FEAR - Contact Saga vol.1 [Ca...

By Elaine_Morgan

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Primo capitolo della Contact Saga. Se l'inaspettato stravolgesse d'un tratto la tua esistenza, a cosa saresti... More

CARTACEO ED E-BOOK
0 - Buio
1 - Un motivo per cui sorridere
2 - Sciacallo
3 (pt. 1) - Presenze nel buio
3 (pt.2) - Presenze nel buio
4 - Muore la speranza
5 - Senza meta
6 (pt.2) - Colpevole
7 - Scelte azzardate
8 - Calma apparente
9 (pt.1) - Bambole rotte
9 (pt.2) - Bambole rotte
10 (pt.1) - Lucchetti di carne
2° LIBRO PUBBLICATO!
3° LIBRO PUBBLICATO!
10 (pt.2) - Lucchetti di carne
La CONTACT SAGA È FINITA

6 (pt.1) - Colpevole

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By Elaine_Morgan

Spalanco di colpo gli occhi e mi sveglio dall'ennesimo incubo. Nel sogno ero preda di Owen, intrappolata in una stanza tutta bianca, senza finestre e lui mi osservava poco distante, gli occhi rapaci e un ghigno sulla bocca.

Mi ritrovo a fissare attraverso il finestrino rigato di gocce di pioggia il cielo plumbeo di fine novembre. Sbadiglio sonoramente, sentendomi persino più stanca di quando mi sono addormentata, e mi passo una mano sul viso, stropicciando con forza gli occhi per svegliarmi del tutto. Faccio per tirarmi su a sedere più composta, con l'intento di sgranchire la schiena che mi duole per la posizione scomoda in cui ho sonnecchiato in attesa del tramonto, ma mi rendo conto che Liam sta dormendo con la testa poggiata sul mio petto. Traggo un lungo sospiro e, con estrema delicatezza, così da evitare di svegliarlo, lo scosto da me e lo faccio distendere sul sedile di pelle, assicurandomi che la coperta lo avvolga per intero.

Una volta fatto questo, mi dedico a Bonnie, concedendole qualche carezza. «Ciao, bella. Come va? Hai dormito?»

Bonnie uggiola in risposta e mi lecca la mano. Sembra voglia rassicurarmi, dirmi che ce la caveremo.

«Tranquilla, io sto bene» le rispondo, grattandole la testa con affetto. «Sto bene, davvero. E vi porterò al sicuro, non temere.» Ci salviamo a vicenda, io e te, non è vero?

È sempre stato così, fin da quando io e mamma la portammo a casa, ancora cucciola, quel lontano giorno di pioggia di otto anni fa. Era una strada poco trafficata, che passava in mezzo al bosco, e lei era legata a un albero con una corda. Per chissà quale motivo, l'avevano abbandonata. E sarebbe morta lì, sola, dimenticata da tutti, se non l'avessimo portata con noi, nutrita, amata. Da quel preciso momento in cui il mio sguardo ha incrociato il suo, Bonnie non mi ha mai, mai lasciata, standomi vicino in mille modi diversi.

Le concedo un sorriso grato, poi sospiro e decido di ricontrollare lo zaino. Voglio illudermi che, durante il mio sonno farcito di incubi, all'interno si possa essere materializzato miracolosamente del cibo. Rovisto in ogni tasca, speranzosa di averne dimenticata di perquisire qualcuna, ieri, ma purtroppo, com'era prevedibile, non trovo nulla di nulla.

Getto con stizza lo zaino vuoto sul sedile anteriore e mi lascio prendere dallo sconforto. E ora? Ora cosa diavolo faremo? Tra poco Liam si sveglierà, sicuramente affamato, quindi mi chiederà del cibo per mettere a tacere il suo povero stomaco gorgogliante e... e io cosa gli risponderò, a quel punto? Che deve portare pazienza? Che deve fingere che vada tutto bene? Ma come potrei, quando invece la nostra situazione è disperata?

Mi asciugo gli angoli degli occhi: questo non è il momento di piangere o essere deboli, non posso permettermelo. Delle vite dipendono da me.

Con non poca fatica, causa la spossatezza che mi opprime, passo sui sedili anteriori, posizionandomi alla guida, e giro la chiave nel quadro d'accensione, avviando l'auto. Non è ancora buio e mi ero ripromessa di non guidare con la luce del giorno, poiché saremmo visibili agli occhi di chiunque, ma stare con le mani in mano a pensare a quanto la nostra situazione faccia schifo è una tortura. Tanto vale che mi rimetta in marcia.

Lancio uno sguardo carico d'ansia alla lancetta del rifornimento e mi rendo conto che, nonostante sia andata leggera di piede per consumare meno, rimane appena un quarto di serbatoio. Il panico mi assale: una volta finito il carburante non ho assolutamente idea di cosa faremo. Il mio intento è quello di raggiungere la casa di famiglia in montagna, che, con un pizzico di fortuna, potrebbe non essere ancora stata devastata; tuttavia l'unico, piccolissimo dettaglio è che questa si trova in Oregon, a circa mille miglia di distanza - e decine di litri di benzina - da dove siamo ora.

Con uno sbuffo, stringo entrambe le mani attorno al volante e, non troppo delicatamente, parto. Il motore romba e la mia mente è costretta a concentrarsi sulla guida, anziché sui troppi problemi a cui non so trovare una soluzione. La strada, infatti, è ingombra di carcasse d'automobili d'ogni tipo, le più saccheggiate dagli sciacalli in cerca di cibo o altro, poche ancora intatte, e non è affatto facile destreggiarsi tra di esse, tutt'altro. Il panico generato dai mostri, del resto, ha fatto sì che le città si svuotassero e che la gente si riversasse sulle interstatali o sulle autostrade, in cerca di chissà quale salvezza. Peccato, però, che per la maggior parte di quelle persone quell'idea dev'essersi tramutata nella loro condanna a morte.

***

Non guido nemmeno da dieci minuti, seguendo fiduciosa la strada che porta verso nord, quando sento Liam brontolare dal sedile posteriore. Lancio un'occhiata veloce allo specchietto retrovisore e riesco a scorgere a malapena la testa di mio fratello. «Ehi, piccolo ghiro, sei sveglio!»

In risposta, lui borbotta qualcosa d'incomprensibile, dopodiché si affaccia tra i due sedili anteriori, stropicciandosi gli occhietti. «Ho tanta fame, Lizzy. E anche Bonnie ce l'ha.»

Mi mordo il labbro inferiore e pesto con più energia il piede sull'acceleratore, frustrata. «Lo so, cucciolo. Ma tieni duro ancora un pochino, okay? Appena posso mi fermo e vado in cerca di qualcosa di buono da mangiare, va bene?»

Liam sospira, scontento della risposta che ha ricevuto, ma annuisce, ormai rassegnato. Immagino sappia che sto facendo del mio meglio e che non voglia infierire.

Dopo un attimo, lui e Bonnie passano entrambi sul sedile del passeggero. Mentre il cane si sistema nello spazio sotto il cruscotto, la testa poggiata sulle ginocchia di mio fratello, mugugnando in cerca di carezze, lui osserva lo scenario disastroso fatto di auto distrutte, terreni desolati e cielo carico di pioggia che scorre veloce davanti ai suoi occhi. Ha la fronte schiacciata contro il vetro del finestrino e il suo respiro lo appanna a intervalli regolari.

Per un po' regna il silenzio nell'abitacolo; gli unici rumori che lo spezzano sono quelli prodotti dal potente motore dell'automobile e dal gorgogliare dei nostri stomaci. Cerco di ignorare la fame, che mi corrode dall'interno e che mi provoca dolorosi crampi, ma poi penso che anche Liam sta probabilmente provando lo stesso tormento e sento una morsa stringermi la gola. È uno strazio.

Perché? Perché mai un bimbo deve soffrire così? Ha solo sei anni, non merita di patire la fame, né di vivere nell'angoscia. Tantomeno di essere tormentato dal freddo ogni singolo giorno, ogni singolo momento. Cazzo, cazzo, cazzo.

Sto dando tutta me stessa per tenere in vita mio fratello e rendergli l'incubo in cui siamo immersi appena un po' meno spaventoso, ma è evidente che quello che faccio non è sufficiente. Non sono in grado di prendermi cura di lui. Non lo ero prima, nelle nostre vecchie e facili vite, figuriamoci nella situazione attuale.

Per l'ennesima volta in questi pochi ma snervanti giorni di fuga, mi ritrovo a pensare, mio malgrado, che sarei dovuta morire io al posto di papà: lui sarebbe senz'altro riuscito a occuparsi di Liam molto meglio di quanto non stia facendo io. Non ho alcun dubbio al riguardo. Il cibo non sarebbe mancato, le coperte nemmeno, e sarebbe persino stato in grado di far sorridere Liam, cosa in cui io non riesco da giorni, ormai.

Invece no. Invece papà è morto e mi ha lasciato sulle spalle la responsabilità della vita di mio fratello.

Se solo non gli avessi permesso di uscire in cerca di provviste quella notte. Se solo avessi insistito di più perché lasciasse andare me. A quest'ora ci sarebbe lui qui, al mio posto.

"Papà, ti prego! Devi darmi ascolto!" gli avevo ringhiato contro con rabbia, piantandomi davanti alla porta d'ingresso, così da impedirgli di uscire armato solo di una borsa vuota a tracolla, di una torcia e di una sbarra di ferro. Ricordo quella notte come se fosse ieri, malgrado ormai sia passato più di un mese.

"Per favore, non andare. Sul serio. È troppo pericoloso là fuori! Dammi retta. E se non tornassi? E se ti catturassero? Cosa faremmo io e Liam, allora? Non ci hai pensato?" l'avevo accusato, sul punto di scoppiare a piangere. Avevo abbassato lo sguardo e avevo aggiunto dopo un attimo, tremando come una foglia: "Non voglio che succeda qualcosa di brutto anche a te". Mi riferivo alla mamma, di cui non avevamo notizie dall'arrivo di quei dannati Esterni. Non avevo certezze che fosse morta, esattamente come non ne ho ora, ma sono sempre stata una persona piuttosto pragmatica e illudermi che fosse ancora viva lo ritenevo - e lo ritengo - inutile.

Papà si era chinato in avanti per potermi guardare dritto negli occhi nella luce giallastra della sua torcia e mi aveva carezzato la guancia con una dolcezza straziante. "Kristen, tesoro mio, lo so. So che hai ragione" aveva ammesso, corrugando le sopracciglia lievemente brizzolate. Lui era l'unico al mondo a chiamarmi sempre e comunque con il mio nome di battesimo, per quanto io odiassi questa cosa. Persino i professori, a scuola, avevano preso a chiamarmi Liz - da Leesman, il mio cognome -, arrendendosi al mio volere; ma papà no. Papà diceva che il nome che lui e mamma avevano scelto per me era Kristen e che era sciocco sciuparlo con un soprannome.

Il sorriso che mi sento spuntare sulle labbra nel riportare alla mente le sue parole è triste quanto quello che c'era sulle sue quando, rassegnato, quella notte mi sussurrava: "So bene che potrei non tornare, però le scorte stanno finendo e la riserva d'acqua non durerà ancora a lungo. Abbiamo bisogno di altro cibo. Per te, per me, per Bonnie, ma soprattutto per Liam. Non posso fargli patire la fame. Se ci fossimo soltanto io e te, ti darei ascolto: cercheremmo di limitare ancora di più le razioni e rimanderei a un'altra volta quest'uscita. Ma c'è anche tuo fratello a cui pensare. Non ho scelta, piccola: devo andare."

"Sì, ma è... è troppo pericoloso!"

"Starò attento, Kristen. Davvero, te lo giuro. Forse ho qualche anno di troppo per i tuoi standard, ma sono ancora in gamba, sai?"

Quei suoi tentativi di fare il simpatico, di strapparmi una risata in una situazione disperata come la nostra erano serviti soltanto a farmi montare addosso una rabbia indescrivibile. Ero indietreggiata, sdegnata, e gli avevo gridato contro: "Abbiamo già perso la mamma! Ora vuoi andartene anche tu e lasciarci soli? Cosa faremo se tu non torni? Io non so prendermi cura di Liam. Cosa gli dirò se mi chiederà dove siete? Lei a quest'ora sarà già diventata la cena di quei cosi schifosi e tu se esci... se esci farai la stessa fine, ci scommetto."

Mi rendo conto solo ora di quanto fossi stata crudele a rivolgergli parole del genere - cariche di collera, sì, ma principalmente di paura -, eppure in quel momento non ragionavo, pensavo solo a un modo per tenerlo con me, per non dover piangere anche la sua, di morte.

Malgrado il mio comportamento vergognoso, papà non si era arrabbiato. Aveva sospirato profondamente, gli occhi socchiusi, e si era limitato a dire: "Non devi essere così pessimista. Forse mamma è ancora viva, da qualche parte a New York. Magari ha trovato un posto dove nascondersi e ora sta pensando a noi. O magari sta tornando qui e presto la rivedremo, chissà."

"Magari? A me non servono i tuoi magari, papà! E nemmeno i tuoi forse, lo vuoi capire?" avevo urlato, la voce incrinata dal dolore. Poi gli avevo dato le spalle, puntando gli occhi colmi di lacrime sulla porta chiusa, unica difesa dagli esseri che pullulavano i nostri incubi e anche le nostre veglie. "Io voglio solo sapere quando tutto questo finirà, quando tutto tornerà normale. Non ce la faccio più a vivere così, con il terrore di poter finire uccisi da un momento all'altro, se solo abbassiamo la guardia."

Dio, che stupida egoista sono stata.

"Piccola mia, non piangere." Papà si era avvicinato, passando una mano tra i miei capelli. "Andrà tutto bene. Noi ce la faremo. Siamo forti. Siamo i Leesman. Giusto?"

Non gli avevo risposto. Al contrario, mi ero gettata tra le sue braccia e avevo nascosto il viso nel suo maglione di cashmere preferito, un tempo morbido e profumato, ora bucato e macchiato. "Ho paura."

"Anche io ne ho, Kristen, tesoro. Da morire. Ma dobbiamo resistere. Tu, specialmente, devi resistere. Se non per me, cerca di farlo per Liam."

Perché faceva così, ogni volta? Perché sfruttava il mio punto debole per manipolarmi? Sapeva bene che, sotto sotto, avrei fatto di tutto per il mio fratellino.

Quella volta però, non potevo cedere. Non potevo lasciarlo andare e rischiare di perderlo per sempre. Per questo motivo mi ero ritrovata a dire, spaventata ma decisa: "Vado io, papà."

"Cosa?"

Mi ero liberata della sua stretta, mi ero asciugata gli occhi nella manica della felpa e avevo ripetuto: "Esco io in cerca di cibo."

Papà aveva scosso fermamente la testa. "Sei impazzita? Non te lo permetterei mai, lo sai benissimo."

Non erano valsi a niente i miei tentativi di convincerlo a lasciarmi andare, né le argomentazioni riguardo quanto io fossi molto più adatta di lui per quel compito. Non aveva ceduto di un millimetro.

Malgrado ciò, ero riuscita a strappargli una promessa: saremmo resistiti ancora per qualche giorno con le scorte che ci restavano prima che lui si avventurasse fuori in cerca di nuove provviste.

Una volta ottenuta la sua parola mi ero finalmente calmata, mettendo da parte la collera. Avevamo raggiunto Liam e Bonnie al piano inferiore, nello scantinato, avevamo mangiato il necessario per mettere a tacere le pance gorgoglianti e ci eravamo distesi per dormire, io e mio fratello stretti l'uno all'altra sul divano, con Bonnie raggomitolata ai nostri piedi, e papà poco lontano, coricato su un materassino gonfiabile da campeggio.

Al mio risveglio, al sorgere del sole, papà non c'era più. Aveva infranto la parola data ed era uscito in cerca di provviste. Aveva infranto la parola data e non aveva più fatto ritorno a casa, da noi.

Torno al presente con la mente, scuotendo piano la testa. Il senso di colpa mi toglie il fiato. È colpa mia se tu non ci sei più. È tutta colpa mia, mia, mia.

Tiro su col naso e mi asciugo gli occhi: non voglio che Liam mi veda piangere, servirebbe solo a farlo deprimere ancor di più.

E questa è l'ultima delle cose che voglio.

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Ed ecco la prima parte del capitolo 6! Che ne pensate? Fatemi sapere con un commentino o una stelletta!
Ne approfitto per augurarvi un buon weekend lungo!
Baciottiniii ❤

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