Pitch Black - Ereri/Riren

Od Ackerbitch

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II COMPLETA ll ⚠️II TEMATICHE DELICATE II⚠️ Dal testo: Non se ne era mai accorta. Eppure nella vita aveva s... Více

⚠️AVVISO IMPORTANTE⚠️
Prologue
North Sea
Hide and Seek
Sugarcoat
The Dark Side of the Moon
Carousel
Edge of the Knife
Lay me Down
The In-Between
Freedom Chains
Minefields
Whore
Dark Omen
Sweet Sacrifice
Chasing The Dragon
The Escapist
Creep - pt.1
Creep - pt.2
Golden Cage, II
EPILOGO (+ Ringraziamenti)

Golden Cage

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Od Ackerbitch

Sbatte le grosse mani sul volante e l'impatto con il cuoio lavorato è secco e arrabbiato quando risuona, gelido, nell'abitacolo della macchina ferma in pole position al semaforo rosso. Levi non lo sa il perché, ma gli ricorda il suono di un elastico che, liberatosi della tensione che lo tiene disteso, schiocca infastidito per tornare alla sua posizione originale. Ed Erwin è davvero infastidito, tutto di lui urla di una profonda irritazione; la linea della mascella è tesa, contratta e marcata, le sopracciglia aggrottate e sulla bocca sottile porta una smorfia di disgusto misto ad ira che gliela storce in maniera quasi grottesca. Qualche ciocca color grano sfugge alla passata di gel che le tiene solitamente ferme nella sua classica acconciatura ben impostata e gli ricade sulla fronte, intaccata da profonde rughe d'espressione, e sugli occhi stanchi di chi ha trascorso una notte quasi insonne. Il corvino ha perso il conto di quante volte il marito si sia passato nervoso le mani nei capelli dopo averne contate una ventina; piuttosto si è limitato a fissare la presa ferrea sul volante che gli fa sbiancare le nocche.

"Porca puttana, Levi, che cazzo! Te l'ho detto mille volte che devi aprire la tua bocca e parlarmi prima di prendere decisioni, non fare come cazzo ti pare e trascinarmi nella tua merda! Non ci arrivi proprio, eh?"

Levi non ha mai smesso di avere paura e di farsi piccolo davanti a quegli scatti, nonostante il calendario già segni poco più di cinque anni dalla data del loro matrimonio e la verità è che, come tutte le volte che Erwin si arrabbia in quel modo apparentemente sconsiderato ed esagerato, a lui sembra davvero di non aver fatto nulla di male o di irrimediabilmente cattivo. Ma il biondo lo ama, lo ama tanto e glielo ripete dopo quelle liti, poi magari gli porta un mazzo di girasoli – i suoi fiori preferiti – e gli consente addirittura di scegliere le posizioni in cui faranno l'amore quella stessa notte per dimenticarsi di aver alzato la voce l'uno con l'altro. Allora lui lo perdona e ci crede davvero che Erwin faccia tutto quello per il suo bene, anche se a volte gli è difficile riuscire a comprenderne le motivazioni.

Non lo sa Levi dove ha sbagliato anche questa volta e i suoi pensieri frenetici gli paiono più rumorosi del singhiozzo che il motore della grossa Audi A8 romba non appena la luce verde del semaforo gli dà il via e gli impone la marcia, avidi di trovare una soluzione a quell'enigma. Splende un Sole quasi primaverile e insolitamente tiepido in quel pomeriggio di febbraio, i raggi timidi scaldano l'asfalto della strada statale che hanno imboccato non appena si sono lasciati alle spalle la superstrada che collega Rotterdam a L'Aia e fanno brillare le carrozzerie metallizzate delle autovetture. Mancano poco più di dieci minuti al loro arrivo, ed Erwin gli ha borbottato, urlato e inveito contro per tutta la durata del viaggio. Lui non si è ancora mai permesso di replicare, nonostante inizi ad avere le orecchie sature di tutto quel gridare e il panico inizi a fargli formicolare il corpo e ad aumentare la frequenza del suo respiro. Deve rimanere concentrato, svuotare la mente e imporsi rilassatezza per mantenere la calma che gli consente di non cedere alla fame d'aria che potrebbe pugnalarlo alle spalle da un momento all'altro. Glielo ha insegnato sua madre come fare a non farsi strumentalizzare dall'ansia.

Quanto ama quella donna. La ama talmente tanto che non vuole che si preoccupi per lui, e allora abbassa il parasole posto al di sopra del parabrezza e si dà un'occhiata veloce al piccolo specchio rettangolare per controllare che il correttore che quella mattina ha passato sulle profonde occhiaie che gli segnano lo sguardo metallico, sia ancora al suo posto e le copra a dovere. Erwin ha borbottato nervoso tutta la notte e proprio non è riuscito a riposare, nonostante siano soliti dormire in stanze diverse dopo le loro litigate e a Levi tocchi sempre il divano. È piuttosto scomodo e la mattina dopo gli fanno male le ossa, per questo spera che il marito accetti la sua offerta di comprarne uno nuovo, magari un divano letto come si deve, quando potranno finalmente trasferirsi nella nuova casa ad Amsterdam fra un paio di mesi. Il biondo gli ha detto che è davvero grande e bella, e anche se lui non l'ha ancora vista, si fida sulla parola. Aver sposato un agente immobiliare dovrà pur avere dei vantaggi, pensa, e le case che vende Erwin sono davvero sempre impeccabilmente stupende e curate nei minimi particolari. Gli ha chiesto più volte ultimamente poterlo aiutarlo nell'arredarle e di portargli qualche cliente perché i suoi incarichi scarseggiano, ma il biondo ha sempre rifiutato la sua offerta.

Sostiene che la maggior parte delle persone non abbia i soldi per permettersi di pagare un interior designer e preferisca scegliere da sé il mobilio, ma Levi lo sa però che le case che il biondo vende sono costose e che chi le compra di certo non ha problemi economici e potrebbe ingaggiarlo tranquillamente senza attentare in maniera pericolosa al conto in banca, e gli pare dolce quella premura che il marito gli riserva; non vuole caricarlo di lavoro, così si ripete. È anche amara però, perché Erwin lo sa che da quando lo ha persuaso a lavorare da casa, il corvino è frustrato dai pochi incarichi di lavoro che riceve. Un paio di anni addietro era sempre chino sulla scrivania a ricalcare linee precise sul suo piano luminoso con squadre e righelli alla mano e a progettare al computer, e un po' gli manca quella frenesia, i tempi stretti per finire una stanza e il rapporto diretto coi clienti.

Il biondo però preferisce che non si affatichi e che badi alle faccende domestiche, glielo ha detto chiaramente, e allora lui ha accettato di mettere da parte la carriera; Erwin ha ragione, in fondo lui può anche lavorare da casa, non deve portare avanti un'attività importante e che richiede dispendio di energie come un'agenzia. Gli dispiace pure il non poter punzecchiare più il marito sul fatto che il suo stipendio fosse quello più alto, nonostante quando lo faceva il biondo si mostrasse stizzito e nervoso. Qualche volta gli aveva pure urlato contro, e allora Levi aveva imparato il suo posto. Aveva capito che era fastidioso e non lo aveva fatto più.

Fastidioso come il respiro di Erwin fattosi ancora più pesante e nevrotico, come il tachimetro che sfiorava il limite di velocità consentito e faceva stringere spasmodicamente le dita di Levi attorno alla pelle nera e burrosa della seduta del sedile.

"Due cazzo di mesi a casa tua, Levi. Due mesi in cui per colpa tua dovrò fare questa strada ogni mattina per andare in agenzia a Rotterdam, mezz'ora all'andata e mezz'ora al ritorno, tutto questo perché hai accettato di andare a stare da lei senza dirmi niente. Potevamo trovarci un'altra sistemazione temporanea e invece no, dobbiamo andare a stare con tua madre e tua sorella e averle fra i piedi ventiquattr'ore su ventiquattro."

Levi vorrebbe fargli notare che una volta che si saranno trasferiti ad Amsterdam e dovrà andare a lavoro, i tempi del suo tragitto in macchina raddoppieranno e che trova scortese il modo in cui si è riferito alla sua famiglia, ma non lo fa perché Erwin è già abbastanza arrabbiato e non vuole peggiorare il suo umore. Lo trova incoerente, ma in fondo a quanto pare ha sbagliato anche questa volta, anche se ancora non capisce il motivo e non sa proprio dove risieda quell'errore che lo ha fatto tanto infiammare. Perché suo marito è sempre gentile con sua madre, non smette mai di adularla e riempirla di complimenti e moine e quella donna lo ama quasi come un terzo figlio; avrebbe dovuto chiedergli se fosse disposto a passare quei due mesi in sua compagnia? Probabilmente sì, ma non aveva resistito al tono stanco di Kuchel, e sentirla per telefono più provata del solito dai suoi demoni del passato e dal da fare che Isabel le carica sulle spalle, non lo aveva fatto ragionare la sera prima; venire a conoscenza del fatto che sua madre avesse ripreso ad andare in terapia due volte a settimana e non più una sola lo aveva portato ad accettare la sua proposta seduta stante, dimenticandosi totalmente di chiedere il parere di Erwin.

"E ovviamente quando tornerò a casa da lavoro, stanco dopo essere stato in agenzia tutto il giorno e aver badato anche a tutto il da fare per il trasloco, mi toccherà pure sentire quella mocciosa urlare. Come se tutto questo non fosse abbastanza, merda...!"

È solo allora che Levi si fa forza e si permette di replicare, perché crede davvero che Erwin stia esagerando e che sia tenuto a portare un po' più di rispetto a sua sorella, anche se è solo una bambina di appena sei anni. Isabel non lo fa apposta a gridare, e il corvino è piuttosto sicuro che non gli piaccia avere quelle terribili crisi che la assalgono e la fanno star male, costringendola a coprirsi le orecchie e a strillare, a piangere e sbattere i piedi a terra per poi culminare con l'isolamento.

"Isabel è autistica, Erwin. Non è colpa sua se urla, non riesce a controllarlo."

Quelle parole gli raschiano la gola, lo sguardo che il marito gli lancia con la coda dell'occhio lo pietrifica e gli fa sentire la bocca improvvisamente arida come terra bruciata. Forse avrebbe fatto meglio a tenere per sé quei pensieri, ma è disposto pure a sentirsi sbraitare contro di nuovo pur di difendere la sorella. Lo capisce quando lo vede serrare ancora di più la presa sul volante che Erwin è davvero furioso, le narici dilatate e le orecchie che quasi fumano, e si fa piccolo sul sedile mentre si prepara alla sfuriata.

"Io invece dico che in quella scuola per ragazzini ritardati come lei dovrebbero insegnargli a starsene zitta, visto quanto si fanno pagare."

"Non parlare in questo modo di mia sorella!"

"E tu non ti permettere di alzare la voce con me, cazzo!"

Ogni volta che vede Erwin arrabbiato, tenta di convincersi di essere pronto a sentirlo sbottare, ma quando sente la sua voce caustica martellargli sprezzante i timpani e farlo tremare dentro, si ricrede. Non è mai pronto, non esiste preparazione che gli faccia avvertire di meno la stretta alla gola che a quelle grida rischia di soffocarlo; ingoia un pesante bolo di saliva a vuoto, si scusa in un sussurro e torna a distrarsi fra mille pensieri intricati e rumorosi come ingranaggi complicati di un orologio per non fare caso alla velocità troppo sostenuta dell'autovettura che gli dà la nausea.

Ha sbagliato di nuovo. Ha sbagliato e non sa perché, non lo capisce. Levi certe cose non le capisce mai davvero, e col tempo ha seriamente iniziato a dubitare che sia uno stupido idiota come Erwin gli sputa addosso quando è troppo preso dall'ira per ragionare a mente lucida. Il corvino però lo sa che suo marito non vuole insultarlo sul serio, perché lo ama troppo e dopo avergli rifilato quelle brutte parole gli mormora le sue scuse in sussurri gentili mentre lo bacia; nonostante tutto, quelle offese spesso gli rimbombano fra le tempie e assumono una consistenza viscosa e reale, facendolo dubitare di sé stesso e delle sue capacità in momenti di squilibrio passeggeri.

Anche Levi lo ama, lo ama tanto e gli deve tanto; è fortunato ad avere nella vita un uomo come Erwin disposto a restargli vicino nonostante gli errori, che si preoccupa sempre per lui e sa essere dolce e premuroso. I suoi modi bruschi a volte gli fanno un po' male, ma il biondo fa la voce grossa solo e unicamente per il bene che gli vuole ed è la giusta punizione per aprirgli gli occhi. Si vogliono bene, e in una relazione gli sbagli e le mancanze devono sempre essere fatti notare al partner e risolti assieme, gli ha insegnato Erwin.

Il corvino si chiede cosa lo irriti tanto dello stare a casa sua in compagnia di Kuchel e Isabel, mentre iniziano ad addentrarsi per le strade di città e fitte di case appuntite di L'Aia e l'aria pulita che filtra dal finestrino semiaperto gli riempie i polmoni e lo fa sentite a casa; anche Rotterdam gli piace e ha costruito la sua quotidianità lì, ma tornare nella sua città natale ha tutto un altro sapore. Generalmente Erwin è più tranquillo quelle poche volte che nei weekend gli accorda brevi visite a sua madre, quando spesso rimangono per una notte a dormire nell'abbraccio profumato di lavanda delle lenzuola della sua vecchia camera. Non urla, non alza la voce contro di lui, sembra staccare completamente da quella tensione che il lavoro gli mette addosso e tornare la persona sempre gentile e dolce che aveva conosciuto sei anni addietro. Gli fa bene cambiare aria e Levi è contento perché non si sente costantemente sotto la pressione di prepararsi psicologicamente alla prossima volta in cui farà qualcosa di sbagliato ed Erwin gli urlerà contro, perché quando sono a L'Aia non lo fa e gli perdona di non essere il marito ideale che vorrebbe. È contento ma anche confuso, perché se l'aria di casa sua gli fa tanto bene e lo tranquillizza, non vede perché debba innervosirsi a quella maniera ed essere sempre restio quando gli chiede di accompagnarlo da Kuchel nei fine settimana la maggior parte delle volte. Se tutto va bene, vede Isabel e sua madre ogni tre mesi e gli mancano sempre da morire.

Fuori dal finestrino le viuzze della cittadina iniziano a farsi sempre più familiari, Levi riconosce chiaramente qualche casetta colorata e dal tetto appuntito e l'aria comincia ad assumere l'odore salmastro del Mare del Nord, un sentore fresco che sa davvero di casa. Si stanno ormai addentrando nel quartiere di Scheveningen da qualche minuto, dove il corvino è nato e cresciuto, e allora decide di darsi un'ultima occhiata allo specchietto del parasole prima che l'ultima curva gli riveli il portone di casa propria. Constata di nuovo che, sebbene il correttore copra i cerchi violacei che gli segnano lo sguardo plumbeo, non riesce ad ovattare la stanchezza che glielo sporca; l'incarnato niveo è reso ancora più pallido da quella notte senza riposo, le ciocche d'inchiostro sono state leggermente scompigliate dal vento e gli tocca riavviarsele sulla fronte in modo che non gli ricadano sugli occhi e gli vadano a solleticare il naso piccolo e dritto, facendoglielo prudere.

Freme d'anticipazione e il cuore perde un paio di battiti alla vista dell'edificio in mattoncini rossi, tamburella nervoso il piede a terra per tutto il tempo che Erwin impiega a parcheggiare. Fa per scendere dall'auto non appena il rombo costante del motore cessa, ma il biondo lo afferra per un braccio e se lo tira addosso; Levi si ritrova seduto a cavalcioni su di lui, le mani grandi e calde che tanto adora a carezzargli dolci gli zigomi.

"Scusami Levi, non avrei dovuto urlarti contro in quel modo. Scusami pure per ieri sera."

Il corvino annuisce a testa bassa, perché per qualche motivo non riesce ad incrociare quelle iridi cristalline quando sa di aver sbagliato; si sente fuori posto quando sbaglia, come fosse tagliato fuori dalla realtà. Erwin però se ne accorge e gli alza il mento prendendoglielo fra il pollice e l'indice della mancina e si rigira una ciocca di pece fra le dita dell'altra mano, poi gli sorride.

"Dimentichiamocene, ok? Non è successo niente."

Gli sussurra piano prima di poggiargli un casto bacio sulla bocca, leggero come un petalo di rosa; sono calde le sue labbra, appena screpolate ma comunque piacevolmente morbide.

"Va bene."

"Ti amo, non te lo scordare mai. Ti porto a cena fuori stasera."

"Anch'io."

Gli soffia di rimando, si scioglie quasi quando il marito carezza la sua schiena prima di lasciarlo andare sciogliendo quell'abbraccio molle e scomposto per permettergli di scendere dall'auto e seguirlo pochi istanti dopo, l'odore della salsedine che lo investe prepotente. Vorrebbe dirgli però che non gli va particolarmente di cenare in un ristorante quando può condividere un piatto caldo con sua madre, che dopo quasi sei mesi trascorsi senza vederla vorrebbe chiacchierare con lei e assaggiare di nuovo la sua cucina con il sorriso sulle labbra e il petto un po' più caldo, ma non lo fa.

È raro che Erwin sia così tanto di buon umore da portarlo a cena fuori e non vuole contraddirlo. Vuole godersi il momento, perché sa che nelle otto settimane o giù di lì che passerà a casa sua avrà tutto il tempo di apprezzare i piatti di sua madre e la sua compagnia; per quanto riguarda il biondo, invece, è sempre una grossa e ingarbugliata incognita. Spera di essere fortunato e che magari lo porti nel suo ristorante preferito per farsi perdonare, ma quei pensieri scemano mentre beve la vista del piccolo edificio a due piani che gli si staglia davanti. Osserva il tetto spiovente e le imposte piccole in legno scuro con un'avidità che quasi lo destabilizza, i mattoncini rossi delle mura di casa sua gli si fanno sempre più vicini ad ogni passo, fino a che non se li trova a portata di polpastrelli.

Li sfiora appena e ne saggia la consistenza ruvida e porosa nello stesso momento in cui il biondo gli poggia una mano sulla bassa schiena e raggiunge il campanello, facendolo trillare; sono pochi i secondi che passano prima che la grossa porta in legno massello si schiuda per rivelargli la figura di Kuchel ma Levi li avverte lunghi e dilatati, chiaramente scanditi da pesanti battiti di cuore che gli fanno vibrare il torace di trepidazione.

Gli hanno sempre detto che è tutto sua madre, che gli somiglia in maniera quasi inquietante, che sembrano fratello e sorella per via della giovanissima età della donna e dell'assenza di rughe sul bel volto. Forse per via degli stessi capelli d'inchiostro che gli incorniciano il volto e contrastano decisi con l'incarnato quasi innaturalmente pallido, per aver ereditato la bassa statura che e che è stata il frutto di complessi e prese in giro per Levi quando era adolescente o ancora per i lineamenti sottili e gli occhi glaciali, screziati da sfumature di plumbea tempesta. Il corvino però non ha mai creduto a quelle persone, perché lui non è neanche minimamente bello dentro e fuori e forte come Kuchel.

"Lee!"

Lo abbraccia per un tempo che pare eterno e bollente, lo abbraccia e Levi sente qualcosa dentro di lui tornare al proprio posto quando affonda il naso nei capelli della donna e si intossica del suo odore fino a riempirsene completamente i polmoni, a desiderare di non dover respirare altro nella vita. Kuchel profuma di bucato appena fatto e della sua solita acqua alle rose che è solita spruzzarsi addosso ogni giorno.

"Mi sei mancato tanto."

"Anche tu, mamma."

Replica, ignorando i suoi occhi che minacciano di inumidirsi e ricacciando indietro la commozione. È la prima volta che gli capita di reagire in quella maniera, e razionalmente imputa quell'eccesso di emozioni al fatto che è passato più tempo del solito dall'ultima visita; inconsciamente, i suoi pensieri prudono e gli sussurrano cose diverse, scenari più cupi. Gli permetterà tregua quella piccola permanenza a L'Aia, è una muta promessa di tranquillità dagli scatti d'ira cieca di Erwin che da ormai quattro mesi sono diventati più frequenti e sprezzanti. Non lo hanno mai fatto sentire così braccato, messo all'angolo come una misera preda, e si chiede che fine abbiano fatto le premure che il biondo gli riservava sempre durante i primi anni di matrimonio e di frequentazione.

In realtà lo sa, e pure Erwin glielo ripete spesso: hanno cambiato forma, si sono evolute come il loro rapporto, si sono nascoste dietro sfuriate e liti accese. Levi lo sa di essere amato, ma l'anticipazione di trascorrere del tempo a casa sua, dove il marito si mostra sempre più gentile e ammorbidisce i suoi modi di fare, lo commuove. È consapevole che è colpa sua se litigano, ma lui a volte sembra incapace di riuscire a non sbagliare; è consapevole che quella situazione è tutta colpa sua e che se Erwin alza la voce e dice certe cose è perché lui lo porta all'esasperazione, ma non riesce più a non tremare quando il biondo gli tuona addosso la sua furia con prepotenza e senza avere riguardo dei suoi sentimenti.

Non ne è più capace da quando si è reso conto di essere rimasto completamente solo, da quando ha consapevolezza che la possessività di Erwin gli ha fatto terra bruciata attorno, costringendolo a troncare i rapporti con la sua migliore amica e ad abbandonare la sala pesi della palestra dove si allenava regolarmente da anni almeno un paio di volte a settimana. Lo sa che è per quello se una lacrima solitaria e traditrice gli riga lo zigomo e lui ne scaccia via la scia salata col pollice senza farsi vedere. Kuchel e il biondo non se ne accorgono perché è velocissimo nel farlo.

"Erwin, ciao!"

La donna scioglie il loro contatto per avvolgere le braccia attorno al biondo e cercare di cingergli le spalle in punta di piedi per attirarlo a sé, e quasi pare scomparire la sua figura minuta di fronte a quella autoritaria di Erwin, l'imponenza del suo fisico messa in risalto dal cappotto scuro lasciato aperto da cui si intravede il maglioncino azzurro e aderente che gli fascia i muscoli ben definiti del torace.

"Ciao Kuchel, è sempre un piacere rivederti."

"E io non vedevo l'ora di potervi abbracciare entrambi. Vi siete fatti desiderare ultimamente."

Commenta la corvina ridacchiando, gioia pura le scorre brillante nello sguardo e glielo illumina. Levi adora vederla felice e con i bordi delle labbra piegati all'insù.

"Non vedevamo l'ora anche noi in realtà, ma il lavoro ultimamente ci lascia davvero poco tempo libero."

Bugia. Levi lo sa che è una grossa bugia, ma Kuchel se la beve e gli mormora di non preoccuparsi, che lo sa quanto sono impegnati, soprattutto quanto l'agenzia immobiliare tolga tempo e forze ad Erwin. Il corvino sa anche però che spesso nei fine settimana il biondo non la apre, che più di qualche volta ci sarebbe stata l'occasione di fare visita a sua madre, ma quando gli ha proposto di tornare per un paio di giorni a casa, si è sentito urlare contro solo rifiuti acidi.

L'odore dolciastro di stroopwafel appena sfornati gli invade le narici quando si chiudono la porta d'ingresso alle spalle e si ritrova accolto nel salotto in cui è cresciuto. Aggrotta le sopracciglia spaesato nel notare come sua madre abbia recentemente cambiato la disposizione dei mobili, addossando la credenza in legno scuro e fitto di intarsi appena sotto la finestra e piazzando i due divani in pelle beige ad angolo retto attorno al grosso tappetino da gioco in foam verde di Isabel, completamente cosparso di peluches e bambole. Le uniche cose rimaste al loro posto rispetto a qualche mese addietro sono il color crema dell'intonaco e le tele dipinte di delicati disegni in acquerello che Kuchel adora realizzare nel tempo libero, e Levi non può fare a meno di notare con occhio critico di chi lavora nel settore che quella nuova organizzazione rende il tutto più armonico.

"Hai cambiato tutto, sta bene così."

"Ti piace? In realtà non è stata una mia-"

Lo scalpitare di due piedini proveniente dalla cucina li interrompe, la vista di sua sorella gli scioglie il cuore. Porta i capelli di fuoco acconciati nelle solite codine basse che le piacciono tanto, è avvolta in una tuta intera dal tessuto morbido a forma di orsacchiotto e il corvino non può fare a meno di trovarla adorabile, mentre con le due manine paffute tiene uno stroopwaffel per portarselo alla bocca e smangiucchiarlo, l'immancabile compagno di giochi Mr.Bunny tenuto sotto braccio.

Le brillano gli occhietti smeraldini alla vista del fratello, gli corre incontro scalpitante e allora il cuore di Levi si stringe per davvero e gli fa più di qualche capriola in petto.

"Levi! Levi!"

Grida felice, e allora il corvino si permette di allungare una mano fra i suoi capelli e scompigliarglieli appena, strappandogli una risatina che non si aspetta di ricevere e che lo fa letteralmente fremere dentro. Vorrebbe stringerla forte a sé, abbracciarla, baciare le adorabili fossette che rendono irresistibili quelle guanciotte paffute ed essere ricambiato, ma sa quanto sua sorella odi quel tipo di contatto fisico. A volte fa male rispettare i suoi spazi, ma Levi ha imparato che volerle bene significa anche quello e che Isabel dimostra di tenere a lui in tanti altri modi più silenziosi e pacati.

"Guarda cosa ti ho portato."

Gli sussurra, abbassandosi per trovarsi alla sua altezza e raggiungendo la tasca interna della giacca in pelle nera per tirarne fuori una barretta di cioccolato e sventolargliela appena davanti allo sguardo attento. Non si aspetta una risposta quando la destra di Isabel si stringe attorno a quel delizioso cioccolato perché sua sorella parla davvero poco, per questo gli si gela il sangue quando la sente replicare.

"Grazie", sbiascica appena, e Levi è sicuro che anche Erwin e Kuchel siano stati in grado di sentire il suono secco del respiro che gli si mozza in gola. Crede che poche cose nella vita lo abbiano reso così felice come quelle due sillabe impacciate, è sicuro che quella parola sia la cosa più bella che gli sia capitata negli ultimi mesi.

"Senti come chiacchiera, ha fatto progressi eh?"

Gli pare ipocrita quella domanda pronunciata da Erwin, ha il retrogusto di una presa in giro bella e buona, perché sa quante volte il biondo gli ripete di non tollerare la voce di sua sorella, ma ingoia malvolentieri la risposta piccata che vorrebbe rivolgergli. Sa che se si permette di rimbeccarlo davanti a sua madre, quando si ritrovano da soli per fare i conti le urla del marito gli fanno più male del solito e vuole evitare le conseguenze di avere la lingua troppo lunga.

"La Lighthouse a quanto pare ha davvero i suoi pregi. È un'ottima scuola per bambini che hanno bisogni speciali come lei."

Riesce a leggere lo sguardo di Erwin alla perfezione non appena il tono dolce di sua madre lo avvolge, sa che in quelle iridi cristalline si cela un fastidio economico; il part-time di sua madre in pasticceria non le permette di pagare le rette della Lighthouse ed è Levi a farlo, sottraendo volentieri denaro al suo conto in banca. Al biondo dà un fastidio ingiustificato che il corvino spenda soldi per la sua famiglia e soprattutto per sua sorella, gli intima costantemente e con disprezzo che dovrebbe smetterla di fare la carità a Kuchel. Se sapesse che nelle valigie che sono rimaste temporaneamente nel bagagliaio dell'auto ha impacchettato sotto una pila di vestiti un peluche che ha ordinato su internet di nascosto per Isabel, si arrabbierebbe e gli direbbe alterato di non spendere in stupidaggini e fesserie.

"E questa invece è un'ottima notizia."

Sorride Erwin, e Levi non riesce a scacciare la sensazione di nausea inquieta che gli storce naso e labbra quasi impercettibilmente. Quella frase suona finta sulla bocca del biondo, stride come artigli su ardesia pronunciata con quel tono falsamente melenso e compassionevole.

"Andiamo di là ragazzi, che ne dite? Ci sono stroopwafel appena sfornati e una tazza di the caldo per tutti."

Erwin accetta con piacere mostrando alla donna un sorriso serafico e Levi non può fare altro che seguirli in cucina con Isabel alle calcagna, che carezza con espressione distratta e assente la testa del coniglio di peluche. Gli si ghiaccia il sangue nelle vene quando scorge la figura di un uomo di spalle, gli va letteralmente in cortocircuito il cervello per qualche secondo ed è sicuro che il suo viso deve essere il ritratto della paura. Sua madre non gli ha detto di aver iniziato a frequentare qualcuno e il corvino entra in panico, perché per Kuchel gli uomini non sono mai stati niente di buono ma solo grossi problemi e tanti grattacapi.

Lui invece se ne sta a trafficare tranquillo sul piano della cucina mentre il corvino vive la scena a rallentatore, trasferisce gli ultimi due stroopwafel dalla leccarda ricoperta di carta forno su di un vassoio aiutandosi con un paio di pinze e lo fa come se nulla fosse, come se la sua presenza non fosse tossica. Come se fosse giusto muoversi in quella maniera così tranquilla e disinteressata a pochi metri da sua madre. Vorrebbe guardarlo, soffermarsi su qualche particolare di quel corpo tonico e slanciato, ma non ci riesce. Ha la nausea e i suoi pensieri fanno fin troppo rumore, un ronzio cupo che gli ovatta la realtà e gli fa perdere la capacità di ragionare in maniera coerente e sensata.

"Kuchel, allora io vado, ci vediamo domani. Izzy, mi raccomando fai la brava e-"

E l'uomo si volta; e se Levi ha creduto per una vita intera che le iridi di Isabel siano del verde più intenso concepibile da Madre Natura stessa, evidentemente si sbaglia e si ricrede sul momento. Quel ragazzo porta smeraldi preziosi incastonati negli occhi e inondati di un azzurro screziato che il corvino non può fare a meno che associare ai flutti del Mare del Nord, alle onde di cui il vento gli increspa la superficie in primavera; i suoi capelli castani sono lunghi e raccolti in un codino basso e sfatto. È giovane forse di un paio d'anni più di lui, le labbra piene sono appena schiuse e le sopracciglia folte aggrottate in sorpresa quando poggia quello sguardo impossibile su di lui e su di Erwin; troppo giovane, si ripete mentalmente. Tira un sospiro di sollievo quando, al pensiero che Kuchel non si impegnerebbe mai con qualcuno che ha l'età potenziale per essere suo figlio, accantona la grottesca ipotesi della nuova fiamma e sente la tensione inconsapevole che gli teneva contratta la schiena e le spalle allentarsi. Ricomincia a respirare meglio e tutto pare riprendere colore e farsi meno distante e confuso.

Ha un che di armonico il volto del ragazzo per la sua simmetria quasi perfetta, un particolare che Levi è convinto di aver visto prima di allora appartenere solo a statue e dipinti. Pare davvero una tela quella pelle brunita e senza imperfezioni, che mette in risalto la fila di denti bianchissimi del sorriso luminoso che lo sconosciuto gli rivolge.

"Oh, ciao! Voi dovete essere Erwin e Levi. Io sono Eren Yeager, piacere. Aiuto Kuchel con la piccola peste nel pomeriggio da qualche mese, quindi suppongo che mi vedrete spesso da queste parti."

"Ed è pure il responsabile della nuova disposizione dei mobili in salotto!"

Ridacchia Eren all'entusiasmo della donna e porge la mano al biondo, che gliela stringe guardingo; poi quelle dita lunghe si stringono attorno a quelle di Levi in una presa salda. Sono calde, quasi bollenti, e creano un contrasto atroce con il ghiaccio ustionante che gli getta addosso lo sguardo cristallino di Erwin.

Forse si incanta qualche secondo di troppo a guardare le iridi oceaniche nel ragazzo, perché prima che possa rispondere ad Eren col suo nome e presentarsi come si deve sente il braccio del marito attorno alla vita e viene attirato contro il suo corpo. Le due sillabe gli rimane incastrato in gola, e il tocco delicato del castano scompare in un attimo per lasciare posto a quello più deciso del biondo, che sembra quasi volergli conficcare le unghie nella carne. Levi prova un fastidio pruriginoso quando gli ruba la parola.

"Lui è Levi, mio marito."

Gli sta scomoda quella mano sul fianco, non gli piace il fatto che quando ha tentato di allontanarsi appena, ha ricevuto un pizzicotto che gli ha imposto di stare fermo.

"Allora ci vediamo, Levi. Ciao Erwin, Kuchel."

"Come mai vai via così presto stasera e non resti per cena? Appuntamento galante?"

Lo punzecchia sua madre e allora il castano ridacchia, passandosi le dita fra i capelli per scostarsi qualche ciocca ribelle dagli occhi e scompigliando ancora di più il codino disfatto e molle in cui li porta legati all'altezza della nuca.

"Prima con libri e appunti e poi con il rijsttafel di mia madre che aspetta di essere mangiato proprio da me. Potrebbero rimanerci male entrambi, se non mi presentassi. Però un giorno di questi rimango sul serio eh, non vorrei che la tua torta di mele si offendesse per le scarse attenzioni che le dedico nell'ultimo periodo e inizio a sentire la sua mancanza."

Levi ha sempre odiato quel tipo di umorismo blando, eppure non può evitare di pensare come si addica al sorriso solare di Eren, al modo in cui in viso gli si dipinge delizioso divertimento. Quasi gli si incurvano le labbra quando sua madre si lascia andare ad un suono cristallino.

"Quando vuoi, lo sai che sei sempre il benvenuto."

"Ciao ciao, Ren!"

Eren si china appena per carezzare la testolina rossa della piccola e lasciargli un leggerissimo buffetto sulla guancia.

"Ci vediamo domani Izzy, ok? Prenditi cura di Mr.Bunny mentre non ci sono."

Non l'ha mai vista parlare così tanto in un lasso di tempo così breve, lo sconvolge il fatto che accetti attenzioni e contatto da uno sconosciuto, lo fa trepidare il gesto di saluto che accenna con la manina paffuta e che Eren ricambia mentre attraversa l'uscio e se lo richiude alle spalle.

Gli batte forte il cuore per tutto il tempo che ci mette a mangiare lo stroopwafel e a sorseggiare lentamente la tazza di the e pensa che se la felicità fosse rumore, sarebbe un ronzio maledettamente simile al vibrare che sua anima intona quando vede Isabel sorridergli per la seconda volta nella vita.

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SPAZIO DELL'AUTRICE STRONZA

Mi sento una stronza rara, voglio abbracciare questo Levi. 😭😭😭Mi sento un'infame di prima categoria e questo è ancora niente. Tra l'altro non avrei mai creduto di usare l'Eruri in una mia storia, perché è una ship che personalmente non apprezzo e ho sempre visto come troppo sbilanciata, ma a quanto pare mai dire mai.

So che alcuni personaggi risulteranno OOC, ma vi assicuro che ogni differenza con le loro personalità originali ha un senso che verrà spiegato a tempo debito all'interno della storia. Inoltre, la scuola che frequenta Isabel, la Lighthouse, esiste veramente e si trova (ovviamente) a L'Aia.

Aggiornamenti casuali perché ho tanta roba da scrivere ma tenterò di essere veloce, e perché mi ci vuole tempo per leggere varie testimonianze di relazioni violente e autismo per rendere la storia il più verosimile possibile❤️❤️❤️ Essendo tematiche delicatissime, spero di riuscire a dargli il giusto peso.

Alla prossima!❤️✨

Pokračovat ve čtení

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