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By september199six

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Β«A volte siamo semplicemente insalvabili.Β» Cover / logaphile All rights deserved / september199six More

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ventitrΓ©
ventiquattro
venticinque
ventisei
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ventotto (I)
ventotto (II)
ventinove
trenta
epilogo - utopia
H
ringraziamenti

diciannove

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By september199six

Kill em with kindness (Acoustic) — Selena Gomez.

Sento il freddo attraversarmi e avvolgermi; non riesco a sentire nient'altro e non sono sicura sia un bene o un male. Sono sola in questa stanza che non conosco ma che ha qualcosa di familiare, qualcosa che non mi piace, qualcosa che odio. Le pareti sono completamente bianche e io ho soltanto un camice leggero addosso, le braccia sono scoperte e i miei piedi nudi mentre sfiorano il pavimento freddo fino alla porta. Mi avvicino per aprirla e uscire, ma improvvisamente scompare, si dissolve come se non fosse mai stata lì, come se l'avessi soltanto immaginata. I capelli mi ricadono sulle spalle e davanti al volto, li tocco e li percepisco umidi verso le punte. Mi guardo intorno cercando qualcosa che non conosco neanche, ma continuo a girare su me stessa come se il vortice in cui mi trovo fossi io stessa. Come se partisse tutto da me, come se fossi io il punto di fuga.

La testa è leggera e pesante allo stesso tempo, ho così tanti pensieri che non riesco a pensare a niente. Non riesco a fermare la mente su una singola cosa, su una singola persona, su un singolo dettaglio. Non ci riesco, e io non riesco a stare al passo. Sono nel centro della stanza e mi siedo come se mi stessi lasciando scivolare contro una parete immaginaria, fino a toccare terra. Piego le gambe e le porto al petto, poi i pensieri diventano voci e le voci diventano urla, e io non riesco neanche ad ascoltarle. Non riesco a fare niente. Mi prendo la testa tra le mani e la muovo, dondolandomi con il corpo avanti e indietro, lentamente e poi velocemente. Vorrei urlare anch'io, vorrei riuscire a rispondere a quelle voci, metterle a tacere.

Voglio uscire, voglio andare via, non capisco perché sono qui. Non capisco come ci sono arrivata, non so quando e non riesco a ricordare il momento in cui i miei occhi si sono aperti e io ero qui, da sola.

Poi sento una leggera presa intorno al polso, una stretta intorno alle dita che però non mi fa male, che è quasi gentile. Guardo la mia mano ma a stringerla non c'è nessuno. Non c'è nessuno a sfiorarmi, a tenermi. Solo che la stretta si intensifica e questa volta mi fa male, mi dà quasi fastidio, e una voce in particolare sembra isolarsi, perché riesco a distinguerla tra le altre. Me ne rendo conto lentamente, ma poi la riconosco. La riconosco e mi aggrappo a quella voce, all'unica che sono riuscita a trovare. Poi aspetto, non so cosa, non so chi, ma aspetto ancora.

«Ce la fai, Mia» dice, e non sono più in quella stanza. Quelle pareti bianche, spoglie e senza vita non sono più intorno a me. Io non sono più seduta in un angolo, o al centro di quella stanza. Non riesco a vedermi, ma so che non sono più lì.

«Ce la facciamo sempre, ricordi?» continua, e questa volta la sento bene, la sento vicina, come se fosse al mio fianco, e adesso so che la stretta intorno alle dita è la sua.

«L'hai promesso» dice ancora, e io vorrei solo rispondere che sono qui, che la sento, ma che non riesco a vederla. Non riesco ad aprire gli occhi, sono avvolta da un buio diverso, un buio che non conosco.

«Ti prego» la voce quasi si spezza, la presa si intensifica e la stretta intorno alle dita diventa disperata. È a quel punto che tento in un altro modo, che provo a muovere le dita con avvolte le sue intorno.

Gli occhi li apro lentamente, e a me sembra passare un'eternità fino al momento in cui riesco a mettere a fuoco la testa di Eve piegata accanto al mio braccio sul letto su cui sono distesa, la sua mano ancora a ricoprire e a sfiorare la mia. Sento la testa vorticare lievemente quando provo a muovere l'altro braccio, ma poi riesco a farlo, e sfioro i capelli di Eve con le dita — sul dorso della mia mano noto che c'è un ago da cui parte una cannula — fino ad accarezzarglieli. Lei solleva la testa quasi con timore, come se avesse paura che quello che vedrà possa essere soltanto frutto della sua immaginazione. I suoi occhi stanchi e cerchiati mi guardano, e una lacrima cade sul suo volto nello stesso momento in cui la sua mano raggiunge la bocca per coprirla.

«Mia» sussurra e io annuisco, anche se la testa mi pulsa e sento come se questo corpo non fosse più mio.

«Vieni qui» replico e lei si avvicina ancora di più, mi avvolge con un braccio mentre l'altro lo piega e lo tiene vicino al volto, appoggiato sul mio petto. I singhiozzi la scuotono piano, in silenzio, e io mi chiedo come abbia passato queste ore ad aspettarmi.

«Non farlo più» dice poi, le mie dita ancora tra i suoi capelli.

«Mi dispiace» io rispondo soltanto, perché non so cos'altro dirle.

Del prima ricordo tutto. Ricordo Nina, le sue parole e le mie, la ragazza che mi ha fermata per chiedermi se stessi bene, le chiamate di Harry a cui non ho mai risposto. Ricordo il modo in cui mi hanno perforata, quello in cui gli ho permesso di farlo per l'ultima volta. Ricordo che non stavo bene e che ne ero cosciente, che i pezzi sparsi erano troppi per poterli anche solo cercare. 

Sono passati quattro giorni, e io adesso so che non volevo farlo davvero, che non era quello il punto di non ritorno, che forse sono stata anche peggio. So che volevo soltanto mettere a tacere tutto, e quella era l'unica soluzione che riuscivo a vedere.

Ho visto mia madre, che non ha detto neanche una parola. Mi ha solo guardata quasi implorandomi, forse chiedendosi il motivo, il perché nessuno si fosse reso conto di niente. Forse si è sentita in colpa, perché io il mio dolore non l'ho mai messo al centro di nessuna attenzione, l'ho sempre tenuto nascosto, solo per me.
Ho visto mio padre e mio fratello, che mi hanno sorriso debolmente e basta, non si sono neanche abbassati ai convenevoli. Non so se mi aspetta un dopo, se questa apatìa in cui sono caduta anch'io e che rappresenta il motivo per cui sono qui abbia risucchiato tutti, se voglia avvolgerli ancora prima di rovesciargli la realtà sulla pelle.

Ho visto anche Darlene. Una Darlene diversa, che per la prima volta era senza parole. L'ho scossa, ho scosso tutti. Mi guardava con quei suoi occhi azzurri chiedendomi qualcosa a cui non sono pronta a rispondere. Non so se sappiano di Nina, non so se sappiano che l'epicentro del perché sono qui sia stato lei.

Adesso sono di nuovo con mia madre, che mi sistema le coperte ai piedi del letto come se dovesse tenere sempre la mente occupata, come se queste piccole cose bastassero. La porta è semichiusa e riesco a vedere Darlene tornare con una busta di carta tra le mani.

«Vi lascio da sole» dice mia madre abbozzando un sorriso e io annuisco, poi lei esce dalla stanza e chiude la porta alle sue spalle. La stanza non è piccola, ma non è neanche così grande. C'è solamente il mio letto, con due sedie ai lati, un piccolo armadietto e un comodino. Su questo ci sono soltanto una rosa azzurra, il libro che mia madre mi ha regalato per Natale e il mio cellulare, ancora spento. La grande finestra che copre quasi tutta la parete mi distrae, è la parte della stanza che guardo di più.

«Ti ho portato qualcosa» afferma Darlene poggiando il sacchetto sul comodino. Tira fuori un bicchiere in plastica di caffè e io sorrido. Sono seduta a gambe incrociate sul letto e sotto le coperte non ne posso più.

«Non posso berlo, Dar» le dico sospirando e lasciandomi cadere sui cuscini alle mie spalle.

Lei si volta e fa una piccola smorfia. «L'avevo immaginato, infatti è per me.»

Io scuoto la testa e gioco con la cannula ancora attaccata alla mia mano, poi Darlene continua. «È per questo che ti ho portato anche un'altra cosa.»

Quello che Darlene mi mette davanti è qualcosa che mi lascia senza parole, qualcosa che non mi aspettavo ma che conosco, e che mi fa pensare a una singola persona.

«È...» inizio, ma Darlene mi interrompe. «Sì, Mia. È da parte sua.»

Mi rigiro il taccuino tra le mani, poi lo apro e le pagine bianche, immacolate sono lì che mi fissano, che si aspettano qualcosa che io non sono sicura di potergli dare. Mi chiedo perché non sia stato lui a darmelo, se sia mai stato qui, se qualcuno lo abbia visto oltre a Darlene. Lo tengo ancora tra le mani, poi però il mio sguardo cade sulla rosa azzurra ancora piena di vita sul piccolo mobiletto al mio fianco.

«Darlene, chi ha portato questa rosa?» mi volto a guardarla quando l'ultima parola scivola fuori dalle mie labbra, ed è il modo in cui lei poi guarda me a rispondermi.

Qualcosa a cui non riesco a dare un nome si smuove in me, inizia ad animarsi e a spazzare via un po' di quell'alone di apatìa, ma ho paura che sia soltanto per un istante, che sia temporaneo. Poi c'è qualcos'altro, qualcosa che mi spaventa, qualcosa che non riesco ad immaginare, qualcosa di cui quasi mi vergogno.

«È stato lui anche a trovarmi quel giorno, vero?» le parole cadono lente, a bassa voce, prima di dissolversi nell'aria.

Darlene lo capisce e mi prende la mano mettendo la sua intorno alla mia, poi annuisce e un sorriso piccolo, debole si costruisce sulle sue labbra. «È stato qui fuori ad aspettare ogni singolo secondo prima che ti svegliassi. È stato lui a chiamarci, poi non ha più detto niente. Era sconvolto, Mia, te lo giuro. Appena ha saputo che stavi bene se n'è andato, poi è passato al locale per darmi il taccuino e chiedermi di dartelo.»

Io abbasso la testa e con la mano libera sfioro la copertina liscia e scura del taccuino.
Mi sento impotente, sporca, come se avessi rovinato qualcosa che non sapevo neanche se sarebbe esistito un giorno, come se avessi deciso di mettere le mani davanti al volto negandomi la vista, come se scappassi senza neanche sapere da cosa.

Darlene mi dice ancora qualcosa, anche se io non le ho risposto. Capisce in parte quello che sento, lo vede, mi conosce.

«Verrà. Dagli tempo, ne sono sicura.»

E io non so se sperarci davvero, se tradire il niente aspettative, se avrò mai il coraggio di guardarlo e se lui riuscirà a guardare me nello stesso modo in cui ha sempre fatto. È questo a spaventarmi: perdere qualcosa che non è neanche mai stata mia.

A/N

Faccio un passo indietro: cosa avete pensato del gesto di Mia? Del ritorno di Nina e delle sue parole, di Harry e dei genitori di Mia?

Ho letto i vostri commenti e sapevo che un po' almeno vi avrebbe scosso il capitolo precedente, ma spero che capirete le mie intenzioni e di non deludervi con i prossimi  capitoli.

Grazie di cuore per tutto!!

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