non riesco a sentirti» Si stava facendo beffe di me.

«Ridammela» dissi tutto d'un fiato, avanzando ancora di più.

Le comparve un sorriso malefico. «Non ti sento»

Un ragazzo alto e robusto che emanava una forte puzza di fumo le passò un accendino nero con sopra disegnato, per quello che riuscii a distinguere, un cobra.
Le bastò far scattare una scintilla per far fermare il mio cuore.

«NO!» urlai correndo verso di lei.

Troppo tardi. Il fuoco aveva iniziato a mangiarsi la mia foto. Si espandeva dall'angolo verso la mia immagine, la rovinò ma non potevo permetterle di fare lo stesso anche con l'immagine di mio fratello. Era una foto unica, una polaroid, non potevo più rifarla o ristamparla.

Spinsi Bryn indietro, sporcandole la candida camicetta di marca con le mie mani sudaticce e sporche di grafite e inchiostro e mi ripresi la foto.
Stava ancora bruciando. L'inchiostro mi colava lungo la mano percorrendo il polso fino a sporcarmi la felpa verde.

Guardai il mio armadietto. La schiuma. Lo aprii senza esitazione e ci ficcai dentro la foto.
Il fuoco si spense, ma le risate si accesero.

Ero patetica.

«La mia camicia!» si lagnò Bryn, sull'orlo di una crisi nervosa. Ne avrà avute altre centomila come quella, voleva solo fare scena e ci stava riuscendo. Vi era sopra un'impronte sudicia di grafite e inchiostro.
Tirai fuori la foto e la pulii frettolosamente con la mia felpa. Un pezzo se n'era andato, quello col mio volto e parte della mia camicetta preferita a quadri neri e rossi che ormai non mi stava più. Gideon era intatto ed era questo ciò che contava.

La misi gelosamente in tasca, reprimendo un singhiozzo quando la sentii spiegazzarsi un po'.
Be' sempre meglio quello di vedermela strappare via di mano.

«Come hai osato rovinarla?! Era nuova» insisté lei, con le lacrime da coccodrillo agli occhi.

La fulminai con lo sguardo. «Non è sporca» Presi due pugni di schiuma dal mio armadietto e glieli lanciai addosso sporcandole persino i capelli. «Ora va meglio»

Poi andai dritta da Tyler. Non riusciva a guardarmi. Ora si sentiva uno schifo, eh?

«M-Morgan mi-» Gli tirai un pugno in pieno volto, facendolo rovesciare all'indietro. Il sangue iniziò a colare dal suo naso. Finalmente capiva come mi ero sentita io per tutto quel tempo. Aveva commesso un grosso errore e gliel'avrei fatto pesare.

«Fate qualcosa!» strillò Bryn in preda al panico, sistemandosi freneticamente la camicetta e i lisci capelli neri.

La mia piccola vendetta durò poco. Venni pestata a sangue lì, in mezzo a tutti quanti, finché un poliziotto chiamato da qualche anima pia era intervenuto per fermare il gorilla che puzzava di fumo che mi stava schiacciando con il suo grosso e grasso piede.

Gemevo, piangevo, tremavo... e nessuno aveva fatto nulla.

"Me la pagherete..." giurai a me stessa.

Così iniziai a premeditare la mia vendetta durante il viaggio di ritorno. Non pensavo di ucciderli, no, finirli subito non mi avrebbe soddisfatta. Dovevo pensare ad altro, a qualcosa che durasse di più.

Ma quando entrai in casa tutti i miei pensieri crudeli scomparvero. Che senso aveva vendicarmi? Non ci avrei ricavato nulla. Sarei diventata proprio come quella stupida di Bryn.

Ci rinunciai e mi concentrai sulle mie ferite. Il resto lo sapete già.

Gideon si asciugò di nascosto una lacrima mentre mi passava un batuffolo di cotone su una sbucciatura nel ginocchio.

Eravamo nel mio piccolo bagno personale, collegato alla mia camera.
Dentro c'erano solo una doccia, un water e un lavandino, l'essenziale per una ragazzina di tredici anni che voleva i suoi spazi.

«Non puoi continuare così» disse buttando il batuffolo. «Prima o poi lo dovrai dire anche a mamma e papà. Cosa penseranno quando vedranno il tuo occhio nero? Quale bugia ti inventerai questa volta?»

«Gideon, basta» lo sgridai. «Dirò che stavamo facendo educazione fisica e che per sbaglio sono stata colpita in un occhio dal gomito di un mio compagno, tutto qui»

Gideon aggrottò la fronte perplesso. «E tutte le altre ferite? Morgan, se continui a farti male le ferite potrebbero infettarsi e sai meglio di me cosa succederebbe. Vuoi fare il medico da grande, giusto? Be' prima ci devi arrivare tutta intera all'età adulta» Sospirò. «Parlane con mamma e papà, cambierai scuola e vivrai meglio»

Mi mordicchiai il labbro inferiore ormai secco e spaccato. «Non so se sono in grado di parlarne»

Gideon abbozzò un sorriso per rassicurarmi. «Ci sarò io con te. Glielo diremo insieme, okay? Basta inferno, d'ora in poi vivrai decentemente»

L'idea non mi dispiaceva affatto. Andarmene da quella scuola era la decisione migliore. Niente più scherzi di cattivo gusto, niente più Bryn e niente più Tyler, solo pace e nuovi inizi.

Forse avrei persino trovato più tempo per suonare la mia Fazley rossa. Me l'avevano regalata per il mio dodicesimo compleanno perché mi vedevano sempre strimpellare con quella chitarrina scordata per bambini che avevo ormai da una decina di anni.
Suonare era una delle mie più grandi passioni, ma l'avevo persa col tempo a causa dei ripetuti scherzi di Bryn.

Per avere un suono migliore servivano le unghie lunghe, ma le mie erano tutte rotte e annerite e per non farle vedere ai miei le avevo coperte con dello smalto nero di una qualità tutt'altro che buona, infatti dovevo rimettermelo a giorni alterni se volevo che restasse abbastanza, e dovevo tenerle corte per evitare che si spezzassero.

Era anche un modo per evitare di farmele mangiucchiare per l'ansia. Lo smalto mi lasciava l'amaro in bocca e io odiavo le cose amare.

«Tra un po' arriveranno mamma e papà, lavati e mettiti dei nuovi vestiti» La voce di Gideon era premurosa e calma.

Avevo proprio bisogno di una doccia. I miei capelli erano unti e increspati di sudore e il mio corpo era segnato da così tante cicatrici e graffi che all'apparenza poteva sembrare quello di una guerriera, e invece ero una perdente, una piagnucolosa e patetica ragazzina che voleva solo vivere in pace o non vivere proprio.

Gideon mi diede un ultimo bacio sulla fronte e se ne andò dalla mia camera colpendo con una mano la parte sopra dello stipite, per dimostrare quanto era alto.
In realtà era solo un metro e settantacinque, ma si comportava come se fosse un gigante perché era il più alto in famiglia.
Be' eravamo solo noi due e i nostri genitori, non ci voleva granché a superare me e loro due...

Entrai in doccia. L'acqua gelida mi investì e mi lasciai scappare un gridolino sorpreso. Ci metteva sempre un po' a diventare calda e non c'erano mai mezze misure: o era fredda come l'acqua delle sorgenti di montagna o calda come l'inferno.

Vedevo il sangue scivolarmi addosso e cadere giù per lo scarico finché i tagli non si ripulirono del tutto.
Vi risparmio la mia routine da doccia, non credo che vi interessi a meno che non siate dei maniaci o cose simili...

Uscii dalla doccia starnutendo, come di mio solito. Mi avvolsi nell'accappatoio rosso e caldo e mi misi dei vestiti puliti e profumati.
Una tuta, una maglietta larga e nera con l'immagine della Delorean di Ritorno al Futuro e una felpa calda grigia bastarono a farmi stare meglio.

Mi avvolsi i capelli umidi nell'asciugamano facendo un turbante e uscii dalla mia camera alla ricerca di Gideon.

Lo trovai giù per le scale, in salotto, a leggersi un fumetto sulla poltroncina accanto al divano.
Un momento, ma era un numero nuovo di Superman! Mi aveva promesso che lo avremmo letto insieme come al solito!

Scesi furiosa le scale e mi piantai davanti a lui con le mani sui fianchi e il broncio. «Traditore»

Gideon sorrise e girò la pagina facendomi la linguaccia. «Lo rileggeremo insieme»

«Ma così non c'è più gusto! Mettilo via»

Mio fratello lo chiuse ma dopo due secondi lo riaprì e ci ficcò dentro la faccia leggendo ad alta voce i dialoghi.

«No! Gideon Greenwood, fermati!» lo sgridai tappandomi le orecchie. Non volevo farmi spoiler, ma lui andava avanti imperterrito! Pestai un piede per terra e ritornai su, in camera mia.

Era una stanza piccola, con le pareti colorare di verde smeraldo. Su una, quella opposta alla finestra, io, Gideon e i miei genitori ci avevamo disegnato una foresta.

Quando si entrava la prima cosa che si vedeva era la finestra davanti e la scrivania disordinata poco sotto. A sinistra c'era il mio soffice letto che aveva sopra, attaccata al muro, una tavola periodica degli elementi dove c'erano alcune immagini nelle caselline di ogni elemento che li rappresentavano.
Sulla parete sinistra, sempre dove c'era il mio letto, erano disposti a l dei mobiletti che partivano da uno stretto e salivano in alto per poi andare a destra, verso il muro perpendicolare della finestra.

In quello stretto, all'apparenza, c'erano dei vestiti ma i miei genitori l'avevano progettato perché io potessi nasconderci dentro la mia Fazley e dei soldi aggiuntivi. Per aprire lo scomparto segreto dovevo inserire una password che solo noi Greenwood potevamo sapere e no, non penserete che io ve la dica. Non ruberete mai la mia chitarra!

Finito di asciugarmi i capelli mi rimisi gli occhiali e ritornai in salotto.
Non ci vedevo molto con quelli. Non perché le lenti fossero mal graduate ma perché erano rotte in alcuni punti. Ragion per cui preferivo usare le lenti a contatto ma era da un paio di giorni che non riuscivo più a trovarle. Forse erano sommerse sotto le scartoffie della mia scrivania ma non avevo voglia di andarle a cercare quindi mi facevo andar bene gli occhiali rotti.

Gideon mi prendeva spesso in giro perché la montatura era spessa e ricordava un po' gli occhiali che si mettevano gli anziani, così mi chiamava... «Ehi, nonnina!»

Arricciai il naso. Me l'aspettavo, era così prevedibile.
«Hai finito di leggere il fumetto?» chiesi mentre mi sedevo sopra le sue gambe. Gli dava fastidio quando lo facevo, una ragione in più per farlo.

«No, sono andato a ripulire il disastro che hai combinato lanciando il tuo telefono»

Abbassai lo sguardo, colpevole. «Mi spiace...»

«Te ne prenderò uno nuovo, tranquilla»

Mi voltai a guardarlo, incredula. «Ti hanno accettato come barista?»

«Sì! Al Madrigale cafè e mi pagano meglio che da McDonald's»

Inarcai un sopracciglio. «Cioè?»

«Tredici dollari l'ora, per quattro ore il pomeriggio ogni giorno tranne il weekend»

Relativamente erano pochi, ma sarebbero bastati ad aiutare la famiglia a pagare le tasse mensili e il resto se lo sarebbe tenuto per comprare i fumetti che ci piacevano tanto.

Sapevo che stava risparmiando per il college, tutto qui. Poteva permettersi di prendermi anche un telefono nuovo? Di solito era geloso dei suoi averi. In quale faccenda losca si era andato a cacciare?
Ma no, non aveva fatto nulla, ero io quella paranoica.

Lui rivolse uno sguardo fugace all'orologio. «Sono le sei, hai fame?»

«Un po'» ammisi. Non avevo pranzato quel giorno, vi lascio immaginare il perché.
Ci alzammo dalla poltroncina.

La nostra attenzione venne subito catturata dalla maniglia della porta che venne girata. Erano già arrivati i nostri genitori?
Dovevo ancora coprirmi l'occhio nero!

Qualcosa venne sbattuto violentemente contro la porta che si inclinò leggermente. Sobbalzammo entrambi, rimanendo immobili con lo sguardo terrorizzato.

Un altro colpo arrivò alla porta e la maniglia cadde a terra rotolando lungo l'atrio.

«Su» disse Gideon, come ipnotizzato. Sbatté gli occhi risvegliandosi dallo shock. «Su!»

Mi prese in braccio con facilità e mi portò su per le scale. Tremavamo entrambi.
Andò nella sua stanza. Lo vidi tirare su dei pezzi di legno e prendere un fucile.

«G-Gideon, cos'è quello?» chiesi indietreggiando.

«La nostra salvezza»

Afferrò un pacchetto di proiettili e se lo mise in tasca, poi mi spinse indietro nella mia stanza e ci chiudemmo dentro.

«Cosa sta succedendo?!» chiesi. Dovetti appoggiarmi alla scrivania per stare in piedi, tremavo troppo.

«Sapevo che sarebbero venuti, ma non pensavo lo avrebbero fatto così presto» disse caricando il fucile.

«D-di cosa stai parlando?»

Gideon mi guardò come se fosse ovvio. «Ti ricordi quando ti raccontavo i miei sogni?»

«Sì, ma erano solo sogni. Non esistono draghi e creature magiche. E nemmeno guerrieri dall'armatura dorata! Sono solo sogni, Gideon»

Lui scosse la testa sospirando. «No. Morgan, ho sempre sentito che non lo erano. La torre che ho visto, l'esercito che aveva quel principe oscuro... e quegli strani cavalieri...»

Indietreggiai. Mi stava spaventando. «Non è vero. Non sono reali»

«Il doppio uroboro. Te lo ricordi?» Nei suoi occhi verdi era apparsa una luce sinistra. Sembrava un folle. Cosa gli stava accadendo?

Mi affacciai alla finestra. La caduta era di circa tre piani, poi sarei atterrata su un terreno secco con qualche ciuffetto d'erba.

«Tipo quello di Fulmmetal Alchemist, sì» lo assecondai.

Gideon annuì, passandosi una mano nei capelli e mettendosi il ciuffo all'indietro. Con quell'acconciatura e il fucile in mano sembrava il tipico cattivo psicopatico dei film. Era davvero il mio Gideon? «Bene, ce l'hai in mente. Ho fatto delle ricerche e ho scoperto-»

La porta venne scardinata e la sentimmo cadere a terra. Che cosa stava succedendo?
Mio fratello si avvicinò a me tenendo basso il fucile e mi diede un bacio sulla fronte, ma non mi rassicurò.

«Andrà tutto bene»

«Ucciderai chi è entrato?» chiesi deglutendo a fatica.
Gideon imbracciò il fucile e lo puntò sulla porta.

«Non fare domande di cui non vuoi sapere la risposta»

Dovevo andarmene da lì. Non ero al sicuro. Nemmeno con mio fratello.
Aprii la finestra e guardai in basso. Un salto, era tutto quel che dovevo fare, proprio come nei miei sogni.

La notte sognavo la maniglia della porta che si abbassava e una presenza oscura che voleva entrare. Per salvarmi l'unica mia uscita era quella finestra, ma non sempre riuscivo a saltare giù. A volte venivo afferrata, altre saltavo e poi mi ritrovavo dentro, altre ancora i mostri entravano in casa e mi prendevano prima che riuscissi a scappare.
Era come veder realizzato il mio peggior incubo.

«Morgan, che stai facendo?» chiese Gideon con voce tremante.

Lo ignorai. Saltai sulla scrivania e scivolai giù. Ricordo il terreno venirmi sempre più vicino e l'aria che mi urlava nelle orecchie. Sentivo lo scorrere dell'acqua. Pioveva. Poi venne il fulmine, seguito dal tuono.

E infine il buio.

༺ 𓆩♱𓆪 ༻

Il suono di un clacson mi risvegliò. Era mio padre che aveva suonato contro un altro guidatore.

Le immagini acquistarono pian piano forma. Mi trovavo nella Ford nera dei miei genitori, nei posti dietro.

Al volante c'era mio padre, nervoso come non mai, mentre mia madre singhiozzava disperata.

Gideon era al mio fianco, senza fucile, ma riuscivo a vedere dei lividi ovunque lungo il suo braccio per metà scoperto.
Alzai la testa e venni percossa da una scarica di dolore.

Mio fratello mi teneva stretta a sé, in un abbraccio sofferto. Sentivo le lacrime scendergli lungo le guance e bagnarmi la testa. «Che succede?» La mia voce era roca. Mi sentì solo Gideon.

«Andrà tutto bene» mi rispose stringendomi ancora di più.

Mi guardai le gambe. Sembravano normali. Non mi facevano male, non avevo nemmeno dei lividi. Provai a muoverle, ma non ci riuscii.
Confusa ci provai ancora.
Nulla.

No...

Guardai Gideon terrorizzata. Perché non riuscivo a muoverle?

Ci riprovai, sentendo le lacrime scendermi lungo le guance.

Nulla, ancora.

Imprecai in silenzio mentre mio fratello mi stringeva forte a sé.
Forse non potevo più camminare, ma ciò non mi impediva di pensare.

Come aveva fatto Gideon a sopravvivere? E come mai era ricoperto di lividi? Perché ero in macchina?

Notai che mio fratello era diverso. Aveva le mani coperte da dei guanti in pelle ed era vestito di nero. Si era cambiato? Quanto tempo era passato dal mio salto?

Aveva la mia foto in tasca, sentivo il rumore della carta quando spostavo la testa sul suo petto. Riuscivo a intravedergli i polsi sotto il cappotto scuro. La pelle era violacea e crespa, qualcosa lo aveva ustionato... o qualcuno. Che si nascondesse le mani proprio per quello?

«Quei bastardi...» disse sottovoce, «me la pagheranno cara»

«Cosa ti hanno fatto?» chiesi, muovendo lentamente la mano fino a toccargli il braccio.

«Sono entrati in casa. Volevano ucciderci. Ho iniziato a sparare... ma non si sono fatti nemmeno un graffio. Poi lui mi ha gettato addosso qualcosa. Sembrava acqua ma mi ha ustionato le mani...»

«Non capisco, chi-»

«E tu eri caduta» mi interruppe. «Pensavo fossi morta, ma per fortuna non è così. Ma hai pagato un caro prezzo anche tu, giusto?» Guardò le mie gambe digrignando i denti. «Li ucciderò, Morgan»

«No»

Gideon allentò la presa su di me. «No?»

Scossi la testa. «Non è così che si fa. Io non voglio questo»

«Ma-?!»

La nostra attenzione venne attirata dal clacson di nostro padre e dalle sue grida.
I grossi fanali di un enorme furgone si stavano avvicinando pericolosamente alla nostra macchina.
La luce mi permise di distinguere per l'ultima volta i visi della mia famiglia.

La mano di Gideon si chiuse sopra la maniglia della portiera e la spinse gettando fuori sia me che lui.
Rotolammo fino al ciglio della strada e ci fermammo appena in tempo per vedere la nostra macchina accartocciarsi con i nostri genitori dentro.

Tutti i suoni erano ovattati, ma uno di questi spiccava su tutti: l'urlo straziato di Gideon.

Gli stava crollando il mondo addosso. Invece il mio era già crollato da tempo.

Il furgone prese altre macchine, le ribaltò, fece una strage. Alcune esplosero, altre si ribaltarono.
Si creò un ingorgo in meno di trenta secondi e presto venne chiamata l'ambulanza, ma non fece in tempo a salvarmi.

Avevo perso troppo sangue e il fumo non mi faceva respirare.

Ero stesa a terra, a pancia ingiù, e non riuscivo a muovermi.

L'asfalto era inumidito dalla pioggia e pieno di tanti piccoli pezzetti di vetro su cui si riflettevano le luci dell'incendio e delle ambulanze.

Gideon era poco più distante. Una scheggia di vetro gli si era conficcata vicino alla gola dopo l'esplosione. Non si muoveva.

"Quindi è così che finisce..." pensai, girandomi con tutta la forza che mi restava per guardare le stelle.
Mi sono sempre promessa che se dovevo morire volevo che il mio ultimo sguardo sarebbe stato rivolto a loro e all'universo che mi aveva sempre affascinato, così come la chimica. "La patetica vita di Morgan Greenwood e della sua famiglia è finita... e me ne andrò così. Niente vendetta contro Bryn, niente insulti a Tyler, niente nuovi inizi... Quante cose mi sono persa?" Spostai lo sguardo verso l'ambulanza. Degli uomini si erano gettati a vedere se altre persone stessero bene. Volevo gridare: "sono qui!" ma non riuscivo più a parlare.

Sentivo il mio cuore rallentare e la paura crescere. Era questo che significava morire?

"Non sono mai andata a Disneyland... Un momento, perché penso a Disneyland? Dovrei pensare a qualcosa che si addice ad una morte, un discorso che potrebbe essere scolpito nella mia lapide. Rifacciamo" Cercai di sorridere ironica mentre il sangue mi usciva dalla bocca e respirare diventava sempre più difficile. "Allora... io sono Morgan Greenwood e non diventerò mai un medico, perché oggi morirò. Mio fratello è appena morto... i miei genitori anche... e tutto perché... perché..." Tossii. "Perché devo morire?"

Sentivo la vita scivolarmi via.

No...

NO

NO NO NO NO NO!

Non potevo morire. Non ero pronta per morire. Dove sarei andata? C'era veramente un paradiso? Cosa mi sarebbe successo?
Non volevo diventare concime.

La paura iniziò a prendere il sopravvento. Scoppiai in un muto pianto.

"Non voglio morire..." Gli occhi iniziarono a chiudersi. "No, rimanete aperti" ordinai loro, ma non lo fecero. Il mio cuore smise di pompare. "No... NO! Che qualcuno mi trovi!" pregai.

Non venne nessuno.

Ero morta, o almeno lo ero fisicamente.

Scientificamente avevo ancora qualche secondo di attività cerebrale per accettare la mia morte.

Pensai a Gideon. Non potevo più aprire gli occhi per guardarlo. Chissà se aveva pensato a me in punto di morte. Be' io stavo pensando a lui.

"Vorrei poterti rivedere ancora una volta..." fu il mio ultimo desiderio rivolto a un fratello che ormai apparteneva solo alla morte.

Poi la mia fiamma si spense, lasciandomi sola, in mezzo al buio.

Non c'era nulla, io non ero nulla.
Nessun Dio era venuto ad accogliermi. Nessun diavolo mi aveva trascinato all'inferno. Io ero il vuoto e il vuoto era me.
Non sapevo di essere perché non ero nulla.
Era come addormentarsi, solo che invece di sognare ero bloccata in quel limbo dove nessun ricordo o sensazione vengono creati.
Non so dirvi se fu orribile, non avevo emozioni. Non posso dirvi nemmeno com'era, non avevo occhi per vedere o almeno era questo che credevo prima di percepire una luce.

Erano venuti a prendermi? Inferno o paradiso? Vi prego, fate che sia paradiso, avevo già sofferto abbastanza.

Una mano uscì fuori dall'ombra e solo allora mi accorsi di essere immersa in un abisso.

Sotto di me centinaia di mani si agitavano nel buio cercando di afferrarmi. Mi tenevano giù, mi soffocavano, mi stavano inglobando.
La mano si fece più vicina e insistente, poi fece spazio a una voce.

«Morgan» mi chiamò. «Vuoi vivere?» Sì, lo volevo con tutta me stessa. «Tutto ciò che devi fare è stringere la mia mano e avremo un accordo»

Stavo facendo un patto col diavolo? Ma come mi ero ridotta? Be'... avrei scontato le mie colpe in futuro. Viva. Respirante. E pronta a ricominciare tutto da capo.

Non preoccupatevi dell'accordo, di quello ve ne parlerò un'altra volta, però vi avverto che potrebbe non piacervi.

Guardai la mano. Era pallida e piccola come la mia. Non era attaccata a un corpo, fuoriusciva solo da quella che mi parve un'enorme serratura di un lucchetto.

Potevo ricominciare. Avevo ricevuto la mia seconda possibilità e non avevo più nulla da perdere.

Le mani sotto di me smisero di tirarmi e mi spinsero verso di essa. Con un ultimo sforzo allungai la mano e gliela strinsi forte, emozionata e consapevole.

«Affare fatto»


Inizio col botto direi.

Vi aspettavate la comparsa di una nuova protagonista? Come dite? L'avevate letto dalla trama?
Be'... fa niente. Beccatevi questa nuova protagonista.

Il suo nome è Morgan ed è uno dei personaggi più psicologicamente complessi che abbia mai scritto.
Tuttavia mi assomiglia per certi versi e posso capire come si senta in alcune situazioni.

Ora vi resta capire... dov'è finita Morgan?
La incontrerete di nuovo, questo è sicuro, ma chissà quando... 🤔

GiulSma

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