Epilogo

36.5K 1.4K 232
                                    


- Diamo inizio a questa seduta di laurea del 12 ottobre. – annunciò il presidente di commissione con aria solenne.

Strinsi la tesi di laurea al petto, mentre serravo le gambe per cercare di placare quel formicolio che attraversava lo stomaco ed arrivava sino alle piante dei piedi. I miei occhi si spostavano agitati su tutti i membri della commissione, i quali, con l'aria seriosa degna di un momento importante come quello, si accingevano a chiamare il primo candidato per la discussione.

Un silenzio tombale sostituì il forte brusio che troneggiava precedentemente nell'aula, quando un ragazzo in completo blu si alzò dalla prima fila riservata a noi laureandi e prese posto sulla sedia situata sul palchetto, proprio davanti la commissione.

Trattenni il respiro, con le mani sudaticce a causa dell'ansia crescente, mentre le pupille impazzite ed agitate cercavano nei volti della commissione qualche traccia di conforto, senza però ottenere risultati. Almeno fino a quando non incrociai gli occhi azzurri dell'uomo che era al mio fianco da un anno a questa parte.

Marco Ferraro, che era in commissione nelle vesti di segretario accanto al professor Acunzo ed al professor Contieri, mio relatore, mi guardò divertito, mentre cercava di mascherare un sorriso rassicurante che passasse inosservato alla platea presente.

E quel semplice angolo della bocca sollevato bastò ad allentare la morsa che stringeva con vigore e spietatezza il mio stomaco, permettendomi così di trovare sollievo.

Abbozzai anche io un sorriso, ma esso uscì più ampio e naturale quando, nell'osservare l'uomo, bellissimo nel suo completo scuro, ricordai il giorno in cui i miei occhi, spenti dalla rassegnazione per aver perso l'amore della mia vita, tornarono a brillare dopo essersi specchiati nelle iridi azzurre più belle che conoscevano. Essi tornarono a brillare di speranza, perché dopo mesi trascorsi a convincermi che non ci fosse posto per noi nel mondo e che dovesse andare in quel modo, ebbi la prova che attestò che io mi ero sempre sbagliata. C'era ancora una possibilità per noi.

Marco Ferraro non mi diede quel giorno solo una prova del suo amore; egli mi riportò ciò che mi apparteneva e che avevo lasciato a Napoli: il cuore. Ed il cuore, che all'abbandonare la sua terra si era ribellato, spegnendosi, trovò nei suoi occhi la ragione per battere ancora.

Sentii quasi l'impulso di rimettere a causa dell'emozione che non si limitò ad opprimere lo stomaco, ma fece per rivoltarlo come un calzino. Quelle due ore di convegno furono le più lunghe della mia vita: le lancette dell'orologio sembravano essersi fermate, le mani tremavano a tal punto, che se anche avessi ascoltato una qualche parola, esse non sarebbero state in grado di impugnare saldamente la penna, mentre le orecchie venivano assordate dal battito impazzito del mio cuore.

Solo gli occhi rimasero vigili. Essi erano sgranati per lo sconcerto, ma fissi sulla figura dell'uomo che come un miraggio, come un'oasi nel deserto, insinuava la speranza nell'animo del condannato. Non riuscirono a scrollarsi dalla fisionomia dell'avvocato, perché essi erano talmente increduli, da non essere in grado di vincere lo scetticismo che ancora li portava a dubitare della realtà che avevano davanti.

Marco Ferraro, dal canto suo, fece uno sforzo disumano nel mostrarsi professionale. Il suo sguardo si alternava su tutti i volti dei presenti in aula, ma nonostante il tentativo di allontanarsi, i suoi occhi finivano per tornare sempre nei miei. E lì finivano per incastrarsi per una buona manciata di minuti, per poi spostarsi controvoglia in quelli di altri per evitare di destare sospetti.

Quando anche il professor Fournier terminò il suo intervento sul terrorismo, sancendo la fine della lezione, gli arti vibrarono di trepidazione, mentre l'ululare del mio cuore in subbuglio accompagnava il frastuono degli studenti che abbandonavano l'aula.

Deontologicamente scorretto [#Wattys 2017]Where stories live. Discover now