Di Nuovo Maggio | Achille Lau...

By lainil

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La curiosità analizza le persone. L'egoismo le divide. Samantha incarna perfettamente queste due caratteristi... More

Prologo
Citofoni senza cognomi
Il mondo non é come pensi
Solo ad essere cattivi
Le piccole poche cose da tenere strette
La gente spreca le anime
Volevamo libertà
Buoni a perderci e basta
Non so amarmi. So rovinarmi.
Perché cosi non può finire bene
Solo per paura di soffrirci
In fondo tu sei come me
Come il film di Parker
Intorno hai tanti, ma nessuno a fianco
Ogni giorno è come sia l'ultima notte
Hai mai visto qualcuno morire?
Sto per farlo un'altra volta, roulette russa
Mi rende solo più stronzo
È amara anche l'acqua del mare
Metà tempo a cercarsi, metà a dirsi basta
Carichi la pistola e poi ti sparo in testa
Tu non sai la vita che mi ha fatto
Un bacio e una pistola come Robert Aldrich
Perché si desidera ciò che ci uccide?
Avere il meglio tra le mani e non capire niente
Com'è che siamo buoni a perderci e basta?
Sotto lune pallide
Sai quanto conti per questi? Niente.
Cuori d'acciaio con una catena
Per noi che il paradiso è pure troppo grande
Fare finta che non ci interessi
E farai la stronza
Chiederai sempre di amarti
Fatti così, su una ruota con il casco slacciato
Con quel tuo vizio d'esse' er tipo d'assistenza sociale
Lei vuole perdersi
Dentro a un vuoto, fuori è vuoto
Un cuore sotto zero
Dentro quella stanza soli e in testa il finimondo
Siamo soli in cento personalità
Ed io sono proprio come te
Destini rovinati che si intrecciano per sempre
Il cielo resta il limite per chi è come me
Questi bambini a letto senza cena
Strappalo ed incendiami
Un mondo distorto
Lei prega che la chiami e che le spari in bocca
Nessuno che ti voglia così tanto come me
Io sempre in cerca di quello che ho perso
Più di una vita voglio sia un museo
Insegnami com'è dire "addio"
Storie irreversibili, in sintesi invisibili
E non girarsi a guardare
Anni che le cose più belle le perdo
Per avere solo quello che avevano tutti
Finché cambi tu un giorno
L'amore confonde, la guerra é pace
Fare del bene, almeno a te
Solo chi perde qualcuno sa quanto fa male - Epilogo
Penelope - Finale Alternativo
Conclusioni e ringraziamenti

Crisi agli instabili tratti emotivi

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By lainil


Daniele sorride vedendo entrare Samantha al capannone, felice di rivederla a lavorare lì, pur tristemente obbligata dal fatto che i soldi, a lei e a Lisa, non bastano più.

Si passa le mani tra loro, guardando la porta dell'ufficio, chiusa, scuotendo la testa e mettendosi al suo posto, pronta ad iniziare dove l'amica si è fermata, prendendo in mano buste e accendino:

"Bentornata!"

La saluta Daniele, venendo ricambiato con un sorriso semplice, per poi vedere la ragazza tornare seria, concentrata sul lavoro:

"Puoi entrare se vuoi parlargli."

Le dice, comprendendo i suoi pensieri:

"Di cosa dovremmo parlare?"

"Beh di quello che è success-"

"Non è successo nulla."

Chiude lei il discorso, stringendosi nelle spalle e affondando il viso lì:

"Ma lui..."

"Daniele, basta, non importa."

Alza la voce, facendo cadere il silenzio in tutto il luogo e sentendo, dopo poco, la porta dell'ufficio aprirsi:

"Chiudete quelle cazzo di bocche!"

Sbraita Lauro, sbattendo un pugno sul muro, per poi individuare sul suo campo visivo Samantha, stringendo poco gli occhi:

"Ciao." La saluta, freddamente, mentre lei ricambia con un banale cenno: "Vieni un attimo."

La invita. Samantha non lo considera subito, ma poi lo ascolta, alzandosi dal suo posto, abbandonando ogni oggetto e entrando nel suo ufficio, sentendo la porta chiudersi subito dopo alle sue spalle.
Lauro attraversa la stanza, sedendosi al suo posto e pulendo velocemente la scrivania, allontanando ogni oggetto da lui:

"Volevo dirti che mi dispiace per ciò che è successo qualche giorno fa."

Inizia, senza guardarla negli occhi, giocando con le sue dita e sistemandosi l'unico anello che ha:

"Sì, me lo hai già detto quella stessa notte."

Risponde freddamente lei, prendendo posto, accavallando le gambe e incrociando le braccia:

"Immagino, ma ora sono completamente lucido, so che te lo sto dicendo."

"Quindi non ricordi che mi hai detto?"

"Non troppo."

Sussurra lui, passandosi le mani tra i capelli:

"Vabbè." Sbuffa lei: "Lascia perdere, nulla di importante se ti sei dimenticato."

"Che ti ho detto?"

"Niente. Neanche mi ricordo chiaramente." Mente, alzandosi: "Posso tornare a lavorare ora?"

"No." La blocca lui: "Voglio sapere che ti ho detto."

"Nulla di che."

Alza gli occhi al cielo, pronta ad appoggiare la mano sulla maniglia, ma Lauro la blocca e, con una discreta violenza, la sbatte contro la porta, bloccandola lì, costringendola ad un contatto visivo:

"Dimmi che ti ho detto."

Ordina:

"Lauro, cazzo!" Sbotta lei, appoggiando le sue mani sulle spalle di lui, ma comprendendo di non essere abbastanza forte per allontanarlo: "Mi hai detto che ti dispiaceva e basta, nulla di che!"

"Non è vero. Me lo avresti detto!"

Samantha stringe gli occhi, arrabbiata:

"Vuoi sapere ieri sera che hai fatto?"

Lui annuisce, serio. La ragazza sospira, alzando le mani e afferrandogli le guance, avvicinandolo con violenza a lei e baciandolo con forza, senza sentimenti.
Lauro la lascia inizialmente fare, godendosi quel desiderato contatto, per poi allontanarla di scatto, passandosi la mano sulle labbra, quasi pulendosi:

"Che cazzo ti passa per la testa?"

Le sbraita contro:

"Questo mi hai fatto ieri sera. Ti sei lasciato baciare, hai ricambiato senza problemi. Ecco cosa hai fatto.
E ora fammi andare."

Decide lei, delusa dalla reazione di Lauro, non aspettandosela dopo tutto quello che hanno passato e che lui ha sempre fatto.
Ritorna nella sala principale, riprendendo a lavorare in silenzio, mentre Daniele la guarda da lontano, dispiaciuto, comprendendo il suo stato d'animo.




I piedi di Samantha sono abbandonati nel vuoto, mentre lei, seduta sul davanzale della finestra, fuma con calma una canna per tranquillizzare i suoi pensieri:

"Samantha!"

La ragazza si sporge leggermente, aprendo poco le gambe, il giusto per identificare Lauro a chiamarla dall'entrata:

"Mi apri?"

"Lisa non è qua se la cerchi."

"Cerco te, infatti."

"Non sono a casa."

Risponde ironica lei, riprendendo a fumare e distogliendo lo sguardo:

"Ho bisogno di parlarti."

"Non abbiamo nulla da dirci."

"Smettila. Aprimi 'sta porta. Non farmi insistere, sai che trovo un metodo per entrare."

"Di che mi devi parlare?"

Lauro, di risposta, inizia a suonare incessantemente il campanello, facendo sbuffare Samantha che si sposta dal davanzale, vedendosi obbligata a farlo entrare:

"Resta sulla porta."

Gli ordina, cosa che Lauro fa, pur non comprendendo a pieno:

"Volevo parlarti di ciò che è successo ieri. Posso entrare? Non mi sembra molto normale che ti parli su uno zerbino."

"E invece lo farai." Sbuffa Samantha: "Sai come vanno a finire 'ste cose sennò."

"Certo, se non sai controllare i tuoi sentimenti per me per forza finiamo così."

Si fa sfuggire lui, scoppiando a ridere, ma tornando serio e bloccando con tutta la sua forza la porta quando lei è intenzionata a richiuderla:

"Stavo scherzando Samantha. Scusa. Non volevo dirlo. Non è il momento e hai pienamente ragione.
Fammi entrare, per favore, ho voglia di parlare con te, da persone normali."

Specifica le ultime parole e Samantha accetta la cosa, aprendo la porta e lasciando che Lauro entri nel suo appartamento, per poi sedersi sul divano e attendere che lei prenda posto a fianco a lui:

"Dimmi."

"Come posso riconquistare un minimo della tua fiducia?"

"Non hai fatto nulla. Te l'ho già detto."

"Come puoi dire che non ho fatto nulla? Cazzo, Sam, non mi so controllare!"

"Inizia da questo allora." Dice lei, con una calma che fa sentire a disagio il ragazzo che la guarda stranito: "Inizia a controllarti sulla droga, che bisogno hai di farti sempre di più droghe contemporaneamente? Controllati o finirai per ucciderti."

Lauro deglutisce pesantemente e con fatica a quella parola e Samantha lo capta, comprendendo di aver toccato un tasto che doveva evitare e lo nota anche dalla mano del biondo che si stringe violentemente al divano.

Lei non dice nulla, capendo come il danno lo abbia fatto ormai:

"Sì... Proverò a controllarmi, hai ragione."

Le risponde con voce flebile, debolissima, praticamente inaudibile:

"Mi dispiace, per qualunque cosa abbia detto."

Lauro alza lo sguardo sentendo queste parole:

"Non è nulla, non è colpa tua."

Si alza dal suo posto, passandosi nervosamente le mani tra di loro, come si fosse risvegliato qualcosa in lui. Barcolla quasi, si guarda attorno, cercando disperatamente il bagno e aprendo, senza chiedere nulla, l'acqua del lavandino, lavandosi il viso più volte e cercando di scacciare quella brutta sensazione che gli attanaglia lo stomaco:

"Devo prepararti qualcosa? Non ti senti bene?"

Chiede preoccupata, andandogli incontro non appena esce dal bagno e trovandosi di fronte Lauro che la guarda, spento e con uno sguardo vuoto e privo di emozioni:

"Dimmi qualcosa..."

Lo implora, tentata di accompagnare quelle parole con qualche gesto:

"Per favore Lauro."

Lui ancora la guarda, gli tremano le labbra, ma è completamente fermo con il resto del corpo:

"Ho ucciso una persona, Samantha."

Dice schietto, facendo sbarrare gli occhi a Samantha, che non comprende cosa le stia dicendo:

"Come?"

"Ho ucciso una ragazza, mentre ero sotto effetto di un mix di droghe, alcool e ketamina principalmente."

Inizia a spiegare, facendole capire di non interromperlo:

"Cerco di non farmi mai sopraffare dalle mie emozioni, se sono arrabbiato o triste evito di fare mix strani, solo cose che so controllare. Lo faccio sempre. Almeno da quel giorno.
Mi ero fatto pesantemente come ti ho detto, c'avevo forse sedici anni, diciassette, ero un mezzo pazzo, messo male, stavo sempre per strada.

Ero fidanzato con questa ragazzina, due anni più piccola, una bambina, insomma. E sai, a quell'età soprattutto, se le pischelle sono piccole si lasciano facilmente trascinare. Lei era completamente in balia della mia anima, la trasportavo ovunque, anche metaforicamente parlando, faceva tutto ciò che le chiedevo, si affidava a me, si fidava di me. Mi dava anima e corpo."

Parla e si libera in quei ricordi che Samantha ascolta, mentre lui non cambia espressione, sempre serio, freddo e vuoto:

"Aveva il compito, per così dire, di controllare che non esagerassi mai, non mi controllo, lo sai, figurati quando sono sotto effetto di qualcosa. Lei ne era a conoscenza e anche per il suo bene personale lo faceva. C'erano sere che non ne era in grado e finivo per sbarellare, la picchiavo, spaccavo bottiglie di vetro vicino e addosso a lei, impazzivo completamente.

Amavamo i giochi, sia quelli banali, un po' infantili, tipo correrci dietro, nasconderci e trovarci, sia quelli d'azzardo, più da adulti, mondo presentatomi da mio fratello e dai suoi amici, fino ad arrivare a quelli pericolosi e più malati, coltelli e pistole abbondavano in casa mia e io mi divertivo a giocarci e la coinvolgevo.

Poi un giorno..." E i suoi occhi si fanno ancor più cupi: "...Quel maledetto giorno eravamo andati ad una festa, organizzata qua vicino, a casa dell'allora fidanzata di mio fratello. Aveva amici malati, lei era mezza psicopatica e Federico, intenzionato più che mai a lasciarla, ma immerso in una situazione più grande di lui, mi aveva consigliato di portarmi dietro un coltellino, qualcosa per difendermi, ben nascosto nei pantaloni.

Io, idiota, avevo rifiutato, esagerando e prendendo la pistola. Avevo davvero tanta paura di quei ragazzi, non hai idea, ma mi volevo sentire "grande" e accettai di andare a quella festa.
Mi portai la mia ragazza, per non sentirmi solo. Assunsi ingenti quantità di alcool, mischiate a tante cose che giravano lì, tra queste anche quella maledetta ketamina di merda.

Alcune persone mi avevano fatto arrabbiare, innervosire con le solite frecciatine, la mia ragazza aveva tentato di calmarmi, di non farmi sopraffare dalle emozioni. Le avevo preso il polso: < Torniamo a casa! > Le avevo detto con fastidio e lei aveva tentato di farmi cambiare idea, temeva la picchiassi per la rabbia che avevo in corpo, ma no, non era mia intenzione.

Quella sera volevo solo tornare a casa con lei, a dormire e a coccolarci, senza pensare a nulla."

Sussurra con la voce ormai spezzata dalle lacrime che gli stanno salendo, ma che ancora non mostra:

"Ma anziché tirare dritto fino a casa mia, quella sera le mie mani decisero di fare una deviazione, facendoci fermare a Parco Sannazzaro."

"Dove ci siamo effettivamente incontrati la prima volta..."

Il biondo annuisce, riprendendo a parlare: "Torno spesso là, come punizione, per farmi male mentalmente. Vicino a quel gazebo di legno dove abbiamo parlato, quella sera qualcosa cambiò, qualcosa successe.

Ho portato lì la mia ragazza, dopo quella deviazione, le ho mostrato la pistola, ridevo come un bambino: < Divertiamoci, ho quattro colpi >, ero divertito, era un gioco che facevamo spesso, sentire quanto forte fosse il rimbombo degli spari. Lei aveva tentato di calmarmi, ero pericoloso sotto effetto di droghe, non capivo. Io l'allontanavo, convinto di aver tutto sotto controllo. Mi sono portato l'arma alla tempia, ho premuto il grilletto e non è accaduto niente, avevo avuto fortuna.

Lei tentava di togliermi l'arma dalle mani, non capivo lo facesse per il mio bene, pensavo volesse levarmi quell'attimo di libertà e felicità. Sentivo le sue mani sulle mie, sulle mie braccia, sulle mie spalle, tentava di fare tutto per aiutarmi. Il nervoso ebbe la meglio, il mix che avevo in corpo non aiutò e ho il ricordo confuso. Avevo l'arma in mano, ricordo questo, puntata verso di lei che tremava, piangendo, implorandomi di non sparare, tenendomi la mano che era andata a stringersi attorno al suo collo.

Uno sparo. E il silenzio più totale."

E conclude così il racconto, guardando Samantha esausto e tremando, lasciando che lo stringa, una volta che si abbandona completamente a lei:

"Tu..."

"Non farmi domande, per favore. È già difficile averne parlato con qualcuno, ma ne avevo bisogno."

Deglutisce rumorosamente, stringendosi a lei e iniziando a piangere come un bambino:

"Sono ormai sei anni che è morta, che io l'ho uccisa. Non riesco ancora a fare sogni tranquilli, mi sveglio la notte e la rivedo davanti a me. Lei è morta a causa mia."

Urla quelle parole, paralizzando Samantha:

"Mi ero già ripromesso di controllarmi dopo quell'esperienza, ma non ne sono stato in grado da solo, non posso farcela, ma non voglio rischiare di ammazzare anche te Samantha, non posso togliere la vita di nuovo a una persona che un minimo mi vuole bene, non posso."

Ripete, stringendo con forza la maglietta alla ragazza, cercando un conforto, un appiglio in lei, che lo stringe a sé, senza dire nulla:

"Daniele, Federico, gli altri ragazzi, non ti lasceranno solo..."

"È proprio questo il punto." Si asciuga leggermente gli occhi, mantenendola stretta a lui: "Loro dovevano aiutarmi quella sera, ma mi spinsero a provare quel mix. Dopo l'avvenimento promisero di restarmi accanto, ma non lo fecero. Non per aiutarmi almeno, non posso fare affidamento su di loro. A loro non frega di me, a loro importano i soldi che io so fatturare."

Si stacca da lei, guardandola tremando, asciugandosi completamente le lacrime e tirando su con il naso, passandosi le mani nei capelli:

"Mi spiace essermi sfogato con te, non avrei dovuto."

"Hai fatto bene, invece."

Gli assicura, accarezzandogli le guance e asciugando gli ultimi residui delle lacrime versate.
Lauro la guarda, appoggiando la sua fronte a quella della ragazza:

"Un po' me la ricordi quella ragazza..."

La fissa negli occhi con quella frase:

"C'hai degli occhi molto simili a lei, hai un carattere che mi sembra il suo e poi tante cose che abbiamo passate le ho vissute anche con lei."

Sorride forzatamente, avvicinando una mano alla tempia di lei e chiudendo le dita come fossero una pistola, premendola sulla sua pelle:

"Quando abbiamo fatto la roulotte russa, ricordi? Sapevo non saresti morta, non avevo voglia di ammazzarti, ho visto qualcosa in te. Tu non dovevi finire come lei, tu dovevi essere la sua reincarnazione, più grande, più bella."

Samantha si sposta dalle sue mani, lasciandolo stupito:

"Non voglio essere la sostituta di nessuno, io."

"No, non intendo quello, ma..."

"Se devi colmare un vuoto vai a bere, non venire qua a usarmi così."

Lo sgrida, retrocedendo, mettendo una decisa distanza tra loro due:

"Non volevo dirti quello. Era solo una considerazione, nessuno sarà mai come lei, né come te. Non volevo sminuirti, davvero."

"Non importa."

Si limita lei:

"Mi aiuteresti davvero? Ti prenderesti questo peso?"

"Posso provarci, ma tu devi lasciarti aiutare. Se continui ad allontanarti, se fingi di aver bisogno o se chiedi e poi rimangi non andremo da nessuna parte. Non è una cosa facile, lo sai, ho bisogno di aiuto, prima di tutto del tuo."

"Mi fido di te Sam."

"Come farai con Julia?"

Lo spiazza, con quella domanda, facendogli capire di riferirsi a qualche giornata prima:

"Non farò nulla. Io... Penso sia ora di lasciarla andare."

"È un anno che ci stai assieme."

"Ormai sì, com'è volato il tempo, cazzo... Un anno e mezzo quasi che ci conosciamo." La squadra, guardandola quasi con dolcezza e con un sorriso gentile: "Torniamo sempre sotto lo stesso tetto."

Ride leggermente, facendola sorridere e annuire. Lauro le afferra una mano, portandosela alle labbra e baciandola, per poi sporgersi verso di lei, sfiorandole le labbra, per poi baciarla velocemente, ma in modo dolce, staccandosi quasi subito:

"Troverò il modo di lasciarla, senza farle troppo male, almeno lo spero."

Samantha annuisce:

"Non esci più con Alex? Avete litigato?"

Domanda di punto in bianco, dopo essersi seduto nuovamente sul divano, vedendo la ragazza incupirsi:

"Ha trovato una ragazza, temo mi stia snobbando per quello."

"Solo per quello?"

"Samuel..."

"Sono preoccupati dalla mia presenza. Sì, l'avevo capito. Mi spiace per loro, ma sicuramente non me ne vado, sai quanto poco mi interessi di ciò che pensano loro." Sbuffa: "Mica ti obbligo a stare con me. Sei liberissima di andartene, io non ti nego nulla."

È infastidito a dire quelle parole, non vorrebbe dirle, si sente, è forzato e sta fingendo di fregarsene. Samantha sorride, prendendogli una mano, vedendolo sorpreso davanti a quel gesto. Gli tiene la mano nella sua, accarezzandogliela:

"A me piace stare con te."

"Ti farò del male."

"Lo so. Anche io te ne ho fatto e te ne farò. È normale Lauro."

Gli assicura, lasciandogli piano la mano, ma lui la riafferra:

"Non voglio perderti."

"Non mi perderai."

Lauro sorride forzatamente, ancora scosso dai ricordi che innondano la sua mente: il sangue, la pistola, i colpi e le grida, sente tutto lucidamente, pur non essendoci stato realmente quel giorno. Si sente mancare, è come se gli fosse arrivata la reale consapevolezza solo lì, anni e anni dopo l'avvenimento.

Ha ucciso un'innocente, solo per il gusto di farlo.

Il suo corpo trema e si porta una mano alla bocca, sentendo la nausea salirgli e sentendosi mancare.

Samantha, consapevole, lo stringe a sé:

"Finirò per ammazzarti, Samantha, se non mi controllo."

"Ti controllerai, ci controlleremo entrambi per non abbandonare l'altro."

"Finirò per ammazzarmi io."

Sospira, portandosi la mano sugli occhi e tenendo la ragazza con il braccio libero, leggendo sfocatamente la scritta "Familia" sul braccio.

Che sia forse Samantha l'unica cosa che rappresenta quella scritta?

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