B.R.O.N.X.

Af DREW94R

737K 22.1K 5.7K

Tralasciando il fatto che tutti e due vivono a New York, Justin e Brooklyn non hanno niente in comune. Mentre... Mere

1. Nice ride, shawty.
2. I'm everything but cute.
3. Wait, you know him?
4. Trouble is his second name.
5. You're no fun, Princess.
6.I believe you.
7. I love Disney Princesses so shut up.
8. Glad to know I have this effect on you.
9. I know who you were with.
10. I know you were enjoying that, e Brooke.
11. Have sweet dreams about me, Princess Non .
12. You're lucky you're cute or else I would have kicked your ass by t.
13. Let's say I don't believe in U love anymore.
14. Party & Bullshit
15. Drunk people never lie. Brooklynr
16."I was thinking about how much my life's changing because of you."
17. You're too beautiful to cry, Brooke.
18.I know things about Justin that would make you run away from him in a second.
19. Don't try that, Bieber.
20. I'm not good for you.
21. I like you, Justin Drew Bieber.
22. You want more of the Bieber Experience?
23"She still has to pass my test, Bieber."
24"You have one sexy ass."
25"You have to kiss a lot of frogs before you find your prince."
26"Bullets"
27"I think you're falling for her too. Hard."
28"You went all Bronx on her."
29"I love it when you become all protective."
30"What the hell were you two doing over there?"
31"You're not seeing him ever again."
32"You thought I wouldn't find out, Brooklyn?"
33"You're in deep trouble for this, sorry or not."
34"Badasses can fall in love too."
35"I had never seen him this way before."
36"family"
37"Were you trying to make me jealous?"
38"You sure you wanna do this?"
39"I would say I'm glad to see you, but it's not true."
40 "I'm dying to see you in a suit."
41"Are you ready?"
42"Subway"
43"Did you know your boyfriend has a criminal record?"
44 "Boys from my side of town don't get fairytale endings."
45 "He needs you."
46"Show me that you've changed, Justin."
47"I see you listened to me."
48"What were you doing with that prick?"
49"You truly are so naïve, girl."
50"You don't have to pretend that you're okay."
51"I think I will take you up on the car races, if the offer is still up."
52"I really hope you're not lying to me."
53"My life is already wrecked. There is nothing that can save it."
54"I don't want to be with you right now."
55"You're going to wish I had killed you today."
56"You're not you anymore."
58"He was close to dying."
59"He was playing with fire and so he got burnt."
60"If I had the chance, I'd take it all back and make it right."
61"I've seen how easily you can lose everything you have."
62 "Every saint has a past and every sinner has a future."
63"We're going to be okay, right?" "Yes. We'll be alright."

57"Oh, I like being miserable."

7.4K 241 18
Af DREW94R


Justin

"Hey, papà."

Mi sedetti sull'erba di fronte alla lapide. Il cimitero era deserto, fatta eccezione per l'addetto, il quale era impegnato a rifilare alcuni cespugli. Non ha detto nulla riguardo alla busta marrone che stavo portando. Credevo ne avesse già viste parecchie, le quali probabilmente contenevano calmanti o farmaci del genere. Svitai il tappo della bottiglia che mi ero portato e ne bevvi un sorso. Il Jack Daniels sembrava troppo drammatico e stereotipato e non avevo bisogno di aggiungere nulla del genere nella mia vita. Era già abbastanza simile ad una fottuta soap opera.

Ad essere sinceri, non sapevo realmente che cosa ci facessi lì, seduto davanti alla sua tomba di sabato mattina. Era troppo presto per me per essere già sveglio, ma dal momento in cui non avevo chiuso occhio tutta la notte, ho realizzato che non facesse differenza alzarsi e fare qualcosa di parzialmente utile. Inoltre, così facendo non avrei dovuto affrontare gli sguardi di disapprovazione da parte di mia madre o di Jazzy, sebbene sapessi che avrei dovuto farlo prima o poi. La lapide di mio padre sembrava la stessa di un mese fa, quando lo seppellimmo. Credevo che i vermi spuntassero dal terreno e che le lettere incise sulla pietra si rovinassero a causa del tempo. Certo, l'unica differenza era l'erba che era cresciuta ed un po' di terra aveva sporcato la pietra.

Mi ero ripromesso che non avrei iniziato a parlare con i resti di mio padre come fanno le persone in quei film malinconici per diverse ragioni. Una di quelle era che non avrei voluto assomigliare ad uno psicopatico. Avrei voluto conservare la mia sanità mentale. Un'altra ragione era perché mio padre era morto, e di conseguenza non avrebbe potuto sentirmi. Chiara e limpida come l'idea che mi era piombata in testa durante il tragitto da un'ora e mezza per arrivare qui, iniziavo a dubitare del mio scetticismo.

Avrebbe potuto sentirmi? Da dove diavolo era? Beh, speravo non fosse realmente all'inferno. Mi domandavo se la metà delle persone che credevano nel paradiso, credevano anche nell'esitenza del suo opposto. Nel caso in cui esistessero, sapevo dove sarei andato. Qualunque fosse il motivo, avevo salutato nuovamente mio padre e mi aspettavo che mi rispondesse. Se avesse potuto parlarmi, probabilmente non avrei voluto ascoltarlo. Forse è per questo che era finita così, perché una parte del mio cervello aveva bisogno di sapere che non ci sarebbero state possibilità di venir rimproverato. Mio padre non sarebbe tornato per darmi uno scappellotto sulla testa, sebbene l'avessi meritato.

"Ho fatto un gran cazzata." Mi sorpresi a dirlo ad alta voce. Mi guardai attorno per verificare se qualcuno mi avesse sentito. Il campo era deserto, non c'era nemmeno più l'addetto. Non sapevo cosa mi avesse incitato, ma continuai. "Si è rovinato tutto, in modo irreparabile. Ed è colpa mia e sapevo sin dall'inizio che tutto questo sarebbe successo. Non so cosa stavo cercando di fare," ammisi, e dirlo ad alta voce lo faceva risultare più vero, il che mi fece sentire più abbattuto. Bevvi un altro sorso. "Mi merito tutto quello che è successo, vero?"

Mio padre non rispose, ma potei comunque vederlo mentre inclinava la testa da un lato, deluso. Ingoiai l'amaro della birra. "Mi sto portando dietro tutto questo, lo so. Desidero solo non aver trascinato giù con me anche Brooklyn. Voglio dire, ho sempre saputo che sarei finito con il fare qualcosa che l'avrebbe abbattuta, per cui non dovrei esserne sorpreso. È solo che... sta durando così tanto..." abbassai lo sguardo verso la lapide in attesa di una risposta. Inutile dire che non la ricevetti.

"Non credo che riuscirò ad uscirne. Per tutto questo tempo ho cercato di farmi perdonare da Brooklyn, ma ora, non credo nemmeno di meritarmelo. Mi merito questo. Di essere ferito, abbattuto, di restare solo. È meglio così. È così che sarebbe sempre dovuto essere." Sbattei in modo troppo violento la bottiglia contro il terreno, provocando una crepa nel vetro. Fortunatamente il liquido non fuoriuscì. Affondai il viso tra le ginocchia, mugugnango tra me e me. Non ero solito a commiserarmi - l'odio verso me stesso era un'altra cosa - ma mi concesi qualche minuto per ribadire quanto facesse schifo la mia vita. Brooklyn era l'unica cosa positiva e l'avevo allontanata. Il pensiero di lei mi fece offuscare la vista. Non mi era mai piaciuto piangere. Difficilmente sentivo il bisogno di farlo, ma quando succedeva, cercavo di reprimerlo il più possibile, che facesse bene oppure no.

Questa volta serrai gli occhi così fermamente da impedire anche alla più piccola lacirma di uscire. Ma l'immagine di lei in lacrime quando le dissi tutte quelle cose, mi spezzò il cuore fino a farmi sentire come se mi avessero colpito al centro del petto senza usare l'anestesia. Era già successo diverse volte dall'ultima notte e non erano trascorse nemmeno 24 ore. Oltre al fatto che mi sentivo il più grande stronzo di tutta New York, o forse di tutto lo stato, sapevo che cos'avrei dovuto fare. Non avrei potuto continuare a fingere di avere una normale relazione con lei come avevo fatto nelle ultime settimane. Le avevo tenuto nascosto troppe cose e l'avevo messa in pericolo.

Dal momento in cui non ne potevo più, ho pensato che sarebbe stato meglio dare un taglio netto e risparmiarle la situazione che si sovrapponeva tra gioco e morte. Solo che tutte quelle stronzate dette per porre un taglio netto, non erano altro che grandi STRONZATE. Non c'era nulla di pulito nello spezzare il cuore a qualcuno e vedere ogni singola cellula presente in quel corpo disintegrarsi a causa tua. In cima a tutto ciò c'era il peso di averle spezzato il cuore, mi ero fottuto. Se doveva esserci qualcosa che ne fosse valsa la pena, ora se n'era andato per sempre. "So che mi odia adesso. E nel caso in cui non lo facesse, dovrebbe," dissi a mio padre.

Man mano che il tempo passava, iniziai a credere che c'era la remota possibilità che mi stesse ascoltando. Avrei voluto che mi mandasse un segno, come una folata di vento o il rombo di un tuono, in modo che non ne uscissi pazzo. Letteralmente. "Avevo la ragazza migliore del mondo e l'ho lasciata andare. L'ho fatta allontanare. Tyson sarà incazzato. E Jazmyn impazzirà quando lo verrà a sapere. E mamma scuoterà il capo e si chiederà cos'ha sbagliato. Credo si senta in colpa per come stanno andando le cose. Vorrei che tu fossi qui per convincerla che non è colpa sua." La mia voce si spezzò e dovetti schiarirmi la gola. Non riuscii a parlare per un minuto, perché dovetti combattere contro le lacrime. Alzai lo sguardo verso il cielo grigio e sbattei le palpebre, desiderando che iniziasse a piovere. Forse l'acqua avrebbe spazzato via quel sentimento fastidioso che mi attanagliava ogni pensiero cosciente e non solo.

Delle nuvole sovrastavano perennemente la mia testa, portando con sé il peso della pioggia e dei lampi. Riuscii quasi a sentirle riversarsi su di me, impedendomi di respirare con regolarità. Ma non rilasciarono alcuna tempesta perché non meritavo di sentirmi meglio, meritavo di soffrire ed essere ferito per ciò che avevo fatto. La bottiglia s'era svuotata ancor prima che me ne accorgessi e mi maledii nel profondo, filosofici pensieri del cazzo annegati nell'alcool. Nonostante la birra mi facesse poco effetto. Mi alzai dal prato e scossi i jeans dai fili d'erba e dal terriccio. Abbassai un'ultima volta lo sguardo sulla lapide di mio padre. "Mi dispiace di averti deluso, papà. Avrei voluto essere il figlio che ti meritavi di avere."

Brooklyn

Crollarono. I pezzi, intendo. Non solo una o due volte, ma molteplici, dolorose volte. Hai presente come ci si sente ad avere Edward mani di forbice dentro al tuo petto, mentre ti ferisce i polmoni, spingendoli contro le costole, stringendo e lacerando il tuo cuore? Se non lo sai, aspetta solo di avere il cuore infranto. Kelsey mi accompagnò a casa ed insistette per passare la notte con me. Ha detto che avevo bisogno di supporto morale e che non si fidava a lasciarmi da sola nel caso in cui commettessi qualche pazzia, come bruciarmi i capelli o saltar giù dalla finestra. Il che mi fece quasi ridere. Quasi. Non avevo idea a che ora mi fossi addormentata o cos'avesse detto Kelsey ai miei genitori dopo avermi vista rientrare con gli occhi sbarrati, bruciando il coprifuoco. Sembravano aver chiuso un occhio riguardo a quello, deve avergli detto che la persona più importante della mia vita mi aveva completamente calpestato.

"So che probabilmente non vorrai parlare di questo, ma nel caso in cui volessi farlo, sono qui, okay?" disse Kelsey, sdraiandosi nel letto accanto a me. Era grande abbastanza per impedire ai nostri corpi di sfiorarsi, ma mi ritrovai a desiderare che il corpo di Justin fosse premuto contro al mio mentre dormivo. Tremai. "Grazie," dissi a bassa voce. Era stata la prima cosa che le avevo detto da quando siamo usciti dalla sua macchina, dopo aver trascorso il nostro tempo lontano da quel triste deserto, lasciandoci alle spalle la confusione dei motori ed il suono della musica. Non ero stata capace di proferire una sola parola senza scoppiare a piangere. Seriamente, ero sempre stata paragonabile ad una bambina piagnucolante, ma questo era un discorso a parte.

Avrei dovuto essere fradicia, ma la mia gola continuava a bruciare e le mie lacrime a scendere. Che schifo. "Sembra tutto così orribile e grigio al momento, ma dopo ogni tempesta c'è l'arcobaleno." Kelsey mi sorrise. Tirai su con il naso. Era così tipico di lei dire queste cose, cose che una madre direbbe alla propria bambina. "Non credo ci saranno arcobaleni dopo questo." Smisi di guardarla per spostare lo sguardo contro il soffitto. Non mi ero preoccupata di cambiarmi i vestiti e sentivo freddo. Mi avvolsi con il piumone. "Forse questo era qualcosa che doveva succedere, fa parte del destino, capisci? Forse poi ti troverai la strada spianata." Apprezzai il fatto che volesse aiutarmi, ma avrei preferito che restasse in silenzio e che la smettesse di dire sciocchezze che non mi avrebbero fatto sentire meglio. Se il destino esisteva davvero, mi odiava. Avrei voluto addormentarmi per poi non risvegliarmi più. Alla fine, è quel che ho fatto.

________________________________

"Cosa ci fai qui?" domandai, confusa sul fatto che Tyson fosse in piedi davanti alla mia porta, di mattina presto. Faceva roteare un mazzo di chiavi tra le dita, mentre cercava di mantenere vivo un sorriso. Doveva essere difficile sembrare felici, mentre ti rivolgi ad una persona che è il ritratto della depressione. "Oh," dissi, ricordando improvvisamente dove avessi lasciato la mia macchina la notte precedente. Un conato di vomito mi costrinse ad aggrapparmi alla maniglia della porta. Mi ero alzata nel bel mezzo della notte con l'istinto di vomitare. Kelsey mi aveva sorretto i capelli mentre rimettevo di tutto nel bagno, probabilmente era dovuto alla tensione che avvertivo nel ventre. Non mi sentivo ancora bene.

"La macchina è in buono stato," mi rassicurò Tyson, come se quello fosse stato il mio problema principale quando la parcheggiai per raggiungere Tyler. Mi sentii disgustata ancora una volta, mi bruciarono gli occhi. Mi ero fidata del leone senza sapere ch'io fossi la preda. Dovevo smetterla di essere così ingenua verso i ragazzi, e quello ne era stato il risultato. "Hai-" mi sentii mancare. "Hai parlato con lui?"
Tyson s'infilò le mani in tasca, evitando d'incrociare il mio sguardo. "Se n'è andato dopo di te, minacciando di uccidermi se avessi tentato di seguirlo." Si accigliò. "Non mi parlerà fino a che riuscirà a farlo, fidati di me, perché sa che gran testa di cazzo è stato."

Sì, direi che 'testa di cazzo' è anche riduttivo per quello che ha fatto.

"Non ti chiederò scusa da parte sua, ma sai ciò che sta passando. Ha attraversato un periodo difficile combattendo con tutto, specialmente per la morte di suo padre..." biascicò, incrociando finalmente il mio sguardo. Mi morsi il labbro, impedendomi di ribattere in modo rude. Non era colpa di Tyson se Justin si era comportato come un idiota, senza lasciarmi la possibilità di aiutarlo. Dopo un momento di silenzio, Kelsey si presentò alle mie spalle, vestita e sorridente.

"Hey, tesoro." Detto ciò, mi dedicò un'occhiata dispiaciuta, come se pensasse che non fosse autorizzata ad essere felice con il suo ragazzo solo per via del mio istinto omicida. Tyson le dedicò un sorriso tirato, chiaramente sconfortante. "Sei sicura che starai bene, B?" domandò Kelsey, stringendo le labbra. "Uh-huh," mormorai, facendole un cenno d'assenso con il capo. Giocherellai con le chiavi della macchina, mentre loro mi guardavano come dei genitori preoccupati. "Passerò a controllarti più tardi, okay?" mi baciò la guancia. "E mangia qualcosa, okay? Sei pallida come un fantasma."

Grazie.

Non appena se ne andarono, ringraziai Dio, non sapevo perché ciò mi fece sentire come un'ingrata - probabilmente mi stavo comportando come tale - ma avevo bisogno di restare da sola nella mia commiserazione. Ovviamente il destino, il quale doveva amarmi davvero tanto, ebbe altri piani per me. "Tesoro!" mi chiamò mamma. "Era il ragazzo di Kelsey?"

"Sì, Tyson," dissi strisciando i piedi fino alla cucina dove avrei mangiato, accettando il consiglio di Kelsey. Mia madre mormorò qualcosa prima di portarmi una tazza di caffélatte. Ero convinta che quello sarebbe stata l'unica cosa che il mio stomaco avrebbe accettato in quel momento. "Problemi di ragazzi?" domandò, sedendosi di fronte a me. Sapeva già tutto al riguardo, ma fu il suo modo per rompere il ghiaccio. "Più che altro problemi con Justin."

In quel momento, Blake entrò in cucina, stropicciandosi gli occhi. Indossava il suo pigiama di Spiderman, il che mi fece ridere. "Giorno," sbadigliò, avvicinandosi al frigorifero. Mamma ed io rispondemmo prima che si focalizzasse nuovamente su di me. "Sai che puoi parlarmi di qualsiasi cosa, vero?" posò una mano sulla mia spalla, mentre mi fissavo le mani attorno alla tazza. Annuii. Credevo di poterlo fare. Non avevo più paura che mi giudicasse, ma non volevo continuare a parlarne. "È una cosa seria?" domandò dal momento che non risposi. Mi voltai verso di lei e gli occhi mi si riempirono di lacrime, perché era la prima volta che lo ammettevo e sapevo che sarebbe stato definitivo. Davvero. Kelsey l'aveva capito, non avevo bisogno di dirlo ad alta voce.

"Mi ha lasciato." Mi si spezzò la voce e mi maledii. Ero stanca di piangere, e quello era solo il primo giorno. Avrei avuto un futuro felice davanti. Mi domandavo se e quando avrei smesso di soffrire così tanto. "Oh, tesoro." Mamma mi abbracciò, stringendomi mentre scoppiai a piangere contro il suo petto. Blake mi raggiunse dall'altro lato e mi abbracciò. "Mi dispiace, B," disse sincero. Sapevo che se qualcuno nelle mia famiglia lo intendeva davvero, quello era Blake. Non appena finimmo la colazione, Blake si allontanò, pronto per uscire. Immaginai stesse per incontrare Kevin, sebbene non l'avesse specificato. I miei genitori non lo sapevano ancora. Mamma si assicurò che fummo sole prima di riprendere l'argomento. "Vuoi dirmi che cos'è successo? Forse posso aiutarti."

Ne dubitai, e se anche l'avesse fatto, c'erano così tante cose che non avrei potuto raccontarle, perché una stupida parte di me teneva ancora a Justin e non avrebbe voluto incastrarlo. L'idea mi attraversò la mente mentre singhiozzai la scorsa notte, ma l'accantonai. Avrei dovuto odiarlo, ma non avrei voluto andare a trovarlo in prigione. "Le cose si sono... complicate ultimamente," dissi.

"Ti ha ferita?"

Più di quanto tu possa immaginare. Probabilmente anche più di quello che lui stesso avrebbe immaginato.

"Più che altro, è come se avesse preso il mio cuore e ci avesse ballato sopra." Mi sorpresi di come riuscii ad essere così melodrammatica. Mamma mi guardò attentamente, come se avesse capito il mio gioco. "Devo ammettere che non avrei mai immaginato che sarebbe finita così," disse. "Almeno, non da quando lo conosco."

Grandioso. Ora lo difende anche.

"Voglio dire, ho notato che eri un po' triste in questi ultimi giorni, ma pensavo fosse normale per voi adolescenti. Ho quasi dimenticato come ci si senta..." riuscii a sentire l'amarezza mentre pronunciò quelle ultime parole. Stava pensando a Ray. La parte migliore era che Justin non fosse più un adolescente. Avrebbe dovuto essere maturo, e invece si comportava come un indeciso, pungolante ragazzino.

"Credi che non mi ami più? Che non l'abbia mai fatto?" domandai, improvvisamente allarmata da quel pensiero. Non avevo pensato che forse sarei stata l'unica ancora innamorata in quella relazione. Quel pensiero mi stava schiacciando. "No," disse ripetutamente. "No, tesoro, ti amava. Posso garantirtelo. Lo vedevo nei suoi occhi mentre ti guardava. E tutt'ora non può non amarti. L'amore è una di quelle cose per cui serve diverso tempo per allontanarsi del tutto. Non credo che se ne andrà mai, ad essere sincera."

Per cui non avrei mai smesso di sentirmi una merda. Meraviglioso.

"Non credi che questo possa avere a che fare con suo padre? Non dev'essere facile. Deve aver sofferto molto e tu hai detto che non ha un buon rapporto con i suoi sentimenti," commentò mamma, senza realizzare che si stesse comportando come Tyson, appoggiandolo. "So che sta soffrendo, ma non deve coinvolgere me," dissi, ponendo rabbia nel mio tono di voce. Per un momento sperai che stesse soffrendo tanto quanto stavo soffrendo io. Poco dopo realizzai che i miei stupidi sentimenti non avevano nulla a che vedere con i suoi. Per quanto mi avesse ferito, non mi sarei sentita meglio a sapere che si trovasse nella mia stessa situazione critica.

"Non intendevo quello, Brooklyn. Ti sei comportata in modo molto maturo in questa situazione. Volevo fartelo sapere. Sono fiera di te." Prese la mia mano tra le sue, mentre il mio sguardo era posato sul bancone. Non riuscii a non pensare che avessi potuto fare qualcosa di sbagliato, o che ci fosse qualcosa che avrei potuto fare meglio. "Credo che i ragazzi cattivi non cambieranno mai, eh?" domandai ironica. Mamma si alzò, baciandomi la fronte ed accarezzandomi i capelli. "Non è Ray. Ricordatelo."

________________________________

Kelsey e mamma mi permisero di restare di malumore per un paio di giorni, ma alla fine mi ero stancata di sentirmi così. E per quanto riguardava Justin... non l'avevo più sentito. Voglio dire, non mi aspettavo una chiamata o un messaggio, ma supposi che Kelsey si lasciasse sfuggire qualcosa. Con mia deludente sorpresa, era stata attenta a non farmelo trovare attorno. Avrei dovuto esserne sollevata, ma avevo paura di cos'avrebbe potuto fare a sé stesso ora che aveva incasinato maggiormente la sua vita. Avevo paura che facesse qualcosa di pericoloso - più pericoloso di ciò che faceva solitamente - quando Tyson non sarebbe stato con lui per fermarlo.

"Trovato! Faremo shopping. Dobbiamo trovarti un vestito per il ballo. E ne ho bisogno anche io. Non riesco a credere che abbiamo aspettato così tanto! E se i più belli fossero già stati venduti?" si alzò dal mio letto e s'infilò la giacca. Mi lamentai. Non avevo voglia di fare shopping. Stavo bene con il mio gelato Ben&Jerry, mentre guardavo la Tv in camera mia. Quello fu il modo in cui trascorsi quei pomeriggi. Mi stavo abituando ad essere una teledipendente, ed era molto meglio che essere là fuori e fingere che tutto andasse bene, quand'era evidente che non lo fosse. "Non ci verrò nemmeno al ballo, Kelsey," dissi, infilando il cucchiaio nel gelato ormai sciolto. Carino il fatto che il ballo fosse l'ultimo dei miei problemi. Mi dedicò un'occhiata stranita. "Certo che ci verrai! Pronto? È il ballo di fine anno!"

Mi rifiutai di muovermi. "Oggi non è il giorno andatto." Mi strinsi nelle spalle.

"È ciò che hai detto negli ultimi quattro giorni," si lamentò Kelsey. Non avevo idea del perché mi stesse così addosso. Avevo smesso di piangere già dal secondo giorno - mi ero lasciata scappare qualche lacrima solo quand'ero da sola - ma ero giù di morale, infastidita ed annoiata a morte. Persino Nate si era rifiutato di parlarmi. Ero convinta che le mie occhiate intimidatorie avessero contribuito. Avevo iniziato a pensare che forse a Justin aveva dato molto più fastidio quel piccolo bacio. Pregai che l'avermi lasciato non avesse nulla a che fare con il mio ex. Credevo solo che questo si era aggiunto alla pila di cose che avevano contribuito a rendere la nostra storia un totale insuccesso.

Metti una brava ragazza ed un cattivo ragazzo insieme e vedi quanto durano. Sembrava uno scherzo. Alla fine, Kelsey mi trascinò fuori casa, e mia madre gliene fu immensamente grata. Mi aveva promesso che, dato che non ero più fidanzata, saremmo andate al ballo con i nostri amici single. Se questo avrebbe dovuto farmi sentire meglio, lo considerai un tentativo fallito. Mi fece sentire peggio. Non volevo più andare al ballo, ma mi sentii in colpa per il modo in cui avevo trattato Kelsey e per come cercò di riparare.

Tre negozi e mezzo dopo, Kelsey esclamò, "Aha! È lui!" Prese tra le mani un abito turchese senza spalline e cosparso di paiette all'altezza dei fianchii. Era bellissimo e si abbinava ai suoi occhi. Le feci un sorriso d'approvazione. Fu il mio primo vero sorriso dopo giorni. Si provò il vestito e dopo aver chiesto a chiunque un'opinione, finalmente l'acquistò. Non trovammo nulla per me fino a quando non visitammo altri due negozi.

Stavo quasi per dire che mia madre mi avrebbe prestato uno dei suoi vestiti, così saremmo potute andare a casa, quando Kelsey ne trovò uno. Sembrava così eccitata del fatto che l'avesse trovato e dovetti provarlo. Solo che la mia reazione non fu quella si aspettava. Guardai il mio riflesso nello specchio del camerino, un singhiozzò mi fece sussultare. Fu così improvviso e doloroso che riuscii a malapena a sedermi sulla sedia accanto a me. Non c'entava il vestito. Lo adoravo. Era bellissimo e probabilmente era quello che sognavo da mesi. Ma non era questo il problema adesso. Sembravo una principessa, ma non avevo un principe.

Justin

È passata una settimana. Probabilmente la peggior settimana della mia vita. Vedete, ne avevo passate così tante prima, ma perlomeno avevo qualcuno che mi aiutasse a superarle. Almeno avevo qualcuno che non mi disprezzasse così tanto. Dallo scorso venerdì avevo continuato a ferirmi sia finiscamente che internamente. Sì, ero finito in mezzo ad una rissa con Tyler, solo che questa volta i suoi calci mi avevano procurato delle lesioni - come quella tenera cicatrice sulla guancia ed il taglio sul gomito, sul quale ora si era formata una crosta, ma aveva sanguinato come non mai.

Probabilmente avrei dovuto farmelo controllare se non avesse perso troppo sangue, ma ciò avrebbe comportato spiegare come me l'ero procurato e non avevo tempo per questo. In cima a tutto, avevo preso più lavori possibili da Anthony. Facevo di tutto pur di evitare le persone o di tornare a casa. Stavo attraversando un periodo difficile nel lottare con i miei sentimenti e così avevo preso a pugni il muro. Mi ero quasi slogato il polso sinistro. Non potei evitare di pensare che era stato molto più facile quand'ero un coglione a sangue freddo, che non si preoccupava delle persone o dei loro sentimenti, o del fatto che venissero feriti alla fine.

Avrei voluto dire che mi rifiutai di vedere Brooklyn, ma una parte di me - quella apparentemente masochista - non voleva lasciarla andare. Mi ritrovai a guardare le nostre foto assieme, a rileggere i messaggi che ci scrivevamo ed improvvisamente mi sentii una fottuta checca. Tyson s'era preso il diritto d'infastidirmi fino all'inverosimile, il che mi costrinse a comportarmi come un testa di cazzo nei suoi confronti. Tuttavia, questo non lo fece allontanare. Avrei voluto dire che avrei preferito che invece fosse così.

"Correrai?" Alejandra si avvicinò a me, ancheggiando il più possibile. Una volta la consideravo sexy. "Sì," annuii. "Ho bisogno di soldi." Alejandra esitò, come se stesse decidendo se dire qualcosa oppure no.

"Spara," le ordinai. Non avevo tempo per i giochi. Volevo solo andarmene il più presto possibile da questa landa desolata e dai ricordi disgustosi che conservava. "Stai- stai bene?" sembrò sentirsi inopportuna mentre mi poneva quella domanda. Era facile mentire. "Sì."

"Stai mentendo. Hai detto sì in un modo strano ed è ciò che fai quando stai mentendo," non vi era espressione sul suo viso.

"Impressionante," dissi, fingendomi divertito. "Hai qualche altro dettaglio da condividere?" sbottai freddo. Sì, mi stavo comportando come un coglione. Ero bravo in questo. "Potrai essere acido quanto vuoi con me. Ma non mi arrendo." Sorrise ed io ridacchiai. Era sbagliato dire che mi piaceva la nuova Alejandra? Non intendo come ragazza, ma come persona. "In quel caso, smamma. Voglio restare da solo."

Quel sorriso non abbandonò il suo viso. "Andiamo, Justin. Per l'amor di Dio, dimmi come stai davvero," insistette. "Prendere a pugni muri e persone non ti porterà da nessuna parte. Presto o tardi dovrai affrontare i tuoi sentimenti." Avvertii una stretta al cuore, perché quelle furono le parole che avrebbe detto Brooklyn. "Le ho spezzato il cuore," confessai. Lo stomaco mi si chiuse in una morsa, ma era esattamente ciò che avevo fatto.

"Questo era ovvio, una settimana fa l'ho vista trattenere le lacrime mentre era nella macchina della sua amica." Nel suo sguardo colsi rimprovero, ma anche coprensione, il che fu strano persino da dire. "Non riesco a credere che tu l'abbia persa."

"Non sono conosciuto per prendere le migliori decisioni," mormorai, infilando le mani in tasca ed alzando il capo. Il cielo era scuro come i miei pensieri, ma l'aria era sorprendente calda per essere aprile. "Sei un idiota," disse spudoratamente. "Grazie." Le dedicai una breve occhiata, mentre scosse il capo. "Il tuo migliore amico sta arrivando. Ti conviene andartene questa volta." Rise e notai Tyson venire verso di noi. No, non ero sicuro che quei due si sarebbero comportate come persone civili. Alejandra era cambiata tantissimo. Era diventata una persona sopportabile.

"Non puoi correre stasera," disse Tyson non appena mi raggiunse. "Ho un brutto presentimento." Sembrava davvero disturbato. Mi passai una mano sul viso. "Sei diventato improvvisamente un veggente?" Non rise, per cui immaginai fosse serio. "Andiamo a casa e pensiamo a come farti riprendere la tua ragazza. Ho qualche idea-"

Lo interruppi. "Tyson, non voglio riaverla."

"Certo che vuoi, amico. Stai da schifo." Sembrò incazzato, e aveva tutti i diritti per esserlo. "Oh, mi piace stare da schifo," ribattei sarcastico, facendo il giro della macchina ed avvicinandomi al lato guidatore. Una mano posata sul mio avambraccio mi costrinse a fermarmi. "Justin, sono serio. Non gareggiare contro Tyler. È abbastanza incazzato e credo stia tramando qualcosa."

"Non essere ridicolo. È un codardo quando i suoi scagnozzi non sono con lui." Aprii la portiere. "D'altro canto, mi piacerebbe fargli vedere come la penso." Sogghignai. Avrei davvero voluto prenderlo a calci il culo di Tyler. Sorrisi notando che non avevo perso del tutto il mio senso umoristico. Tyson si portò le mani sul viso, respirando pesantemente come se fosse frustrato. "Non puoi correre nella seconda gara, allora? Questa guardiamola e basta." Stava diventando troppo insistente ed inquietante, il che mi costrinse quasi a credere al suo istinto. Tyson non si era mai comportato così, e quasi accettai la sua offerta di andare a casa.

Ma volevo davvero correre, non solo per i soldi, ma perché ero assetato di guida, come se fosse una sottospecie di droga. "Questo mi spaventa un pochino," ammisi. Fece una smorfia, come a volermi dire che avrei fatto bene a spaventarmi. In quel momento di debolezza, chiuse la portiera della mia macchina e mi strappò le chiavi di mano, chiudendo l'auto. Gli lanciai un'occhiataccia, ma non le ripresi. Avrei fatto qualsiasi cosa pur di zittirlo, in modo che mi lasciasse in pace.

"L'hai sentita?" domandai, mordicchiandomi l'unghia del pollice ed abbassando lo sguardo. Tyson mi dedicò un'occhiata di sufficienza. "Non voglio farti sentire peggio di come già stai," disse. Sbuffai. "Sì, probabilmente non voglio saperlo." C'incamminammo verso la linea di partenza, dove diverse macchine erano già pronte a correre. Era pieno di persone, le quali cantavano cori d'incitamento. Non sentivo tutta quella confusione da quando avevo 17 anni, ma ora era diverso, centinaia di persone venivano qui ogni venerdì sera, il che rendeva Anthony davvero felice.

"Dov'è la tua macchina?" Mi guardai attorno, pronto a cogliere occhiate indiscrete. Feci un cenno del capo verso il punto in cui l'avevo lasciata. Era in pessime condizioni. Era abbellita dalle ammaccature, dai graffi e dai segni sul retro. Avrei dovuto ripararla non appena avrei raccimolato abbastanza soldi, ma per ora dovevo lasciarla così. Evidentemente, ad Anthony non piaceva il fatto che la mia macchina fosse ridotta così.

"Gareggerò nella seconda corsa," spiegai, guardando Tyson, il quale se n'era già andato per raggiungere alcuni ragazzi. "Spero che tu non mi deluda, ragazzino." Mi diede una pacca sulla spalla prima di allontanarsi. Era un avvertimento. Sogghignai. Ed ecco ancora quell'appellativo. Avvertii l'istinto di prenderlo a pugni, ma sapevo che sarebbe stato inutile con Anthony. Mi avrebbe puntato una pistola alla tempia e sarei morto nell'arco di un secondo. Successe tutto così rapidamente che a stento me ne accorsi. Dicono che le cose succedono più lentamente quando si tratta di questioni di vita o morte, ma non ebbi il tempo nemmeno per sbattere le palpebre.

Non appena lo sparo spezzò l'aria, segnando l'inizio della gara, vidi una macchina deviare, dirigidendosi dritta verso la mia macchina parcheggiata, seguita da altre. L'urlo di una ragazza giunse alle mie orecchie e riconobbi la voce, perché, purtroppo l'avevo sentita gridare altre volte. Seguii con lo sguardo la traiettoria della macchina e sapevo che Tyler non avrebbe fatto in tempo ad evitare di colpirla. Senza sapere né come né perché, iniziai a correre verso la ragazza che sembrava più spaventata che mai. Immaginai la sua vita passarle davanti a quei profondi occhi marroni. Un suono sordo giunse alle mie orecchie, ma si dissolse subito dopo, venendo sovrastato da altri suoni bianchi.

I miei occhi e le mie mani si focalizzarono sulla ragazza, anticipando l'azione di spingerla via, prima che la macchina si avvicinasse troppo. Successe tutto troppo velocemente. Alejandra si precipitò accanto a lei con un tonfo, fin troppo lontana dal campo visivo di Tyler. Ero così occupato ad assicurarmi che fosse sana e salva, da non accorgermi del contraccolpo. La parte anteriore della vettura entrò in contatto con il mio ventre, ma quando il dolore iniziò a scalpitare, lo sentii ovunque: dalle dita dei piedi alle punte dei capelli. Non sapevo se urlare o piangere, o borbottare o anche solo emettere il più piccolo suono. Sapevo solo di essere steso a terra e sentivo dolore dappertutto. Sentivo persino l'irregolarità del terreno premuto contro la mia schiena e sapevo di star perdendo molto sangue, perché mi sentivo bollente.

Sbattei gli occhi così velocemente da non riuscire a vedere nulla. Vidi lampi di luce, poi il buio, poi delle mani intente a scuotermi. Non ne ero sicuro. Non ero nemmeno convinto di essere sveglio. C'era una strana tranquillità nonostante il dolore, come se fossi cullato da una voce rassicurante. Non avrei saputo spiegarlo. Dopo un po', però, ho intravisto qualcuno che credevo fossero Tyson e Alejandra, mentre piangevano istericamente. Probabilmente ero attorniato da diverse persone, ma non riuscii a vederle bene. Questo accadde quando il dolore iniziò ad aumentare, creando una sensazione di calore che minacciava di bruciarmi vivo.

Ho provato ad aprire la bocca per chiedere a qualcuno di fare qualcosa per farlo smettere, ma mi sentii scivolare dentro e fuori della mia stessa coscienza. Non seppi per quanto tempo durò. Mi sembravano passati anni per quanto agonizzante fosse. A malapena sentii il suono delle sirene. La polizia, l'ambulanza. Non ne ero sicuro. Non ero nemmeno sicuro che fossero vere sirene. Forse stavo avendo delle allucinazioni. O stavo delirando. Improvvisamente sentii una voce sovrastare le altre. Avrei potuto dire che sembrava più agitata delle altre, ma non riuscii a capire cosa stesse dicendo. Sembrava pazza ed avevo paura che fosse per colpa mia, che fossi stato io a tramutare una così bella voce in un suono tormentato.

Quando avvertii qualcosa di freddo sfiorarmi il viso, entrai in panico. Mi sentivo frebbicitante, per cui non sapevo perché una parte della mia guancia fosse fredda. Sbattei ancora le palpebre e vidi una chioma bionda, degli occhi marroni affogati dalle lacrime intenti a fissarmi ed un'occhiata che mi fece sussultare. Sentii la sua mano sul mio viso e vidi le sue labbra, bagnate dalle lacrime, muoversi, ma non riuscii a decifrare o a sentire le sue parole. Dovevo per forza esser caduto in un sogno perché non sentii nulla e la vidi allontanarsi da me in modo sfocato. Forse avevo immaginato tutto. Forse ero morto e avevo appena visto un angelo. Quel viso d'angelo era l'ultima cosa che vidi prima che tutto diventasse nero.

Brooklyn

"Stavo pensando che potremmo tutti andare a trovare Ryan questo fine settimana," disse papà, prima di prendere un boccone del suo pollo.

Era Venerdì sera e i miei piani erano cenare con la mia famiglia e poi chiudermi nella mia stanza a guardare qualche film che mi avrebbe fatto ridere o piangere o qualsiasi altra cosa. Voglio dire, sarei scoppiata a piangere, sia che stessi guadando una commedia o no. In mia difesa posso dire di avere dei piani, ma lasciai perdere tutto. Io e Kelsey eravamo state invitate a qualche festa di Natasha - non capisco nemmeno il perché - ma non ero in vena di festeggiare, soprattutto per via della delusione che avevo colto in Kelsey. Credo che sarebbe andata con qualche altra persona della scuola comunque e scommetto che avrebbe fatto qualcosa come mettere della candeggina nello shampoo di Natasha o scambiare il contenitore dello zucchero con quello del sale in cucina.

"Non credo che sarebbe contento di vederci," disse Blake. "Si sentirà in imbarazzo. È un figo laggiù, ricordi?" Io e Tommy trattenemmo una risata. Non potevo essere più d'accordo. Ryan sarebbe rimasto esterrefatto nel vederci là come la sua piccola famiglia felice che voleva passare il loro fine settimana con il figlio maggiore. Suonava divertente.

Mio padre si accigliò. "Perché dovrebbe sentirsi imbarazzato? Potremmo affittare una casa fuori città e passare un po' di tempo in famiglia."

Il pensiero di mio padre riguardo la famiglia era nuovo. A stento lo vedevamo, anche nei fine settimana, e ora voleva passare due interi giorni con noi?

"Credo sia una buona idea. Dovremmo tornare entro Sabato pomeriggio però, perché devo terminare un progetto per Lunedì mattina." disse mamma, pulendosi la bocca con il tovagliolo. Il segno del rossetto spiccò sull'avorio del tessuto.

"Va bene," approvò papa, sorridendole. Sembrava troppo contento e mi chiesi se fosse stata tutta un'idea di mamma. Magari era riuscito a convincerlo che avevano bisogno di farmi uscire di casa.

"Sapete che si trova a 150 miglia da qui, vero?" domandai, alzando la forchetta. Avevo spazzolato tutto quello che avevo nel piatto in tempo di record perché ultimamente mangiavo come se la mia vita dipendesse da quello.

"Sarà una cosa veloce, una sorpresa. Non lo vediamo dalle vacanze di Natale." dubitavo che Ryan sentisse la nostra mancanza. Il college era il paradiso per lui.

"In più, credo che tutti potremmo passare un po' di tempo là." credo che intendesse me. Non che restare qui o andare a Providence avrebbe fatto qualche differenza nelle mie aspettative di vita, ma apprezzai il gesto.

Continuammo a parlare dei dettagli del viaggio fino a che il cerca persone di mio padre non si illuminò, iniziando a suonare. Sembrava come una specie di wolkie-talkie con cui io e Ryan giocavamo dopo il riposino, da bambini. Avrebbe dovuto spegnerlo durante la cena, ma non avrebbe avuto senso, i crimini venivano commessi a qualsiasi ora, non aspettavano la fine della chiacchierata con la famiglia davanti ad un purè di patate. Mio padre dedicò un'occhiata di scuse a mia madre, che lei ricambiò con uno sguardo gelido. Odiava il fatto che mio padre lavorasse così tanto. Credo che tutti lo odiavamo.

Il segnale doveva essere pessimo perché la voce, dall'altro lato di quell'aggeggio, non si sentiva chiaramente. Quell'apparecchio non era tecnologicamente avanzato e mi domandai perché non utilizzavano dei cellulari. Papà diceva sempre che in questo modo era più efficiente e poteva essere usato anche in macchina. Comunque, il più delle volte riceveva dei messaggi che apparivano sul piccolo display, non chiamate, quindi questa doveva essere parecchio importante.

"11-80 ... fuori ... Bronx ... uomo." Quelle furono le uniche parole che la mia mente registrò, ma furono abbastanza perché il mio corpo reagisse. I palmi delle mani iniziarono a sudare, il respiro aumentò e tutto il cibo sembrò voler uscire dal mio corpo. Mi tenni lo stomaco, aspettando che mio padre finisse di parlare con l'uomo. Quando si alzò e indossò la sua uniforme, sapevo di avere il permesso di entrare in panico.

"Che succede, papà?" domandai, notando quanto innaturale la mia voce appariva.

"C'è stato un incidente. Devo andare. È urgente." Baciò la testa di mia madre e lei lo guardò con i suoi occhi grandi. Ora era preoccupata anche lei.

"Che cosa significa 11-80?" chiesi di nuovo, facendo rumore quando indietreggiai con la sedia.

Mi guardò mentre controllava che la pistola fosse a posto.

"Papà!" lo supplicai, sentendo che avrei potuto esplodere, se non avesse detto qualcosa al più presto.

Scambiò uno sguardo con mia madre. "Significa 'Incidente - feriti gravi'."

Il mio cuore accelerò. Poteva anche non essere Justin. C'erano milioni di persone nel Bronx, milioni di persone che avrebbero potuto avere un incidente in auto di Venerdì sera. Anche se stava correndo, non significa che avrebbe potuto essere coinvolto nell'incidente.

"Vengo con te," dissi con tono determinato, indossando velocemente gli stivali e la giacca. Fortunatamente non ero ancora in pigiama.

"Brooklyn, non puoi-" mio padre iniziò, ma lo interruppi.

"No. Vengo anche io. Devo. Voglio essere sicura che stia bene." mi voltai verso mia madre, supplicandola. "Ti prego."

"Va bene," riluttante accettò. "Ma dobbiamo sbrigarci. Il comandante Williams sta venendo a prenderci," disse papà.

Il viaggio in macchina sembrò interminabile. Non avevo più unghia da mordere e avevo paura che la prossima mossa sarebbe stata strapparmi i capelli.

"Signorina, deve calmarsi," disse il comandante che stava guidando l'auto, incrociando il mio sguardo dallo specchietto retrovisore. Avevo dimenticato il suo nome, ma ero sicura che lo stavo mandando fuori di testa. Nonostante andassimo a velocità sostenuta e le macchine si spostassero per farci passare, non andavamo abbastanza veloce per i miei gusti quindi no, non mi sarei calmata.

"Brooklyn, ti stai agitando per niente. Sono sicuro che Justin sta bene," aggiunse mio padre, voltandosi verso di me per toccarmi il ginocchio. Stranamente, non stavo piangendo, ma mi sentivo come se avessi potuto vomitare o svenire in qualsiasi secondo. "Mi dia i dettagli," ordinai all'uomo dai capelli rossi, che sembrava davvero a disagio nell'avermi lì. Probabilmente era contro la legge, ma mio padre era il suo superiore, quindi non poteva lamentarsi. "Cosa sa sull'uomo ferito?"

Divenne rosso e si voltò verso mio padre, chiedendogli il permesso. Avrei avuto la mia risposta, a qualsiasi costo.

Dopo che mio padre sospirò, l'uomo parlò. "Uomo, 18 o 19 anni circa, capelli castani, circa un metro e settanta."

Sobbalzai visibilmente. Justin poteva corrispondere alla descrizione, tranne che per l'età e appariva più giovane di quello che in realtà era.

Non appena arrivammo fuori città e la strada divenne familiare, iniziai a tremare. Era quello sterrato, dopotutto.

Mio padre lo notò e mi avvertì di rimanere in auto mentre controllavano. "Non sono sicuro di quali siano le condizioni della vittima e non voglio che tu veda."

"Assolutamente no. Vengo con te. Ho bisogno di vedere con i miei occhi e... se è... lui, allora voglio-" la mia voce, tremolante, si spezzò, ma ancora niente lacrime.

"Suo padre ha ragione, Signorina. Non sarebbe una cosa bella da vedere per una come lei," disse il comandante, distogliendo lo sguardo dallo specchio retrovisore.

Aggrottai le sopracciglia. "È sicuro che lei possa resistere?" Non avevo idea da dove avevo tirato fuori tutta quella maleducazione ed ero sicura che ne avrei pagato le conseguenze, ma l'uomo mi stava facendo arrabbiare.

Quando finalmente parcheggiammo, uscii dall'auto prima che il poliziotto avrebbe potuto fermarmi. Corsi attraverso la folla vicino alle due macchina distrutte. Una di quelle apparteneva a Justin. Credevo sarei svenuta, ma avanzai. Potrebbe non essere lui. C'erano poliziotti e ambulanze ovunque e le persone venivano spinte indietro, oltre i nastri della polizia. Cercai facce conosciute, ma non vidi nessuno. Vidi una testa castana e sospirai sollevata, ma quando il ragazzo si voltò, vidi che non era Justin.

Dovetti spingere alcune persone per poter andare nelle prime file e passare sotto i nastri, dove vidi Tyson al telefono. Mi guardò con un misto di scuse, tristezza, rabbia e puro spavento. Il mio stomaco si strinse in una morsa dolosa. Non volevo guardare a terra, ma sapevo che prima o poi avrei dovuto farlo. Quello che vidi distrusse ciò che era rimasto del mio cuore. Mi precipitai a fianco del corpo che giaceva a terra, sporco, coperto di sangue e così pallido che sembrava morto.

"Justin," lo chiamai e per la prima volta iniziai a singhiozzare. Non silenziosamente, vorrei aggiungerei.

Questo non poteva accadere. Mi pizzicai il braccio, ma non era un incubo. Mi avvicinai maggiormente, sfuggendo dalle mani che cercavano di tirarmi indietro mentre i paramedici cercarono di raggiungere Justin. "Justin, ti prego, guardami," piansi. Mosse le palpebre e la sua pelle scottava, come se avesse la febbre, ma sembrava così debole. Era coperto di tagli e ferite per via della ghiaia e del sangue usciva dalla sua bocca. Chissà quanto dolore doveva provare.

"Sono qui. Mi dispiace. Mi dispiace, Justin, ti prego, mi dispiace. Ti prego non lasciarmi. Ti prego," ripetei all'infinito fino a che sentii delle lacrime scorrere lungo le guance. Continuai a singhiozzare e ad accarezzare il suo viso fino a che notai come un lampo di riconoscimento negli occhi vitrei di Justin. Non durò a lungo comunque. Per un secondo le sue labbra di mossero e per un momento pensai che davvero mi avrebbe lasciato. Stava pensando che non era davvero reale. Scommetto che è quello che davvero pensava.

"No!" gridai quando qualcuno mi abbracciò da dietro, intrappolando le mie braccia. Scalcai, continuando a chiamare il suo nome ancora e ancora, fino a che non venni trascinata via. Alzarono la barella di Justin, fino a farla entrare nel retro dell'ambulanza, gridando ordini e attaccando tubi, facendogli un massaggio cardiaco.

"Brooklyn! Brooklyn, smettila!" era la voce di mio padre. Tyson era di fronte a me, anche se non mi ero accorta che fosse lì. Non riuscivo a staccare gli occhi dall'ambulanza. Il guidatore mise in moto e se ne andò, guidando verso l'ospedale a sirene spiegate. Stavo iniziando ad avere problemi a respirare, annegando nelle mie stesse lacrime. Ero sicura di sogmiliare ad un disastro ambulante perché l'espressione di Tyson diceva tutto.

"Come hai potuto lasciare che tutto questo accadesse?" gridai, singhiozzando. "Avresti dovuto prenderti cura di lui!" Se mio padre non mi avesse tenuto, lo avrei preso a pugni, anche se era sbagliato incolparlo. Non riuscivo a pensare lucidamente al momento. "Come hai potuto?" continuai a gridare.

"Gli ho detto di avere un brutto presentimento per stasera. Gli ho detto di andare a casa!" replicò Tyson, alzando la voce. I suoi stessi occhi combattevano contro le lacrime e mi sentii in colpa per essere inveita contro di lui. I secondi passarono e realizzai di non stare inalando aria e i miei polmoni stavano cedendo. Non sapevo come far entrare aria dentro di essi.

"Dobbiamo-" non riuscii a finire la frase perché stavo boccheggiando. Ero terrorizzata, paralizzata, pietrificata. Justin avrebbe potuto morire e sarebbe morto credendo che lo odiassi. Sarebbe morto pensando che fosse la persona peggiore che avessi mai conosciuto e non avrei avuto l'occasione di dirgli che non era vero. Che mi aveva fatto del male, e arrabbiare e spaventare, ma che lo amavo, che lo amavo così tanto che non sarei riuscita a vivere senza di lui. Che non poteva lasciarmi, che avevo bisogno di lui, che fosse almeno vivo, anche se non avrebbe più voluto stare con me o anche se non lo avrei più rivisto. Avevo solo bisogno di sapere che il suo cuore batteva ancora.

I miei pensieri erano annebbiati e realizzai di aver completamente smesso di respirare e che i miei polmoni bruciavano così tanto che la mia visione si stava riempiendo di punti neri. Qualcuno mi stava scuotendo, ma non riuscivo a muovermi. E poi, le mie gambe cedettero e non vidi più nulla, lasciai che l'oscurità prendesse il sopravvento.

Fortsæt med at læse

You'll Also Like

6.1K 507 52
☆MISTERY ROMANCE☆ È bastata una sola notte e la vita di Daisy Mitchell è cambiata. Un solo secondo per scegliere di fuggire ad Aberdeen, con un baga...
50.9K 5.6K 68
La copertina è stata gentilmente realizzata dalla bravissima @NuvoleMagiche "Due braccia mi avvolgono completamente ed io poso la testa sul suo pet...
5K 98 7
Ella James, una ragazza di 17 anni, che si trasferisce a Los Angeles con la famiglia dopo aver trascorso quasi tutta la sua vita nel quartiere di Bak...
28.8K 2.8K 38
Alcune storie non hanno la fortuna di essere raccontate. Nessuno potrà mai venirne a conoscenza, togliendo al mondo o a quello che ne resta, la testi...