Deontologicamente scorretto [...

By siuri1

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** VINCITORE WATTYS 2017, categoria LETTURE MOZZAFIATO** QUEST'OPERA (e tutte le mie opere) È COPERTA DAL COP... More

Prologo
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Extra : Luca e Flami
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
2. Extra Flami e Luca
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
AVVISO!
3. Extra- Luca e Flami
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Epilogo
Extra
Avviso
SEQUEL
Italian Writers Award 2016
Apertura votazioni!
Extra: Come tutto è iniziato
E se fosse stato destino?
WARNING! HELP ME!

Capitolo 39

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By siuri1


Pov Luca

Mi passai le mani nei capelli con nervosismo, mentre camminavo avanti e indietro agitato, squadrando con attenzione tutto l'ambiente circostante per verificare che fosse tutto perfetto.

Sulla spiaggia privata della mia abitazione era stato sistemato un ampio telo, al di sopra del quale giaceva un tavolo ordinatamente apparecchiato, mentre la luce soffusa delle candele veniva supportata dalle luminarie di Napoli e dal chiarore di luna, quella sera piena. Il tutto poi condito da un panorama mozzafiato e da un mare calmo che caricavano l'atmosfera di romanticismo.

Puntellai le mani sui fianchi e sospirai affranto.

- Sono diventato frocio. – commentai rammaricato.

Erano mesi ormai che io e Flaminia stavamo insieme e mai come in quel momento mi resi conto di essere caduto nella trappola.

Non guardavo più le altre donne e non facevo più cadere il mio sguardo nelle spesso profonde scollature che mi offriva il gentilsesso. Beh, questo forse non era proprio vero, ma quando l'occhio cadeva, non mi ritrovavo più a fare apprezzamenti spassionati come una volta, ma mi perdevo in confronti.

Inutile dire chi avesse la meglio alla fine dei conti.

Alla vista di un bel pezzo di mammifero, non avvertivo più quel brivido insinuarsi tra le cosce e stanziarsi lì, dove non batteva il sole.

Non avevo mai creduto di avere un cuore di ghiaccio e nemmeno mi ritenevo incapace di amare. Anzi, chi più di me amava le donne? Quelle creature perfette e calde, frutto del dispiego delle forze della natura, chi più di me era in grado di apprezzarle?

Semplicemente ero incapace di amarne una sola. Il mio cuore non era mai stato in grado di battere in quel modo ossesso, quasi malato, per una sola donna.

Non era un cuore freddo, era solo...difettoso. Un difetto della fabbrica della natura, o almeno così credevo.

Non avevo mai tradito Flaminia; inspiegabilmente, la sola idea di poterle mancare di rispetto mi causava disgusto, stupendomi. Non mi ero mai posto questo genere di problemi: Barbara aveva avuto una quantità di corna tali, che per un considerevole periodo il nostro giro di amicizie si era convinto che non stessimo più insieme.

Ma con Flaminia era diverso: il suo viso era sempre impresso nella mia mente, il mio corpo bramava anche a distanza la sua pelle ed il suo odore inebriava costantemente le mie narici, impregnandole.

Ed io, come un segugio, lo cercavo in ogni dove.

- Cristo santo! – mormorai, sull'orlo della follia.

Ero caduto nel baratro. Mi ero innamorato e quella sera avevo organizzato una cena romantica per confessarle i miei sentimenti.

Flaminia sarebbe arrivata a breve ed io fissavo le lancette dell'orologio con timore. Man mano che l'orario dell'appuntamento si avvicinava, la mia gola si faceva secca, lo stomaco si stringeva in una morsa soffocante e gli arti venivano attraversati da un formicolio. Due erano le cose: o stavo per avere un infarto, o avevo un attacco di panico in atto, eppure nessuna delle due prospettive era allettante.

Mi portai una mano al collo, sentendomi soffocare e tremavo alla sola idea di aprire il mio cuore, mentre l'istinto di fuggire si concretizzava a poco a poco, in modo a dir poco disperato.

Afferrai d'impeto il cellulare e con le dita tremolanti, composi il numero di Ferraro.

- Pronto? – farfugliò Marco, masticando.

- Ferrà, molla tutto e prepara la valigia! Ce ne andiamo a Cuba! –dissi serio, entrando in casa.

Ferraro rimase in silenzio per un attimo, perplesso, dopodiché sospirò rumorosamente.

- Luca, qual è il problema oggi? – chiese lui con rassegnazione.

- Flaminia a breve verrà a casa mia ed io ho organizzato una cosa stile film romantici per zitelle incallite. – risposi tutto d'un fiato, imbarazzato.

Marco scoppiò a ridere di gusto, facendomi storcere il naso con fastidio.

- Che cazzo ridi? - sbottai nervoso.

- Fammi capire bene. – proruppe lui, apparentemente serio - Hai organizzato tutto questo per dire a Flaminia che la ami? –si accertò, trattenendo a stento le risa.

- NON DIRE QUELLA COSA! – urlai isterico, tirandomi i capelli, mentre un brivido mi attraversava la schiena.

Ringhiai per la rabbia, quando il suono della risata di Ferraro, anziché affievolirsi, finì per aumentare di tono e sbottonai leggermente la camicia, avvertendo la pelle bruciare.

- Luca, scusami, ma se neanche riesci a dirlo ad alta voce, come speri di riuscire a confessarlo a Flaminia? – m'incalzò giustamente l'avvocato.

- Semplice, non lo farò – risposi secco.

Ferraro sospirò esasperato.

- Devi dirglielo. – sentenziò - Ormai sono mesi che state insieme e non è più concepibile rimandare ancora, solo perché te la fai sotto! – proseguì lui con aria superiore.

- Disse quello che si rifiuta di ammettere che si è innamorato di una studentessa! – ribattei piccato, inarcando un sopracciglio.

Marco, che nel frattempo stava ingoiando un boccone, iniziò a tossire convulsamente ed afferrò il bicchiere per ingurgitare una copiosa quantità di acqua.

- Vaffanculo. – sbottò con voce strozzata – Piantala con questa storia. – asserì seccato.

- E tu aiutami! – lo incalzai deciso.

Sentii Ferraro imprecare sottovoce ed accomodarsi meglio sulla sedia.

- Facciamo così. – esordì lui propositivo – Adesso farai finta che sono Flaminia e proverai il tuo discorso con me. –

Storsi il labbro poco convinto e sollevai le sopracciglia in una smorfia scettica.

- Tu? – mi accertai perplesso – Ma non hai le tette! – puntualizzai contrariato.

- Dio santo, Luca! – sbottò l'avvocato esasperato – Ho detto fingi! Non dobbiamo mica scopare! -

Deglutii una quantità copiosa di saliva e mi passai una mano sulla fronte per asciugare il sudore riversatosi sulla fronte.

- D'accordo...- convenni un po' intimorito.

- Su forza, proviamoci! – m'incitò Marco, sghignazzando, dopodiché si schiarì la voce ed entrò nella parte – Cosa volevi dirmi, amore? – domandò Ferraro sensuale, scimmiottando la voce squillante di Flaminia.

Mi portai una mano in fronte, incredulo, ed accennai un sorriso sghembo.

- No Ferrà, se fai così finisce che mi eccito! – ammiccai, ridacchiando.

- Luca sto per attaccare. – minacciò l'avvocato spazientito – Muoviti. - mi ordinò irremovibile.

- Ok. – inspirai avaro l'aria, poi presi coraggio e parlai – Cara Flaminia... - iniziai, ma venni immediatamente interrotto.

- Luca, per la miseria, non siamo mica nell'Ottocento! Ci manca solo che le dai del lei! – commentò Ferraro contrariato.

- Ok, ok, ci riprovo! – dissi, mettendo le mani avanti, dopodiché, stanco, tentai di nuovo – Flaminia. - esordii, con tono solenne.

- Dimmi. – rispose Ferraro, nelle vesti della mia fidanzata.

Mi morsi il labbro inferiore per non ridere e soffocai un rantolo divertito con un colpo di tosse.

- Non so come sia potuto succedere, ma mi sono ammalato di una brutta malattia. – continuai, portando una mano sul cuore.

- Luca...- mi richiamò Ferraro, ma io lo ignorai.

- Qualcosa di oscuro si è impadronito del mio corpo. Un male atroce da quale credevo di essere immune, mi ha sopraffatto...- mi presi una pausa per sospirare teatralmente.

- Luca, non credo che...- tentò ancora di bloccarmi Marco, ma non ci fu verso.

- ...ed io ci ho provato, credimi! Ho provato a resistere alla sua forza, ma non ce l'ho fatta e seppur con valore, sono caduto. –conclusi melodrammatico, col petto gonfio e lo sguardo fiero.

Un ringhio frustrato giunse alle mie orecchie, interrompendomi.

- E che cazzo, Luca! Ti sei innamorato, non sei mica andato in guerra! – mi schernì Ferraro allibito – La fai sembrare una tragedia! –

- Non ce la faccio, Ferrà! Sto tremando! –confessai avvilito, accasciandomi sul divano.

- Luca, calmati! – m'intimò Marco serio – Punta alla semplicità! La guardi negli occhi e le dici: Flaminia io ti-...- ma non terminò la frase, poiché il suono del campanello lo anticipò, riecheggiando nell'appartamento.

- Oh dio! – ululai nel panico – E' arrivata! – esclamai terrorizzato.

- E' arrivata?! – si accertò Ferraro.

- Oh dio, Ferrà, vienimi a prendere! – mi lagnai, portandomi una mano nei capelli.

- Luca, non fare l'idiota! Forza, vai ad aprire! – mi ammonì l'avvocato.

- No, io scappo dal balcone. – minacciai, camminando a passo svelto.

- Luca...- mi richiamò Marco cauto - ...fermati un attimo e fai un respiro profondo. –

Feci come mi era stato detto e dopo aver ripreso un po' di lucidità, il battito ed il torpore agli arti sembrarono tornare normali.

- Ok, sto meglio adesso. – lo rassicurai, dopo aver inspirato profondamente.

- Bene. – disse Marco – Beh, amico, in bocca al lupo, allora! –

E quell'augurio aveva un sapore amaro di condanna ed il suono della telefonata terminata, d'irrevocabilità della stessa.

- Ok...- sussurrai tra me e me, mentre mi davo una sistemata allo specchio – Ce la possiamo fare! - mi feci forza con il mio riflesso e dopo aver rilasciato un sonoro sospiro, mi sistemai i capelli stravolti ed andai ad aprire.

Afferrai la maniglia, deglutendo vistosamente e quando aprii la porta, il cuore cessò il suo battito, anche se non mi era ben chiaro se fosse a causa della magnifica creatura che avevo davanti, oppure se fosse a causa di un attacco di panico opprimente.

- Ciao. – mormorò Flaminia con un adorabile rossore sulle guance.

Dischiusi le labbra e la fissai inebetito; il profumo della sua pelle pizzicò le mie narici, mentre gli occhi venivano catturati da quel corpo avvolto da un tubino blu elettrico con lo scollo a cuore, che metteva in risalto i suoi abbondanti seni. La salivazione cominciò ad aumentare e trattenni il respiro quando lo sguardo cominciò a posarsi sul resto del corpo.

- S-sei bellissima...- balbettai ammaliato, incapace di entrare nel pieno possesso delle mie facoltà mentali.

- Non mi fai entrare? - chiese divertita, ancora sulla soglia di casa.

Sobbalzai di scatto e con movimenti affrettati mi feci da parte, pervaso da un singolare imbarazzo.

- Scusami... - le dissi, grattandomi la nuca a disagio.

Flaminia sorrise, stranita, ed inarcò un sopracciglio sospettosa.

- Stai bene? – chiese con apprensione.

- Una favola! – ironizzai, sforzando un sorriso.

La ragazza non sembrò crederci troppo, ma si lasciò guidare dalla mia mano che si poggiava sulla sua schiena per condurla verso la spiaggia. E quando il mio operato entrò nel nostro campo visivo, quando le luci di Napoli, della luna e delle candele si specchiarono negli occhi marroni di Flaminia, ella non poté che spalancarli per lo sconcerto.

- Oh cavolo...- sussurrò incredula.

Sorrisi, stavolta sincero, e soddisfatto, cercai il suo sguardo.

- Ti piace? – le chiesi speranzoso, sfiorandole uno strato di pelle lasciato scoperto dal vestito.

Flaminia rabbrividì sotto i miei polpastrelli, mentre il viso si apriva in un sorriso felice che mi riempì il cuore di un nuovo calore. Bastò la consapevolezza di essere stato la causa del suo sorriso a far scoppiare il mio cuore di gioia.

- E' davvero magnifico. – mormorò ammaliata la ragazza, con gli occhi lucidi – Non posso credere che tu abbia fatto tutto questo per me! – confessò stupita, dopodiché inarcò un sopracciglio e mi lanciò un'occhiata di sottecchi – Dov'è il trucco? – mi studiò scettica.

Spalancai la bocca e la guardai con indignazione.

- Ma non puoi semplicemente apprezzare, senza farmi il processo alle intenzioni? – la rimbeccai stizzito, raddrizzando le spalle.

La mora rise divertita e guardandomi con amorevolezza, si avvicinò e mi posò un casto bacio sulle labbra, ammorbidendomi.

- Vieni. – le sussurrai sulle labbra, per poi afferrarle la mano ed aiutarla a prendere posto al tavolo imbandito.

Quando ci sistemammo, fu come se poggiando il sedere sulla sedia, tutta l'ansia e l'incombenza di quello che mi ero prefissato di fare si abbattessero su di me. Quel briciolo di tranquillità acquisito era andato a farsi benedire nel momento esatto in cui la ragazza accavallò le gambe dinanzi a me, per poi raddrizzare la schiena.

La gola tornò a seccarsi ed una patina di sudore si formò nuovamente sulla mia fronte. Mi versai un generoso bicchiere d'acqua e mentre Flaminia mi sorrideva felice, io ricambiavo con una smorfia tirata.

Non fu certo una cena da ricordare, quella. Flaminia parlava e mi rendeva partecipe della sua giornata, mentre la mia mente era da tutt'altra parte e la sua voce arrivava alle mie orecchie ovattata. Mi passai più volte la mano sul collo e con gesti meccanici annuivo con il capo, dispensando talvolta qualche sorriso di circostanza, giusto per non farle capire che non avessi sentito nemmeno una parola di quello che aveva detto.

Girai svogliato la forchetta nel piatto, inappetente, e quando feci per portarmi il pasto alla bocca, finii per desistere ed assecondare le proteste del mio stomaco chiuso e torturato dall'ansia opprimente.

- Luca, tu che ne pensi? – m'interpellò Flaminia curiosa.

- Hai ragione tu. – l'assecondai, senza guardarla nemmeno.

La ragazza aggrottò la fronte confusa.

- Su cosa? - chiese perplessa.

Alzai il capo e la guardai negli occhi con aria innocente.

- Su quello che hai detto. – insistetti, con fare sicuro.

Fu in quel momento che capii di aver firmato la mia condanna. La ragazza socchiuse gli occhi e dopo un'attenta analisi, storse il labbro indignata ed incrociò le braccia al petto.

- Si può sapere che diavolo ti prende?! – sbottò lei stizzita – E' tutta la sera che non dici una parola e non hai ascoltato nulla di quello che ti ho detto! – mi accusò sprezzante – Sei sicuro di stare bene? –

Mi passai una mano in faccia e presi una sorsata di vino, sperando che un po' di coraggio liquido favorisse la mia causa.

- Non tanto. – risposi sincero, massaggiandomi le tempie.

Flaminia mi osservò perplessa e quando la pressione si fece intollerabile, mi versai un calice intero di vino e lo ingurgitai tutto d'un fiato, sotto gli occhi allibiti della mia donna.

- Luca mi sto seriamente preoccupando. – confessò sconvolta – Dimmi che ti prende. – mi pregò apprensiva.

Poggiai con violenza il calice vuoto sul tavolo e scossi il capo più volte per riprendermi.

- Devo parlarti. – sputai tutto d'un fiato.

La ragazza mi guardò spaesata, ma di fronte ai miei tratti tesi, alla smorfia affranta ed al corpo rigido come un pezzo di ghiaccio, ella trasse le sue conclusioni ed un lampo di dolore le attraversò gli occhi.

- Oh no. – mormorò preoccupata.

Aggrottai la fronte confuso e finalmente la guardai in faccia.

- Cos-...-

- Non ci posso credere! Tu mi vuoi lasciare! – esclamò risentita, alzando la voce.

- Che cosa?! - sbottai sconcertato – No aspetta, hai fraint-....- ma Flaminia ormai era partita per la tangente.

Si alzò in piedi, con gli occhi lucidi e quasi ricolmi di lacrime, e sbatté con violenza i palmi sul tavolo, facendomi sobbalzare sul posto.

- Credevo fossi cambiato e che finalmente avessi deciso di prendere sul serio questa relazione, invece mi hai semplicemente presa in giro! – urlò furiosa, col viso rosso per la rabbia.

- Flaminia...- la richiamai cauto, mettendo le mani avanti -...guarda, che ti stai sbagliando! - azzardai, intimorito.

- NON DIRMI CHE STO SBAGLIANDO! – gridò isterica, con le guance rigate dalle lacrime – Io lo sapevo che non eri quello giusto per me, lo sapevo che mi avresti fatto soffrire! Sei uno stronzo e magari mi hai anche tradito! – piagnucolò, coprendosi il volto con le mani.

Sgranai gli occhi e guardai allibito la scena che mi si era appena palesata davanti: la mia fidanzata singhiozzava e mi rifilava occhiate di puro odio, proprio quando mi ero deciso a dirle che l'amavo.

- Non sta succedendo veramente...- borbottai tra me e me, portandomi una mano sulla fronte, affranto.

- E poi tutto questo ambaradan per dirmi che è finita?! Te lo puoi scordare! - tuonò lei risoluta, digrignando i denti – Sai che ti dico?! Non sarai tu a mollarmi. Sono io che dico basta! – sentenziò decisa.

Fu in quel momento che la rabbia, la frustrazione e l'ansia confluirono nelle mie vene, amalgamandosi in un miscuglio micidiale che mi fece perdere definitivamente le staffe. Mi alzai in piedi e con uno sguardo freddo come il ghiaccio, sbattei i palmi e mi avvicinai al suo viso.

- MA PORCA PUTTANA, MI FAI PARLARE?! – sbraitai, furioso.

Flaminia sussultò, ma con gli occhi gonfi e ricolmi di disprezzo, non accennò a desistere. Continuò a fronteggiarmi, sebbene le mie iridi marroni fossero infuocate da una rabbia che poche volte nella vita ero stato in grado di provare.

- Siediti. – le ordinai, fulminandola con lo sguardo.

- No. – sibilò lei risoluta.

Alzai gli occhi al cielo esasperato ed emisi un lamento isterico.

- Ho detto: siediti. – ribadii, stavolta irremovibile.

La ragazza tremò impercettibilmente, ma senza perdere quell'aria di sfida, finalmente fece come le avevo detto.

Inspirai avaramente l'aria, ignorando i più bassi istinti che mi spronavano a sputarle addosso tutta la mia delusione derivante dalla mancanza di fiducia nei miei confronti, e con l'espressione dura, la fissai con disapprovazione.

- Non ti voglio lasciare. – calcai deciso, sperando che le arrivasse forte e chiaro.

Flaminia mi guardò con diffidenza, ma fortunatamente non disse una parola.

- Ho fatto tutto questo per dirti l'esatto opposto. – spiegai, con tono inquisitorio.

La mora non sembrò capire subito; la sua espressione si fece confusa e lo sguardo pensieroso, ma bastò poco prima che un lampo di consapevolezza attraversasse il marrone dei suoi occhi.

Flaminia fu travolta dalle mie parole, come se avesse ricevuto una doccia ghiacciata: i bulbi oculari si spalancarono per lo sconcerto, il viso si tinse di un rosso porpora e le spalle si rannicchiarono, come a manifestare il desiderio di scomparire.

- Oh. – si limitò a dire lei.

Feci una smorfia irritata ed incrociai le braccia al petto.

- Ti sei calmata adesso? - mi accertai, sospirando.

Ma la ragazza era ancora in trance, troppo scioccata dal significato celato dietro le mie semplici parole e quando finalmente realizzò, un ampio sorriso si aprì sul suo volto e le iridi s'illuminarono di gioia.

- Oooh. – mormorò eccitata, dopodiché si alzò e mi venne incontro, mentre io mi accasciavo stremato sulla sedia.

Si sedette sulle mie gambe e mi cinse il collo con le braccia, mentre un adorabile musino si avvicinava al mio. Come facevo ad avercela con quell'adorabile musino?

- Mi dispiace, mi dispiace tanto. – piagnucolò, sfiorandomi il naso.

Sospirai stanco e le accarezzai svogliatamente la schiena con le dita.

- Non ti fidi di me. – la rimproverai, offeso.

- No, tesoro, non è che non mi fido di te. – spiegò lei rammaricata – E' che con te mi sento appesa ad un filo. Non so bene quello che provi e tu di relazioni non ne hai mai voluto sapere! Io ho paura! – mormorò sincera, guardandomi con i suoi occhi da cerbiatta.

Sorrisi intenerito e le posai un casto bacio sulle labbra.

- Non devi più preoccuparti, bambolina! – la rassicurai, accarezzandole una guancia - Quello che provo quando sto con te non è spiegabile. E' un qualcosa di cui ignoravo l'esistenza ed è destabilizzante. Tu sei destabilizzante. Guarda! Ho anche organizzato una cena stile film romantico per zitelle per te! – esclamai incredulo, indicando con il capo quello che ci circondava.

Flaminia si morse il labbro inferiore per nascondere una risatina e mi fissò con trepidazione, mentre io scuotevo il capo e sospiravo sconfitto.

- Chissà come diavolo hai fatto a far cascare anche me. – mormorai incredulo.

- Che cosa avrei fatto? – sussurrò Flaminia impaziente.

- Hai fatto ammalare d'amore anche a chi era vaccinato. – risposi sincero, scrollando le spalle.

La mora trattenne il respiro e quando tutto intorno a noi sembrava gridare che fosse arrivato il momento giusto, quando le forze della natura si coalizzarono per rendere quell'attimo perfetto, dischiusi le labbra e provai ad aprire il mio cuore.

- Flaminia, io...-

Gli occhi della mora si fecero più grandi e brillanti ed il battito del suo cuore era così assordante, da sovrastare il rumore del mare.

- io...- tentennai, sentendo mancare l'aria.

- Tu? – m'incitò la ragazza trepidante.

- Mi passi un po' di coraggio liquido, per piacere? – le chiesi, con voce strozzata.

Flaminia mi riempì il bicchiere di vino e con gli occhi lucidi, me lo passò. Lo ingurgitai in un solo sorso e mi presi un attimo per riprendermi.

- Sai, forse una palpatina ad una tetta potrebbe aiutarmi...- ammiccai, facendole l'occhiolino.

La ragazza scoppiò a ridere e mi mollò un buffetto dietro la nuca.

- Coraggio, Luca, ce la puoi fare! – mi spronò, mordendosi il labbro divertita.

- D'accordo. – inspirai profondamente e gonfiai il petto – Flami io-...- chiusi gli occhi e mi presi ancora un attimo per trovare coraggio.

- Ti amo. –

Li riaprii, sconcertato, perché quelle due parole non erano uscite dalla mia bocca. Cercai il suo sguardo con incredulità, mentre Flaminia sorrideva, con le iridi ricolme di una nuova gioia e le guance rosse per l'imbarazzo.

Ci misi un po' a realizzare. Era tutto nuovo per me e quando mi soffermai sulle sensazioni che stavo provando, di una cosa fui certo: mi piacevano. E finii per sorridere come un ebete, quando sentii il mio cuore pompare con più velocità il sangue.

- Non è giusto, mi hai tolto il primato! Avevo fatto tutta questa preparazione! – mi ribellai, fingendomi offeso, dopodiché l'afferrai per i fianchi e la feci aderire al mio petto - E comunque, bambolina, anche io ti amo! –

La mora si sciolse sotto le mie mani. Si fiondò sulle mie labbra, vorace, e travolta dai più bassi istinti, iniziò a strofinare il mio bacino sopra il mio, eccitandomi. Il bacio si fece sempre più appassionato e le lingue si fondevano instancabili, mentre le sue dita s'infilavano nei miei capelli per tirarli.

Flaminia ansimò sulla mia bocca, quando la mia eccitazione si scontrò con la sua intimità e si staccò da me per guardarmi con le iridi ricolme di lussuria. Con gli occhi fissi nei miei, sorrise maliziosa e si allontanò dal mio bacino per alzarsi in piedi.

La scrutai con sospetto, ma quando la vidi inginocchiarsi davanti a me, per poco la saliva non mi andava di traverso.

- Bambolina...- la richiamai, con gli occhi liquidi di eccitazione.

La mora non mi rispose; si limitò a mordersi il labbro e con le dita armeggiò con la patta dei miei pantaloni. Con un gesto secco li abbassò, insieme ai miei boxer, mentre io pendevo dai suoi gesti come un burattino, incapace di formulare qualunque pensiero. Solo l'idea che qualche condomino avesse potuto vederci mi fece riacquisire un briciolo di lucidità.

- Bambolina, perché non andiamo in camera? – le proposi, sorridendo ammiccante.

- No. – sentenziò decisa, prima di avvicinare il viso alla mia scalpitante erezione.

- D'accordo, ci ho provato. – mi arresi - Oh porca miseria! - ringhiai, quando l'accolse nella sua bocca, per poi abbandonarmi completamente alle sue labbra e alla sua lingua.

Flaminia si prese cura di me con meticolosità e dolcezza, succhiando ed assaporando la mia essenza più intima con maestria, stordendomi. E il resto fu solo gemiti, imprecazioni ed un piacere che mano a mano divampava sempre di più, avvicinandosi all'esplosione, e quando le infilai le dita nei capelli per accarezzarla, Flaminia alzò lo sguardo ed inchiodò le mie iridi con i suoi occhi da cerbiatta. Ed io a quel punto scoppiai, perché mai mi era capitato di vedere tanto amore in quel gesto. Ed il mio corpo ed il mio cuore non poterono reggere.

Chiusi gli occhi, cercando di ritrovare il respiro e quando ne aprii uno e vidi quello scricciolo coprirsi il volto con i capelli a causa dell'imbarazzo, mi morsi il labbro inferiore per non scoppiare a ridere.

- Bambolina, se avessi saputo che per un ti amo mi avresti fatto un pompino, te lo avrei detto prima! – la provocai divertito.

Come previsto, Flaminia divenne paonazza e con il viso imbronciato, si alzò in piedi e provò ad andarsene. L'afferrai per un braccio e la racchiusi in un vigoroso abbraccio. La ragazza provò a svincolarsi, ma quando le posai un bacio sulla cute, si acquietò.

- Rovini sempre tutto. – si lagnò imbronciata.

- Che ci vuoi fare, ho un debole per te che arrossisci! - le sussurrai all'orecchio malizioso.

- Sei un idiota. –

- Ma mi ami per questo. – la incalzai soddisfatto.

- Anche tu mi ami per questo. – ribatté lei sorridente.

- Forse non è chiaro: io ti amo soprattutto per questo! – soffiai sulle sue labbra.

Flaminia mi posò un bacio sulla guancia e si avvicinò al mio orecchio.

- Sai, detto da te suona proprio bene. – confessò, mordicchiandomi il lobo.

Ridacchiai divertito e le cullai tra le mie braccia, mentre Flaminia si gustava la vista magnifica del mare.

- Luca? – mormorò sul mio petto.

- Mh? –

- Secondo te Marco ama Alessandra? – chiese pensierosa.

- Io sono convinto di questo. – le risposi sicuro – Ma non dirlo ad Alessandra, non vorrei che riponesse altre speranze. – le spiegai rammaricato.

Flaminia si voltò a guardarmi e mi scrutò con attenzione.

- Come fai ad esserne così sicuro? – domandò confusa.

Sospirai sonoramente.

- Perché Alessandra è l'unica che gli fa perdere la ragione. – risposi deciso, abbozzando un sorriso.

Lo sguardo della ragazza si fece triste e sapevo quanto stesse soffrendo a causa di quella situazione: vedere il sorriso della tua più cara amica scomparire a causa di un uomo che si rifiutava di accettare la realtà era dura da digerire.

Ma poi avvenne qualcosa. Un lampo di genio mi si palesò davanti ed un sorriso malandrino fece capolino sul mio viso.

- Bambolina, ho avuto un'idea! – l'avvertii eccitato.

Flaminia aggrottò la fronte e si mise in attesa. Le illustrai tutto quello che avevo in mente e la ragazza fu prima scettica, poi titubante ed infine acconsentì.

- Gli diamo solo una spinta. – la rassicurai deciso.

- Ci uccideranno Luca! – mi mise in guardia Flaminia, trattenendo un sorriso.

- Vorrà dire che in nome dell'amore, moriremo da eroi. – sentenziai solenne, portandomi ironicamente una mano sul cuore.

Flaminia scoppiò a ridere e mi lanciò un'occhiata sorpresa.

- Quando sei diventato così poetico? – chiese perplessa.

Agguantai le sue iridi marroni e la fissai con intensità, mentre la mia schiera di denti bianchi minacciava di uscire allo scoperto.

- Da quando mi sono innamorato. – risposi, sorridendole amorevolmente, facendo sciogliere il cuore della mia fidanzata.

Pov Alessandra

Inarcai la schiena e spinsi il bacino verso Matteo che affondava dentro di me, liberando gemiti strozzati. I nostri corpi infuocati si scontravano e strofinavano le loro consistenze, per mischiare il calore divampante che bruciava le pelli, insieme alle nostre essenze più intime.

Le mie unghie si conficcarono nella carne della sua schiena, marchiando il ragazzo delle tracce della nostra unione, mentre abbandonavo il capo all'indietro per lasciarmi andare all'esplosione di piacere che mi travolse a causa delle ultime spinte.

Il ricciolino abbozzò un sorriso lussurioso e vedendo i lineamenti del mio viso deformarsi a causa della potenza dell'orgasmo, continuò ad infierire dentro di me con foga, osservandomi con quelle iridi ricolme di desiderio.

Fui travolta da spasmi incontrollabili, e mentre io addentavo il labbro inferiore per contenere le grida, Matteo non resistette più e rilasciando un ringhio sonoro, si accasciò sul mio corpo e mi seguì, riversandosi dentro di me.

Rimanemmo svariati secondi in quella posizione: nudi, uniti ed abbracciati, io e Matteo cercammo di riprendere un contegno, mentre i respiri corti s'infrangevano sulla pelle accaldata e le nostre gabbie toraciche si gonfiavano e sgonfiavano freneticamente, scontrandosi.

Il ricciolino emise un mugolio soddisfatto, e percorrendo la mia guancia con il naso, giunse al mio orecchio e sorrise.

- Potrei abituarmi a tutto questo, sai...- mormorò il ragazzo con voce ancora arrochita.

Ridacchiai divertita e lo guardai con le sopracciglia sollevate.

- Sono quasi due mesi che ci frequentiamo ed andiamo a letto insieme, credevo ti fossi già abituato! – lo rimbeccai, ghignando maliziosa.

Matteo si morse il labbro e nascose un sorriso, dopodiché mi lanciò uno sguardo ambiguo ed incatenò le mie iridi verdi confuse.

- Intendevo che potrei abituarmi a tal punto, da non riuscire più a farne a meno. - disse lui, serio, con una semplicità che però contrastava con la tensione dei suoi tratti.

Io però rabbrividii. Improvvisamente sentii il sangue gelare nelle vene ed ogni parola rimbombò alle mie orecchie, giungendo forte e chiara al mio cervello, stordendolo.

Quella semplice frase celava un mondo dietro: un mondo fatto di impegni, promesse da mantenere ed un cuore da dare che si rifiutava di muoversi da dove era. Esso si era radicato lì, nella mia gabbia toracica, e dopo lo sconforto in cui era caduto quando finì tra le mani dell'uomo che lo aveva schiamazzato senza pietà, esso era tornato da me, distrutto e ricolmo di cicatrici. E lì voleva rimanere.

Non lo sfiorava neanche l'idea di donarsi ad un altro, aveva perso fiducia nelle mani altrui. Si era ridotto in talmente tanti pezzi, che quando a poco a poco era riuscito a ricucirsi, esso si era ripromesso di non fare più lo stesso errore, conscio di una sola verità: un altro colpo non lo avrebbe retto.

Il mio era un cuore orgoglioso; si credeva forte, coraggioso ed anche quando aveva temuto di scoppiare, era fiero di essere riuscito sempre a cavarsela. E non poté accettare di essere stato ridotto in brandelli, ma soprattutto, non poté accettare di essere tornato a battere più fragile. E da quel momento aveva deciso di proteggersi.

Guardai gli occhi celesti del ragazzo ed improvvisamente mi sentii soffocare, mentre l'ansia iniziava ad attanagliarmi lo stomaco.

- Matte...- lo richiamai io in un sussurro.

Il ragazzo comprese subito i miei timori e sciogliendo l'incastro dei nostri corpi, si accasciò affianco a me e da dietro mi racchiuse in un caloroso abbraccio.

- Ale, non ti ho chiesto di essere la mia ragazza, ti ho semplicemente detto che inizio a tenerci sempre di più a te. – mi rassicurò, posandomi un bacio tra i capelli. – E' solo che...- si fermò incerto -...solo che non so fino a che punto posso controllare tutto questo. – ammise con voce debole.

Chiusi gli occhi e mi strinsi più a lui, mentre la verità e la fondatezza dei suoi turbamenti mi inondavano di una profonda tristezza.

- Io non sono pronta. – confessai sconfortata.

Matteo sospirò rumorosamente ed accentuò la presa sul mio corpo, racchiudendomi in una morsa più accentuata.

- Se ti può consolare, non sono troppo sicuro di esserlo anche io. – mormorò a pochi centimetri dalla mia clavicola, facendo un sorriso rassicurante - So solo che con te addosso sto bene. – confessò, posandomi un bacio sulla spalla.

In quel momento sentii altro opprimere il mio stomaco. Era una gioia sporcata dall'amarezza e dal senso di colpa ed in quel momento mi resi conto che non potevo più attendere, che il tempo delle verità, per quanto prorogato al massimo, non poteva più aspettare.

Deglutii una quantità copiosa di saliva e con titubanza, mi voltai verso di lui per guardarlo negli occhi con estrema serietà. Osservai ogni tratto del bel ragazzo e mi sfuggì un sorriso amaro nel contemplare il viso perfetto di colui che si era premurato di darmi un briciolo di felicità negli ultimi tempi.

Anche io tenevo tanto a lui, ma a differenza sua, non riuscivo a contemplare l'ipotesi di darci una possibilità. Non serviva e comunque, non avrebbe potuto funzionare.

Accarezzai con delicatezza il volto del ricciolino e con gli occhi fissi nelle sue iridi celesti, tracciai una scia con l'indice sulla sua guancia, giungendo poi alle sue labbra dischiuse. Il suo respiro regolare s'infranse sul mio polpastrello e gli occhi azzurri di Matteo mi scrutarono dubbiosi.

- Matte, ti devo dire una cosa. – esordii incerta, deglutendo una copiosa quantità di saliva.

Il ricciolino socchiuse gli occhi sospettoso e dopo aver analizzato ogni sfaccettatura della mia espressione, si raddrizzò e si mise in guardia.

- Perché ho la sensazione che quello che stai per dirmi non mi piacerà affatto? – mi rimbeccò lui preoccupato.

Sospirai stanca.

- Perché infatti non piace troppo neanche a me. – confessai con la voce incrinata, mentre un masso si poggiava sullo stomaco.

                                                        ***

Il sole picchiava pesantemente sulla mia pelle, mentre attendevo sotto il mio palazzo spazientita e con la mano fissa sul manico della valigia.

Il calore estivo prosciugava la mia gola e la pelle, già un po' colorita grazie a qualche giorno di mare sfruttato dopo l'esame di procedura penale, chiedeva pietà affinché sostassi in una zona più ombrata.

Mi accesi una sigaretta e diedi un'occhiata al mio orologio da polso, constatando con disappunto che di Flaminia e Luca non vi fosse alcuna traccia, nonostante fossi scesa con dieci minuti di ritardo.

Avevamo deciso, o meglio, ero stata costretta dalla mia amica, che con astuzia e sfiancante vittimismo aveva fatto leva sul mio senso di colpa, affinché trascorressimo qualche giorno nel Cilento, nella casa al mare del commercialista.

Sapevo che ci sarebbe stato anche Ferraro. In quegli ultimi mesi io e Marco ci eravamo impegnati affinché i rapporti venissero ridotti al minimo indispensabile: ci incontravamo solamente quella volta ogni due settimane nel suo studio per discutere della tesi e per il resto ci evitavamo come la peste.

E a dirla tutta, mi stava bene così, perché finalmente stavo riuscendo ad abituarmi alla sua assenza.

Non potevo però immaginare che a prendermi, quella mattina, non era un auto grigia metallizzata, ma un fin troppo conosciuto Suv nero.

Spalancai la bocca per lo sconcerto ed il mio corpo s'irrigidì alla vista del bell'avvocato, che con una mano che impugnava il volante ed il gomito poggiato sul finestrino completamente aperto, parcheggiava sotto il mio palazzo.

Ferraro si sfilò gli occhiali da sole e quando posò gli occhi sulla mia figura ed incrociò il mio sguardo confuso, lo vidi sbiancare di colpo. La sua espressione rilassata scomparve all'istante, mentre le iridi attente di Marco sondavano con meticolosità l'ambiente circostante. Ed io pensai, che a giudicare dalla sua reazione, neanche lui era a conoscenza del fatto che avrebbe dovuto trascorrere il viaggio con me.

Scese dall'auto e quando mi si parò davanti, alternò lo sguardo tra me e la mia valigia e mi guardò interrogativo.

- Flaminia dove sta? – chiese lui, fissandomi con distacco.

Il tono e l'atteggiamento dell'avvocato mi insinuarono un moto di fastidio e sollevando il capo con fare altezzoso, feci una smorfia irritata.

- Ciao, eh? – sbottai stizzita, incrociando le braccia al petto.

Ferraro inarcò un sopracciglio e mi osservò con perplessità.

- Ciao. – disse atono, dopodiché sbuffò spazientito e puntellò le mani sui fianchi – Allora, mi dici dove è Flaminia? –

- A questo punto credo che sia con Luca, visto che in realtà aspettavo loro. – risposi scontrosa, storcendo il labbro con disappunto.

L'avvocato rimase un attimo in silenzio, pensieroso, ma con lo sguardo puntato sulla sottoscritta, e dopo aver addentato il suo labbro inferiore, afferrò il cellulare dalla tasca e compose un numero.

Rimasi imbambolata a fissare la bellezza strabiliante di Marco, che con indosso un pantalone chiaro ed una camicia azzurra, continuava a torturarsi quella porzione di bocca, catturando completamente la mia attenzione.

Sentii il cuore martellarmi nel petto, le pupille dilatarsi per il piacere che quella visuale mi causava e la salivazione aumentare a dismisura, ma dopo poco distolsi lo sguardo. Conoscevo benissimo quei sintomi ed io avevo una promessa da mantenere con me stessa.

Concentrai la mia attenzione su altro, per poter allontanare l'ascendente che l'avvocato continuava ad avere sul mio corpo e sul mio cuore e che inevitabilmente faceva sì che io tremassi con un solo sguardo.

- Dannazione! – lo sentii imprecare.

Mi voltai di scatto e vidi l'assistente chiudere la telefonata con una smorfia di disappunto.

- Che succede? – chiesi io preoccupata.

- Luca e Flaminia ci raggiungono dopo. – rispose lui lapidario - Luca aveva ancora delle cose da ultimare a lavoro. E' fine luglio. –

- E noi che facciamo, intanto? – domandai perplessa.

Ferraro afferrò la valigia e mi guardò con serietà.

- Ci avviamo. –

Trasalii di colpo e lo guardai con la stessa espressione intelligente di chi sperava di aver capito male.

- Io e te? – mi accertai con voce strozzata.

Ferraro inarcò un sopracciglio scettico.

- No, io e la tua valigia. – rispose lui sarcastico, dopodiché si voltò e si avviò verso l'auto per caricare il mio bagaglio, sotto il mio sguardo attonito.

L'assistente sistemò tutto e quando tornò a girarsi per verificare cosa stessi facendo, mi trovò immobile al mio posto, pietrificata.

- Ti muovi o no? – mi redarguì Marco spazientito.

- No. – mormorai, guardandolo con timore.

Marco alzò gli occhi al cielo e fece dei passi nella mia direzione.

- Alessandra, mi rendo conto che non ti faccia piacere, ma sono solo due ore di macchina. – mi riprese l'assistente, mostrando anche lui il suo poco entusiasmo, dopodiché fece un sorriso malizioso ed ammiccò verso di me – Non ti mangio mica. – mi provocò, sfidandomi con lo sguardo.

Sollevai entrambe le sopracciglia e facendo un sorriso da smorfiosa, mi avviai verso l'auto, ignorando completamente le sue provocazioni ed il ghigno sadico stampato sul suo volto.

Salii in auto e guardandolo attentamente negli occhi con aria di sfida, accavallai le gambe e sbattei con violenza la portiera, osservando compiaciuta l'avvocato sbiancare, alla vista di tanta noncuranza adoperata nei confronti della sua adorata Bmw.

- ALESSANDRA! – sbraitò Ferraro furente, mentre stizzito veniva verso la macchina.

Ridacchiai divertita.

Tanto erano solo due ore, no?

Gran parte del viaggio fu trascorsa nel completo silenzio. Lo sguardo di Ferraro era puntato sulla strada, mentre il mio era fisso fuori al finestrino.

Sentivo un grande peso opprimermi il petto e non potevo negare che la piega che quella situazione stava prendendo, mi stesse mettendo a profondo disagio, specie se c'era quell'inquietante quiete capace di caricare l'aria di una profonda tensione.

L'avvocato ebbe il buon senso di accendere la radio e di coprire così il frastuono dei nostri pensieri e del battito del mio cuore, ma presto si ritrovò ad abbassare il volume, quando lo squillo incessante del suo cellulare rimbombò nell'abitacolo.

- Laura...-

Chiusi gli occhi ed ignorai profondamente quella fitta nello stomaco che pungeva come aghi appuntiti conficcati nella carne.

- Sì, sono con Luca e Flaminia. – mentì l'assistente, visibilmente a disagio.

Trasalii sul posto e mi voltai di scatto a guardarlo.

- Si, stai tranquilla, non devi preoccuparti! - la rassicurò lui – Salutami tua sorella. – e nel dire questo attaccò.

Ferraro fece finta di niente e con noncuranza, rialzò di poco il volume e tornò a concentrarsi sulla strada, mentre io lo continuavo a guardare allibita. L'avvocato, nel sentire la pressione del mio sguardo addosso, si girò per lanciarmi un'occhiata di sottecchi e si ritrovò ad incrociare le mie iridi verdi illuminate da un misto di divertimento e confusione.

- Che c'è? – chiese lui sulla difensiva.

- Le hai mentito? – gli feci notare, sollevando le sopracciglia.

Marco s'irrigidì, in palese imbarazzo, mentre un singolare, e a mio avviso grazioso, rossore invadeva le sue guance.

- E secondo te cosa avrei dovuto dirle? Che sono in macchina con la mia ex? – ribatté lui piccato, mentre si passava nervoso una mano nei capelli.

- Ma è la verità. – rincarai io ovvia, sorridendo trionfante.

L'assistente storse il labbro stizzito e mi rifilò un'occhiataccia.

- Tu lo hai detto al tuo fidanzato? – m'incalzò Ferraro con tono canzonatorio.

Raddrizzai il busto e mi passai la lingua sulle labbra, mentre gonfiavo il petto con fierezza, già pregustante della vittoria in quella piccola battaglia verbale.

- Io non ho un fidanzato, quindi non ho mentito a nessuno. – risposi soddisfatta.

Ferraro, da che teneva lo sguardo puntato avanti, si girò di scatto e mi lanciò un'occhiata esterrefatta.

- Sono piuttosto sicuro di averti vista pomiciare con il mio tesista di recente. – puntualizzò l'assistente diffidente.

Non riuscii a trattenere una risatina e ad essere onesta, anche il mio ego finì per compiacersi all'idea di suscitare sempre un minimo di interesse nella sua persona.

- Ci frequentavamo, ma non eravamo fidanzati. – spiegai tranquilla.

- Mi sembravate anche piuttosto intimi. – insistette l'avvocato, con una lieve punta di fastidio.

Sorrisi maliziosa.

- Ci spiavi, per caso? – lo provocai, ghignando.

- Per carità! – sbottò lui, con la faccia di chi avesse sentito un'assurdità – Puoi chiamare pura fatalità il fatto che vi trovassi sempre davanti ai piedi. – precisò Ferraro contrariato.

I tratti del suo viso si erano irrigiditi e la presa sul volante si era fatta più salda, e sebbene l'assistente si stesse impegnando parecchio per mostrarsi indifferente come al suo solito, la sua espressione lasciava trapelare un inequivocabile fastidio. Le mie labbra si distesero in un sorriso furbetto, mentre il mio orgoglio fremeva dalla voglia di prendersi qualche rivincita nei suoi confronti.

- Beh...- continuai tranquilla, lanciando occhiate di sottecchi all'uomo accanto a me - ...comunque non eravamo fidanzati. Facevamo sesso, sì, e devo ammettere che ci divertivamo anche parecchio ma, no-...-

- D'accordo, basta! Risparmiami i dettagli! – tuonò Ferraro, agitando animatamente il braccio destro per stopparmi.

Addentai con forza il mio labbro inferiore, ma non riuscii a trattenere una fragorosa risata e sebbene avessi voluto continuare a punzecchiarlo, Marco, visibilmente infastidito, si era chiuso in sé stesso e tornò ad ignorarmi per tutto il viaggio.

Mi rassegnai e posai nuovamente lo sguardo verso il paesaggio che scorreva inesorabile sotto i miei occhi, osservando man mano il sole calare e la sera appropriarsi della scena, mentre lasciavo che la mia mente svagasse tra la miriade di pensieri che da parecchio tempo la stavano affollando, sfinendola.

Mi sentii stringere lo stomaco in una forte morsa, quando permisi al mio cervello di addentrarsi nei ricordi che più mi avevano segnata, di cui molti avevano come protagonista l'uomo che mi era seduto di fianco. Eppure c'era un pensiero che più di tutti mi stava perseguitando e che non ne voleva sapere di darmi pace.

- Marco...- lo richiamai io assorta.

- Dimmi. –

Deglutii una quantità copiosa di saliva e lasciai che la mia bocca autoflagellasse la mia persona, consegnando la vittoria alla mia incessante curiosità, a discapito del mio istinto di autoconservazione.

- Perché Laura non è venuta? – domandai incerta, dandogli un'occhiata di sfuggita.

L'assistente non si voltò a guardarmi; con il viso apparentemente tranquillo e concentrato, scrollò le spalle e dischiuse le labbra per rispondermi.

- E' andata qualche giorno dalla sorella. – rispose con nonchalance – Vive a Roma e adesso è incinta. –

Annuii con il capo, pensierosa, e stringendomi nelle spalle, proseguii.

- E lei non sa che ci sono anche io, vero? - mi accertai, ma con una punta di amarezza.

Mi sentivo una ladra; per quanto non me ne fregasse niente di quella donna, l'idea che lui le mentisse e celasse dietro sporche menzogne la mia presenza mi faceva sentire inadeguata e complice di una squallida bugia.

- No. – confermò l'avvocato sincero – In realtà anche io l'ho saputo solo ieri, ma a detta di Luca, Flaminia era irremovibile ed esigeva la tua presenza. Anche se non capisco tutta questa insistenza, dato che convivete nella stessa casa e vi vedete ogni minuto della giornata! – esclamò lui perplesso.

Trasalii, impreparata. Sentii il disagio montarmi dentro e l'esigenza impellente di cambiare discorso farsi sempre più urgente.

- Ci vogliamo molto bene. – fu la mia sola risposta, mentre distoglievo lo sguardo.

L'avvocato non indagò oltre e seguiva attento le indicazioni del navigatore per raggiungere casa di Luca.

- E ti dispiace che ci sono anche io? – mormorai timorosa.

Marco si girò a guardarmi, sorpreso, mentre io lo fissavo a mia volta cercando di apparire tranquilla, quando in realtà avevo il magone in gola.

- Non mi sembra che a te faccia tanto piacere la mia presenza. – ribatté scontroso.

- Non è quello che ti ho chiesto. – insistetti, con durezza.

Ferraro rimase in silenzio e i nostri occhi non si abbandonarono nemmeno un istante, impegnati ad accusarsi a vicenda.

- Siamo arrivati. – e fu così che pose fine alla conversazione.

Non seppi dire quanto tempo aspettammo fuori quella villetta. Seppi solo che era ormai orario di cena e lo stomaco brontolava come un disperato, mentre di Luca e Flaminia ancora non vi era traccia.

L'aria si era rinfrescata rispetto alla calura estiva della mattina e trovandoci in una posizione più sopraelevata rispetto al livello del mare, il mio corpo coperto da un solo pantaloncino ed una camicetta sbracciata iniziò a scuotersi da lievi brividi.

Ferraro, intanto, camminava avanti ed indietro visibilmente nervoso, mentre controllava l'orologio con insistenza, sperando che i due ragazzi si palesassero al più presto prima di perdere definitivamente le staffe.

Mi strofinai con vigore la pelle delle braccia con le mani, sperando così di infondermi calore e all'assistente il mio gesto non passò inosservato. Si voltò di scatto e vedendomi rannicchiata sullo scalino, si avvicinò con apprensione.

- Hai freddo? – chiese premuroso.

Annuii con il capo.

Marco mi osservò per un attimo e senza pensarci due volte, sbloccò le sicure dell'auto e l'aprì, per poi sporgersi verso l'interno e prendermi il suo maglioncino di filo. Me lo porse, abbozzando un sorriso e in quel fugace attimo mi sembrò essere tornata indietro nel tempo, quando quella premura e quei gesti costituivano la mia quotidianità.

- Grazie. – mormorai riconoscente.

Ferraro rimase incantato per qualche secondo, forse anche lui perso in qualche pensiero, magari proprio lo stesso mio, sperai. Eppure dopo poco si riprese e riacquisendo quell'aria dura e irritata, afferrò il cellulare e si allontanò per telefonare Luca.

Approfittai di quel momento in cui mi dava le spalle e mi portai il maglione vicino al naso per inspirare profondamente il suo profumo. E mi fece male. Perché era come l'astinenza: una volta inebriate della sua fragranza, le mie narici non ne potevano più fare a meno e finivano col bruciare a causa del desiderio di sentirlo ancora.

Sorrisi nel ripensare alla prima volta in cui sentii il suo odore sulla mia pelle. Avvenne proprio allo stesso modo: ero in uno stato di bisogno e lui mi aiutò, offrendomi il suo maglione. E da quel momento, mentre il mio cuore intraprendeva la strada della compromissione, la mia pelle aveva scelto quale profumo indossare.

- Come sarebbe a dire che non puoi venire stasera?! – tuonò Marco furioso.

Mi ridestai dai miei pensieri e mi voltai a guardare Marco esterrefatta.

- Luca, porca miseria, perché cazzo non mi hai avvertito prima? – sbraitò l'assistente, rosso in volto – Che cazzo facciamo io e Alessandra?! –

Mi sentii mancare la terra sotto i piedi. Non potevo trascorrere tutta la serata da sola con lui, avrei finito certamente per vanificare tutti i passi avanti compiuti nell'ultimo periodo.

- Luca, se scopro che c'è qualcosa sotto, giuro che ti ammazzo! – sibilò tra i denti l'avvocato, prima di attaccare il telefono.

Avanzò a passo spedito e con il volto ancora livido di rabbia, mi si parò davanti. Raggelai quando incrociai i suoi occhi azzurri furenti.

- H-ho sentito bene? – balbettai intimidita.

Ferraro non rispose; si limitò a fissarmi ed a quel punto la cruda realtà si abbatte sul mio corpo sotto forma di brividi, facendo nascere sul mio viso un'espressione contrariata.

- Ti prego, non ti ci mettere pure tu! – mi riprese Ferraro esasperato.

- Scusami, ma una risata proprio non mi esce! - sbottai io piccata, in preda al nervosismo.

Marco alzò gli occhi al cielo e sbuffando come un toro inferocito, mi diede le spalle ed armeggiò con il suo telefono. Sporsi la testa di lato ed allungai il collo, cercando di capire cosa stesse macchinando la sua mente contorta.

- Che fai? –

- Cerco un albergo. – rispose lui con ovvietà.

Ma inutile dire che parecchi tentativi andarono a vuoto. Essendo fine luglio e soprattutto weekend, molte strutture erano completamente occupate ed altre non avevano più di una stanza disponibile e la ricerca incessante stava mettendo a dura prova i nervi dell'avvocato, il cui tono finiva per farsi sempre più sgarbato.

- Ma non mi dica? Non avete due stanze libere? - domandò Ferraro sarcastico, prima di attaccare la telefonata senza neanche aspettare la risposta dell'albergatore.

Si passò una mano nei capelli e chiuse un attimo gli occhi per inspirare con avarizia l'aria.

- Marco –

- Che c'è? – mormorò stanco.

Feci un respiro profondo, prima di firmare la mia condanna a morte.

- E se invece di chiederne due, ne chiedessi solo una di stanza? – azzardai, mordendomi il labbro inferiore.

Marco aprì di scatto gli occhi e mi fissò con stupore.

- Prima hai fatto tutte quelle moine per due ore in macchina con me e adesso mi proponi di dormire nello stesso letto? – mi redarguì esterrefatto.

Gli rifilai un'occhiataccia ed incrociai le braccia al petto stizzita.

- Voglio farmi una doccia ed ho una fame da lupi. Mi brontola lo stomaco. – asserii decisa, girando il capo con fare altezzoso.

Un lamento esasperato uscì dalle labbra dell'avvocato.

- E certo! Io sto con la merda fino al collo e all'uccellino brontola lo stomaco! – sbottò Ferraro incredulo, allargando le braccia, sfogandosi più con sé stesso che con me.

Trattenni una risata e con aria risoluta, mi alzai in piedi e mi parai davanti a lui, con lo sguardo colmo di decisione.

- Allora che facciamo? Continuiamo la ricerca oppure ci arrangiamo e ce ne andiamo finalmente a mangiare? – domandai, inarcando un sopracciglio.

Ferraro ci pensò su parecchio. Il suo corpo era rigido ed anche i suoi tratti del viso erano tesi, come se dietro a quella semplice proposta vi fosse celato dietro chissà quanto altro. I suoi occhi fecero su e giù più volte sul mio corpo, preoccupati, dopodiché deglutì un groppo di saliva.

- Vaffanculo. – fu la sua unica risposta e visibilmente stizzito, afferrò le chiavi dell'auto e la sbloccò.

Sorrisi trionfante, ma in fondo non potevo sperare di meglio: Ferraro non mi avrebbe mai dato espressamente ragione.

Mettemmo piede nella stanza e tirai un sospiro di sollievo al solo pensiero di potermi buttare sotto la doccia e porre fine ai crampi allo stomaco. Ferraro mi seguì e portò dentro l'ampia stanza le nostre valige, mentre gli occhi celesti davano un'occhiata in giro con curiosità. Essa era grande e ariosa, ma ciò che attirò la nostra attenzione fu il letto matrimoniale che troneggiava al centro della camera, imponente. Entrambi lo guardavamo con timore, imbarazzo, disagio e la paura di vivere nuovamente un momento così intimo come il sonno, si fece spazio nei nostri cuori con prepotenza. Soprattutto Ferraro, preoccupato, guardava quelle lenzuola con l'espressione di chi vorrebbe essere da tutt'altra parte, temendo la notte come la peggiore delle sue nemiche.

- Ah, finalmente! – esclamai, per smorzare la tensione - Vado a buttarmi sotto la doccia. – lo avvertii.

Feci per sfilarmi gli indumenti, ma la sua voce allarmata mi bloccò all'istante.

- No, no, no! – sbottò Marco, puntandomi l'indice contro - Patti chiari e amicizia lunga: niente nudità in bella vista! – sentenziò deciso l'avvocato.

Lo guardai esterrefatta e trattenni le risate di fronte alla sua faccia contrariata.

- Ma che problemi hai? Mi hai visto mille volte in mutande e reggiseno! Anzi, mi hai visto molto più nuda! - lo rimbeccai divertita.

- Non discutere! – tuonò Ferraro, lanciandomi un'occhiataccia – E comunque vado prima io, ci metto meno tempo. – decise risoluto.

Alzai gli occhi al cielo e sbuffai esasperata e nell'attesa che fosse il mio turno, mi fiondai sul letto e mi stesi sullo stesso, mentre Ferraro apriva il suo bagaglio per prendere i suoi effetti personali. Osservai l'assistente armeggiare con i bottoni della sua camicia e quando egli fu in procinto di sfilarsela, mi misi a sedere di scatto, mentre il cuore balzava in gola ed il fiato si faceva corto.

- No, no, no! – strillai nel panico.

Ferraro sobbalzò e si girò a guardarmi confuso.

- Ricordi? Niente nudità in bella vista! – gli rammentai, facendo un sorriso finto.

- Ma io non ho le tette! – si difese lui, incredulo.

Non aveva le tette, ma quel corpo scolpito era in grado di risvegliare anche gli istinti primordiali degli asessuati. Non riuscii a frenare l'impulso di ispezionare con meticolosità ogni linea del suo busto e quando la salivazione cominciò ad aumentare, fui costretta a deglutire.

- N-non discutere! – balbettai, con le guance infuocate – E fai presto! – gli intimai, prima di stendermi di nuovo e concedermi la possibilità di tornare a respirare.

- Questa mi manda al manicomio! – borbottò lui sottovoce, prima di chiudersi in bagno e buttarsi sotto la doccia.

Non riuscii a nascondere un sorriso caloroso. Quell'atmosfera era così familiare che mi sentii sciogliere il cuore e se non fosse che era sbagliato, ingiusto ed inappropriato stare lì, nella stessa stanza, avrei gridato di felicità. Ma quale felicità si nascondeva dietro al dormire nello stesso letto con l'uomo che aveva affermato di non amarmi, alle spalle della donna con cui stava? Per quanto odiassi quella donna, neanche lei meritava questo.

Afferrai gli indumenti che avevo deciso di indossare e quando fu il mio turno, mi fiondai sotto la doccia e sciacquai ogni traccia di stanchezza, mentre cercavo di ignorare l'idea che fossi nuda a pochi passi dall'uomo che amavo.

Trascorsero svariati minuti prima di essere pronta e quando feci per sistemarmi il rossetto rosso sulle labbra, la voce scocciata di Ferraro arrivò alle mie orecchie.

- Alessandra, sei pronta? – mi sollecitò con impazienza.

- Arrivo! – gridai, sbuffando– Che rompiscatole! – borbottai, per poi strofinare le labbra per spalmare il rossetto.

- Ti ho sentito! – tuonò lui offeso.

Scoppiai a ridere e dopo aver chiuso il beauty case, finalmente uscii dal bagno. Ferraro mi dava le spalle e teneva lo sguardo fisso fuori al balcone, ma quando avvertì il rumore dei miei tacchi che s'infrangevano sul pavimento, con aria svogliata si girò a guardarmi.

Si paralizzò di colpo. Le sue iridi celesti si dilatarono e si posarono a rallentatore su tutta la mia figura, incapaci di farsi sfuggire anche il minimo dettaglio, e l'ammirazione che trasparì dai suoi occhi mi attraversò come un brivido.

Mi ero impegnata parecchio, questo lo dovevo confessare, non avevo di certo optato per un abbigliamento da "ho preso le prime cose dall'armadio!". Indossavo un vestito corto rosso, molto attillato e scollato sul petto, e la faccia imbambolata dell'avvocato che, con le labbra dischiuse, teneva gli occhi fissi sul mio corpo, mi fece dedurre che avesse apprezzato il risultato. E lo avrei fatto mille volte, se il mio corpo veniva accarezzato dal calore di quei dannati occhi celesti che s'incollavano addosso, incapaci di spostarsi altrove.

- Sei bellissima. – mormorò Ferraro ammaliato.

Sorrisi riconoscente e mi sporsi in avanti per prendere la borsa poggiata sul comodino, dopodiché rialzai lo sguardo e vidi Marco fissarmi con una smorfia indispettita.

- Che c'è? -

- Non è un po' troppo corto questo vestito? – mi rimproverò con una punta di fastidio.

- No. - lo liquidai, camminando verso la porta.

L'assistente mi venne dietro e con gli occhi fissi sulle mie gambe, uscì anche lui dalla stanza.

- Io sostengo che sia troppo corto. – insistette con convinzione.

- Ed io sostengo di no, quindi piantala! – sbottai esasperata.

Marco si accigliò, assumendo la sua solita aria spocchiosa e così rimase per tutto il tragitto verso il ristorante. Il locale non era troppo affollato; esso era piccolo ed accogliente ed un forte odore di buono pizzicò le mie narici, facendomi venire l'acquolina in bocca. Il ristorante scelto da Marco era infrattato in una stradina dell'entroterra, motivo per il quale dedussi che lui lo conoscesse già e quando il cameriere ci condusse al nostro tavolo, situato in un ampio giardino, sorrisi calorosamente. I lumi delle candele mi illuminarono le iridi e l'ambiente intimo mi mise subito a mio agio, mentre osservavo ammirata tutte le combinazioni floreali che facevano d'arredo.

- Ti piace? – chiese Marco sorridendo, mentre prendevamo posto.

Annuii vigorosamente con il capo e con trepidazione afferrai il menù per scegliere le mie portate.

Dopo poco, un giovane cameriere si avvicinò al nostro tavolo con in mano un blocchetto per le ordinazioni e quando i suoi occhi si posarono sulla sottoscritta, egli si accigliò per un istante. Il ragazzo avrà potuto avere poco più della mia età e mentre questo se ne stava imbambolato a squadrarmi da capo a piedi, Ferraro, che non si lasciava sfuggire niente, distolse lo sguardo dal menù e lo piantò con insistenza sul cameriere, in attesa che lui lo notasse. Ma questo non accadde. Il ragazzo continuava a guardarmi in un modo secondo lui discreto ed io abbozzai un timido sorriso, mentre mi portavo una ciocca dietro l'orecchio per il disagio.

- Possiamo ordinare? – intervenne Marco risentito.

Il ragazzo trasalì, imbarazzato, e dopo essersi grattato la nuca, si voltò per prestare attenzione all'avvocato, mentre io mi mordevo il labbro inferiore per non ridere. Ferraro raddrizzò la schiena e fece la classica espressione intimidatrice che adorava assumere per mettere in difficoltà il suo interlocutore e con fare austero e superiore, fornì le sue preferenze, mentre il ragazzo segnava accuratamente le ordinazioni sul foglio.

- E la sua fidanzata cosa prende? – chiese il cameriere, lanciandomi un'occhiata di sottecchi.

L'assistente fece per dischiudere le labbra e parlare, ma io, con un ghigno malandrino stampato in volto, lo anticipai.

- Non sono la sua fidanzata. – puntualizzai, sorridendo sfacciata al ragazzo – E i miei piatti li scelgo da sola. – asserii, sbattendo le ciglia.

Ferraro spalancò la bocca oltraggiato, mentre il cameriere si voltava verso di me sorpreso ed il suo viso si apriva in un sorriso.

- Davvero? – si accertò questi speranzoso.

Annuii con vigore, mentre rifilavo occhiate divertite di sottecchi all'avvocato, il quale assisteva alla scena con palese fastidio.

- E cosa prenderebbe questa bella ragazza non fidanzata? - chiese il cameriere, guardandomi con malizia.

Marco sollevò le sopracciglia, scettico, ed iniziò a ticchettare le dita sul tavolo.

- Una bistecca ed un'insalata. – risposi, sorridendogli languidamente.

- Cottura? – proseguì, facendo scivolare lo sguardo sulla scollatura.

- Media. – specificai, accavallando le gambe.

Il cameriere boccheggiò, impreparato, mentre a Ferraro per poco non partiva un embolo.

- Come è che ti chiami? – chiese il ragazzo, ammiccando.

- Ma lei non ha da lavorare? – sbottò Marco stizzito.

Il ragazzo si ridestò dal suo stato di contemplazione e dopo aver annotato le ultime cose, lanciò un'occhiataccia all'avvocato e ci lasciò nuovamente soli. Io, intanto, mi crogiolavo nella mia sadica soddisfazione e facendo finta di nulla, mi versai un bicchiere d'acqua. Sentivo uno sguardo pressante sulla pelle e quando nessuno fu più a portata d'orecchio, uno sbuffo sonoro giunse alle mie orecchie.

- Cosa diavolo pensavi di fare? – mi redarguì Marco indispettito.

- Nulla. – risposi con aria angelica.

- Hai flirtato con il cameriere davanti a me? – mi accusò lui sprezzante.

- Beh, sono single, faccio quel che mi pare! – mi difesi, tranquilla, poi un ghigno malizioso si aprì sul mio volto – Ti ha dato fastidio? – lo incalzai, leccandomi le labbra.

- Certo che mi ha dato fastidio! – sbottò lui arrabbiato – Mi sono sentito un imbecille! –

- I tuoi problemi di ego non sono affar mio. – puntualizzai con superiorità.

Ferraro si portò una mano in faccia e strofinò il palmo sulla guancia con frustrazione.

- Io quella lingua te la taglio! – minacciò lui esasperato – Fosse l'ultima cosa che faccio! -

***

Mi portai una mano davanti alla bocca per contenere uno sbadiglio, mentre i lineamenti del mio viso si deformavano in una smorfia dolorante a causa del torpore dei piedi liberati dai tacchi. Marco, ancora offeso, evitava ogni contatto con la sottoscritta, incapace di digerire l'affronto – come lui lo aveva definito – subito.

Il cameriere ci aveva provato tutta la sera e al momento del conto, il ragazzo mi aveva fatto avere il suo numero di telefono su un fazzoletto, scatenando le ira dell'avvocato, che se non fosse stato tirato con forza dalla sottoscritta fuori dal locale, avrebbe fatto di tutto pur di far licenziare il giovane, secondo lui peccante di professionalità.

Avevo smesso di interrogarmi sulle ragioni dei suoi comportamenti. Sembrava geloso fino al midollo, eppure continuava a stare con un'altra donna e ad ignorarmi come la peste, fatta eccezione per il caso fortuito di oggi.

Uscii fuori al balcone e mi accesi una sigaretta, riservandomi quel momento di solitudine per fare ordine nella mente e nel cuore. Chiusi gli occhi, stanca, e lasciai che la brezza serale s'infrangesse sul viso, mentre rilasciavo una boccata di fumo.

Non ero più abituata alla sua vicinanza. Mi ero illusa di essermene disintossicata e tenendo conto dei miei piani, avevo finito per peggiorare la mia condizione. Non ero sicura di essere in grado di dire di nuovo addio a tutto questo.

Tornai in camera e con la mente distratta e assorta in svariati pensieri, afferrai il pigiama e mi recai in bagno. E quando vi entrai dentro ed alzai lo sguardo, prima fisso sui piedi, mi venne un colpo e temetti di lasciarci le penne all'istante.

Marco Ferraro, di spalle e nudo dal busto in giù, aveva appena finito di urinare e quando sentì la porta aprirsi, si voltò e sobbalzò spaventato.

- OH GESU' SANTO BENEDETTO! – strillai isterica, mentre con il volto rosso come un peperone, mi giravo immediatamente, con il respiro mozzato.

Ma c'era una cosa che non era mai cambiata nella mia persona: la mia avventatezza. E quella non mi aveva mai fatto sconti nella vita.

Nel voltarmi di scatto, andai a sbattere con il naso contro la porta semiaperta e l'impatto fu così forte, che finii con il sedere per terra.

- Oh porca misera! Alessandra, stai bene? – gridò Marco allarmato, venendo verso di me.

Il dolore fu lancinante e le orecchie fischiavano a causa dell'impatto e mentre le lacrime scendevano inesorabili, io mi portavo le dita vicino alle narici. E quando vidi il sangue sporcarmi i polpastrelli, un singhiozzo uscì dalle mie labbra.

- No. – mormorai con la voce incrinata per il pianto.

Marco si accovacciò accanto a me, e quando incrociò i miei occhioni verdi arrossati, aggrottò la fronte preoccupato.

- Bimba, stai bene? – si accertò premuroso.

- N-no, mi sono fatta male. – balbettai con tono infantile, mettendo il muso.

Ferraro sorrise dolcemente ed afferrando delicatamente la mia mano, la spostò, per verificare l'entità del danno.

- Ahia. – disse, facendo una smorfia sofferente – Vado a prenderti il ghiaccio. – e sollevandomi per le ascelle, mi aiutò ad alzarmi, per poi condurmi verso il letto.

In quei momenti in cui fui sola e l'intontimento causato dalla botta mano mano scemava, sentii il cuore battere come un forsennato e le guance andare a fuoco, oltre il fatto che non avevo più la sensibilità al naso. Le immagini del sedere sodo di Ferraro erano impresse nella mia mente e non potevo negare di aver lanciato una sbirciatina anche lì dove non batteva il sole. In una frazione di secondo, tempo necessario per comprendere cosa stava accadendo, i miei occhi, con un gesto fulmineo, avevano scattato quell'immagine ed ero certa che essa non avrebbe abbandonato tanto presto la mia mente.

Ma ciò che faceva scalpitare il mio cuore non erano tanto le sue nudità, ma ben altro. Mi aveva chiamato bimba, come faceva una volta. Ed era la sua voce che pronunciava quella parola, a rimbombare alle mie orecchie, infondendomi un calore che era scomparso mesi fa, perché il tono amorevole con cui lo diceva, come mi faceva sciogliere allora, lo faceva anche adesso.

Quando Ferraro tornò con il ghiaccio, provai sollievo all'idea di poter raffreddare quel calore divampante. O almeno così credevo.

Marco si occupò personalmente di tamponarmi il naso; con i visi a pochi centimetri l'uno dall'altro e gli occhi incatenati, il mio muscolo cardiaco rischiava di esplodere in preda al troppo moto.

- Ahi. – mi lamentai, a causa del dolore del ghiaccio contro il naso dolorante.

Ferraro era concentrato e con accortezza fece una lieve pressione, mentre io trattenevo il respiro, ubriacata del suo odore. Poi qualcosa attraversò le iridi dell'avvocato e la sua espressione mutò: si morse il labbro inferiore con forza e si sforzò di non ridere.

- Ti prego non farlo. – lo pregai affranta.

- Fare cosa? - chiese lui ingenuamente, trattenendo un sorriso.

- Non prenderti gioco di me. – lo supplicai, facendo gli occhi dolci.

- Se vuoi non ne parliamo. – mi venne incontro, sghignazzando – Anche se tu che quasi ti rompi il naso per dare un'occhiata al mio pene, è senz'altro una storia divertente! – mi provocò, malizioso.

- Non lo sapevo che stavi facendo la pipì! E comunque non ho visto niente! – mentii con voce isterica, mentre le gote andavano a fuoco.

Ferraro inarcò un sopracciglio scettico e mi scrutò a lungo.

- Neanche una sbirciatina? – azzardò, socchiudendo gli occhi.

- Vaffanculo! – sbottai offesa – E comunque è colpa tua! Ci rimette sempre il mio naso quando si tratta di te! – lo accusai stizzita.

- Mica è colpa mia se volevi vedere il mio pene! – si difese divertito – E comunque non capisco perché ti sei agitata tanto! Da quel che ricordo ci andavi piuttosto d'accordo! – ammiccò, facendomi l'occhiolino.

- Te lo stacco se non la pianti. – minacciai, seria.

Ridemmo entrambi, ma quel momento ludico terminò quando tornammo a fissarci intensamente negli occhi. Il sorriso scomparve dai nostri volti e le iridi si fecero scure e serie, attraversate da una triste malinconia che portò con sé ogni traccia di complicità rievocata.

I nostri sguardi si fecero tristi e consapevoli di doverci dare un taglio, rimettemmo le distanze: Marco fece un passo indietro e strinse i denti, mentre io abbassavo lo sguardo e mi rannicchiavo su me stessa. E così rimanemmo, senza alcuna interazione, fino a quando l'assistente non ebbe finito di medicarmi la ferita.

Il momento tanto temuto giunse: la notte ed il sonno ci attraevano verso il letto e quando entrambi in pigiama ci sistemammo sotto le lenzuola, sentimmo tremare il corpo, mentre il respiro si faceva corto a causa dell'imbarazzo. Eravamo nella stessa stanza, sullo stesso materasso, ma eravamo più lontani che mai.

Entrambi eravamo in posizione fetale, ma ci davamo le spalle, ed il disagio era così dirompente, che trattenevamo il respiro, come se avessimo voluto nascondere la nostra presenza all'altro. Il mio corpo era rigido e tremava impercettibilmente, eppure mi stava costando più fatica il tenere a bada il moto del mio muscolo cardiaco, che l'intero stress del viaggio.

I ricordi trascorsi insieme incombevano sulle nostre teste come una spada di Damocle e nei nostri silenzi fatti di paura e malinconia, soltanto il battito dei nostri cuori era udibile, poiché neanche il respiro aveva il coraggio di uscire libero. Ma il battito, quello era il più testardo, ed incurante degli altri, faceva quello che gli pareva, urlando la sua presenza ai quattro venti e starnazzando il petto, desideroso di uscire allo scoperto.

Deglutii una quantità copiosa di saliva ed inspirai l'aria per dare sollievo alla mia gola bruciante, mentre le unghie si conficcavano nel materasso e stringevano con forza il lenzuolo.

- Marco... - mormorai io debole.

- Dimmi. – sussurrò l'avvocato, stendendosi di schiena.

- Non riesci a dormire? – chiesi incerta.

- No. – rispose laconico lui.

Mi morsi il labbro con forza e repressi l'istinto di voltarmi e guardarlo in faccia.

- Ci stai pensando pure tu, vero? A tutte quelle volte che abbiamo dormito insieme, abbracciati, e a come faccia strano, adesso, essere così distanti nello stesso letto. – mormorai timidamente.

Sentii Marco muoversi; anche se ero di spalle, potevo vedere lui che stendeva le gambe per far scivolare il disagio, lui che serrava la mascella e si faceva del male fisico per trattenersi.

Ma io deglutii rumorosamente e proseguii.

- Ti sono mai mancata? - chiesi con la voce incrinata.

L'avvocato non rispose subito. S'irrigidì di colpo ed infilò un gomito sotto al capo, mentre il silenzio tombale caricava l'attesa di tensione. Poi sentii un sospiro.

- Sì. – sibilò, trattenendo il fiato.

Quel suono appena udibile arrivò al mio stomaco come un pugno ben assestato. Mi sentii mozzare il respiro ed istintivamente, strinsi con più forza il lenzuolo tra le mani, quasi a fami male, mentre la mia gamba veniva scossa da un tremolio convulso. In preda ad un gesto incondizionato, il mio piede si scontrò con la sua gamba e lo sentii sotto la pianta il moto di brividi che colpì l'avvocato. Marco si paralizzò e lo sentii boccheggiare alle mie spalle ed una risatina naturale uscì dalle mie labbra.

- Hai paura di me? – lo provocai, sghignazzando.

Ferraro sbuffò come un toro inferocito.

- Non ho paura di te, ragazzina. – calcò stizzito – E adesso dormi! – m'intimò, sorridendo.

Cercai di rilassarmi e di lasciare che il sonno e la stanchezza prendessero il sopravvento. Le palpebre iniziarono a farsi pesanti, i suoni ovattati, ma ero certa che Ferraro fosse ancora sveglio, nonostante non avvertissi neanche il ritmo dei suoi respiri. E quando feci per rintanarmi del mondo dei sogni, capii.

Non sentivo nulla, perché lo aveva trattenuto il respiro. E proprio mentre ero in dormiveglia, lo sentii cedere, sospirando sommessamente. E poi parole capaci di trafiggerti il cuore mi fecero sbarrare gli occhi.

- Non è di te che ho paura. – mormorò frustrato.




**note dell'autrice**

Due parole: sono stremata!

Mi si chiudono gli occhi e vorrei dirvi tante cose, ma finirò col dirvi niente.

Della serie: ne parliamo domani!

Spero tanto vi piaccia, aspetto i vostri commenti! <3

A presto, vostra siuri1 <3

Come al solito vi lascio il link della pagina Facebook: https://www.facebook.com/Deontologicamente-scorretto-Siuri1-112830619148012/?ref=bookmarks

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