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By september199six

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Β«A volte siamo semplicemente insalvabili.Β» Cover / logaphile All rights deserved / september199six More

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ventotto (II)
ventinove
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epilogo - utopia
H
ringraziamenti

due

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By september199six

Terrible Love, Birdy

Nina la conoscevo da una vita. O almeno credevo che fosse così fino a quando non ha deciso che neanche per lei restare valeva la pena. Non per me, non per noi.
Nina era anche tutto ciò che avevo. O meglio, tutto quello che credevo di avere. Era il mio pilastro, la colonna portante che mi sosteneva anche quando non ne avevo bisogno. Credevo che un legame così potesse spezzarsi, perché tutto prima o poi si crepa, ma credevo che poi noi saremmo riuscite a ricucirlo. Mi sbagliavo.

È successo tutto all'improvviso, il giorno prima sei qualcuno e quello dopo sei qualcun altro. A volte sei niente, a volte sei nessuno. A volte mi chiedo se io sia mai stata davvero qualcuno. Teneva a me, di questo ne sono certa. Ci tenevamo entrambe e lo abbiamo dimostrato tante volte, in tanti istanti che per altri erano soltanto insignificanti dettagli.

Ma ho dovuto imparare che tutto finisce, che niente dura per sempre. Neanche la certezza che credevo di avere con Nina. Mi ha fatto male, ce lo siamo fatto a vicenda, ma io non ho mai smesso di mettere ciò che ci legava al primo posto, mentre lei lo ha fatto. C'era sempre soltanto lei. Lei prima, io dopo. Io ero sempre stata la parte debole, quella più fragile e quella che si spezzava prima. Lei invece era quella forte, quella determinata e quella sulla bocca di tutti. Voleva che la gente parlasse di lei, voleva che tutti la ammirassero. Io lo facevo. Era sempre bellissima: non usciva di casa se non aveva ogni cosa al suo posto, dal colore dei vestiti al contorno marcato della matita nera intorno agli occhi.

Io la ammiravo e a volte avrei voluto poter essere come lei, ma semplicemente non lo ero, ed era per questo che ci completavamo. Era per questo che andavamo bene insieme, così diverse eppure così compatibili. È sempre stato così, e a me è sempre andato bene, anche se la gente mi diceva che dovevo farle capire che potevamo essere sullo stesso livello. Ho tante colpe nei suoi confronti, ma anche lei ne ha nei miei. Solo che poi tornavamo sempre. E solo che poi non siamo più tornate.

Quando se n'è andata credevo di aver perso tutto, perché era l'unica che credevo non l'avrebbe fatto. Tanti anni mandati a puttane, troppe lacrime che ancora mi ritrovo a versare per lei quando so che non le merita.

Avevamo sedici anni quando avemmo la nostra prima crepa, la nostra prima rottura che sembrava irreparabile. Era stata colpa mia quella volta, solo che io non volevo ammetterlo davvero. E nonostante quello, fu lei a venire da me.
Passarono altri anni. Nessuna crepa si aggiunse a quella, e ciò che avevamo perduto aveva anche risanato la ferita.

«Non ci sono stasera, gli ho promesso che vado da lui», mi disse un giorno, io annuii con un sorriso sulle labbra.

Nina aveva la sua storia e guardava lui come si guardano due persone che sanno di appartenersi. Io non ce l'avevo. Non l'avevo mai avuta e lei non era la mia, ma mi aiutava a rendere meno evidente a me stessa quella mancanza che c'era e che sentivo, anche se lo negavo. Lei era l'unica a saperlo.
Mi dava i miei tempi, ma non mi ha mai messa al primo posto quando si trattava della sua storia d'amore.

«Tu non capisci», sosteneva. «È perché non sei mai stata innamorata.»

Magari era vero, magari se lo fossi stata l'avrei capita un po' di più. Avrei capito come ci si sente, avrei dato tutto di me stessa a quella persona come lei faceva con lui.

«Domani non c'è, facciamo qualcosa insieme», mi chiedeva quando lui non c'era e lei non voleva restare da sola.

«Mi vuoi soltanto quando non c'è?», io le replicavo ogni volta con un sorriso sul volto mentre non la guardavo e mentre dentro qualcosa di diverso a come mi mostravo a lei lo sentivo. Sapevo che lei teneva a me, ma non riuscivo a nascondere del tutto a me stessa che a volte mi sentissi come un'alternativa, qualcosa a cui puoi rinunciare se hai la prima scelta davanti.

«Dai, lo sai che con te mi vedo ogni giorno», anche questo era vero. Ci incontravamo ogni giorno a scuola ed eravamo sedute vicine. Lei dentro, io fuori. Non mi piaceva stare fuori, preferivo essere attaccata alla parete e nascosta da tutto e anche lei lo sapeva, ma io ero arrivata quando lei avevi già quel posto.

Alla fine acconsentivo ad incontrarmi con Nina nonostante quello che sentivo quando lui non c'era. Non avevo nessuno, solo lei. E volevo tenerla stretta in ogni modo possibile.

Una mattina ero fuori con gli altri; ci stavo soltanto perché non volevo che pensassero che a me non importasse. Era quasi un rito ritrovarsi lì prima dell'inizio delle lezioni, solo che io non parlavo mai. Ero quella meno presente, quella che guardava soltanto. Aspettavo che Nina venisse in tempo per darmi attenzione, per farmi rendere conto che sapeva che io c'ero. Che esistevo anch'io.

Quella mattina però Nina non si fermò, attraversò il viale senza neanche guardare dalla nostra parte. Sapevo che mi aveva vista, e sapevo che aveva bisogno di me. Mi allontanai dagli altri e la seguii. Quando arrivai lei era già in classe seduta al suo posto, lo sguardo su un libro aperto a caso sul banco, i gomiti piegati ai lati. Mi sedetti vicino a lei, che voltò la testa dall'altra parte ma che io abbracciai comunque, poi prese a piangere contro la mia spalla.

«Penso che mi tradisca», mormorò tra i singhiozzi, le mie mani tra i suoi capelli.

«Perché?», le chiesi a voce bassa.

«Non lo so, è sempre strano con me ultimamente», sostenne. «E non è solo un mio pensiero.»

«Ne hai parlato con lui?», le domandai ancora, e lei in risposta scosse la testa.

Mi disse che non gli aveva detto quello, ma che aveva provato a parlargli di quello che sentiva, che sentiva lui distante. Lui negò, poi negò ancora e Nina continuò ad ancorarsi a lui come se fosse la sua unica ragione di vita. Era ossessionata da lui e da quello che credeva fosse amore.

«Io lo amo», mi ripeteva, la sua testa sulle mie gambe a casa sua sul suo divano.

«Lo so», sussurravo, perché sapevo che in fondo era vero. Per Nina lui era tutto ciò che possedeva e avrebbe fatto qualsiasi cosa per tenerlo con sé. Per farlo restare sempre un po' di più.

«Ha provato a lasciarmi, ma io l'ho supplicato di non farlo», affermò.

Non riuscivo a capirla, così non le risposi. Non riuscivo a capire per quale motivo volesse continuare a sentirsi nel modo in cui si sentiva, con un sorriso spento sulle labbra e con la consapevolezza che quella storia era già destinata a finire da tempo. Solo che Nina aveva voluto prolungarla per evitare il dolore, perché aveva la speranza che tutto si fosse risolto. Ma non successe.

A giugno di quell'anno io mi ruppi in mille pezzi. Mi portavo dentro qualcosa da troppo, qualcosa che soltanto lei conosceva, ed ero così incasinata che non riuscivo a trovare neanche un pezzo che mi appartenesse. Non c'era neanche Eve, non c'era Darlene. Ero incasinata ed ero sola mentre tutto mi crollava addosso. Le lasciai un messaggio nella segreteria tra le lacrime soltanto per dirle che mi dispiaceva.

Lei provò a chiamarmi, ma io non risposi. Lo fece ancora tante volte, e tutte quelle volte io non le rispondevo mai. Mi sentivo così distrutta dentro mentre scivolavo contro la parete e mi lasciavo andare.
Poi decisi di risponderle. Anche lei piangeva.
Mi chiese cosa fosse successo, disse che era già in macchina pronta a venire da me. Io però le dissi che non ce n'era bisogno, che ce l'avrei fatta da sola. Glielo promisi e lei mi crebbe quando sentì la voce di mia madre. Non ero più sola in casa, ed entrambe sapevamo che questo non ferma una persona, ma ebbe comunque fiducia in me.

Era la seconda volta che succedeva.

Poi qualcosa si crepò ancora, probabilmente si distrusse definitivamente già in quell'istante. In quel periodo successe più volte, ma tornavamo sempre dall'altra in qualche modo. L'avevamo sempre fatto.

Seppi che Nina e lui non stavano più insieme. Lo capii prima, poi ne ebbi la conferma e allora tornai io da lei, perché sapevo che anche se in quel momento mi aveva odiata aveva bisogno di me.

«Mi chiedevo quanto tempo ci avresti messo a capirlo», disse.

Poi però quel qualcosa si ruppe ancora di più, lo sentii dentro mentre le parole cadevano via dalla sua bocca.

«Ti rendi conto di quello che stai dicendo?»

Forse in quel momento non me ne rendevo davvero conto, ma ero crollata ancora. Stavo male e lei si mise a imprecare, così le dissi tutto quello che non le avevo mai detto. Le dissi come mi sentivo quando lei sceglieva sempre lui, mettendolo sopra ogni cosa e anche sopra di me quando io avevo più bisogno di lei. Le dissi che non condividevo alcune sue scelte e le dissi di rispettarmi se non volevo farne parte.

Nina mi disse che dovevo crescere; io le risposi che ero fatta in quel modo anche se lo sapeva già: prendere o lasciare.

Alla fine mi lasciò andare. Si spezzò qualcosa anche dentro di lei quando io le dissi che il suo problema era non riuscire a stare da sola. Non aveva più lui e si sentiva persa anche se non voleva ammetterlo.

«Tu hai qualcosa Mia, stai male, sei una persona orribile», mi disse alla fine. Furono le sue ultime parole prima che se ne andasse da quella stanza e dalla mia vita. Furono le ultime e basta perché io non le dissi altro, non ne avevo le forze.

La mancanza di Nina la sentivo. La sentivo quasi ogni giorno, e ogni giorno la sentivo in modo diverso. Forse a volte la sento ancora. Quello che c'era sempre era il vuoto, un vuoto causato dal posto di cui si era impossessata dentro di me e che lei stessa mi aveva poi strappato da dentro per riprenderselo.

Passarono giorni, passarono mesi. Ne passarono altri e lei non c'era, e io ho barcollato sulle mie gambe fino a quando Eve non mi ha ripresa dal fondo.

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