B.R.O.N.X.

By DREW94R

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Tralasciando il fatto che tutti e due vivono a New York, Justin e Brooklyn non hanno niente in comune. Mentre... More

1. Nice ride, shawty.
2. I'm everything but cute.
3. Wait, you know him?
4. Trouble is his second name.
5. You're no fun, Princess.
6.I believe you.
7. I love Disney Princesses so shut up.
8. Glad to know I have this effect on you.
9. I know who you were with.
10. I know you were enjoying that, e Brooke.
11. Have sweet dreams about me, Princess Non .
12. You're lucky you're cute or else I would have kicked your ass by t.
13. Let's say I don't believe in U love anymore.
14. Party & Bullshit
15. Drunk people never lie. Brooklynr
16."I was thinking about how much my life's changing because of you."
17. You're too beautiful to cry, Brooke.
18.I know things about Justin that would make you run away from him in a second.
19. Don't try that, Bieber.
20. I'm not good for you.
21. I like you, Justin Drew Bieber.
22. You want more of the Bieber Experience?
23"She still has to pass my test, Bieber."
24"You have one sexy ass."
25"You have to kiss a lot of frogs before you find your prince."
26"Bullets"
27"I think you're falling for her too. Hard."
28"You went all Bronx on her."
29"I love it when you become all protective."
30"What the hell were you two doing over there?"
31"You're not seeing him ever again."
32"You thought I wouldn't find out, Brooklyn?"
33"You're in deep trouble for this, sorry or not."
34"Badasses can fall in love too."
35"I had never seen him this way before."
36"family"
37"Were you trying to make me jealous?"
38"You sure you wanna do this?"
39"I would say I'm glad to see you, but it's not true."
40 "I'm dying to see you in a suit."
41"Are you ready?"
42"Subway"
43"Did you know your boyfriend has a criminal record?"
44 "Boys from my side of town don't get fairytale endings."
45 "He needs you."
46"Show me that you've changed, Justin."
47"I see you listened to me."
48"What were you doing with that prick?"
49"You truly are so naïve, girl."
51"I think I will take you up on the car races, if the offer is still up."
52"I really hope you're not lying to me."
53"My life is already wrecked. There is nothing that can save it."
54"I don't want to be with you right now."
55"You're going to wish I had killed you today."
56"You're not you anymore."
57"Oh, I like being miserable."
58"He was close to dying."
59"He was playing with fire and so he got burnt."
60"If I had the chance, I'd take it all back and make it right."
61"I've seen how easily you can lose everything you have."
62 "Every saint has a past and every sinner has a future."
63"We're going to be okay, right?" "Yes. We'll be alright."

50"You don't have to pretend that you're okay."

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By DREW94R


Brooklyn

Avrei tanto voluto che Justin ed io potessimo avere il nostro "posto". Come le coppie all'interno di un libro o di un film, quel posto in cui sanno che si ritroveranno se mai dovessero avere bisogno l'uno dell'altro. Quel posto in cui si nascondono dopo un litigio, o quando sono arrabbiati, e hanno il sentore che l'altro riuscirà a confortarli.

Ma Justin ed io avevo parecchi posti speciali - o almeno per me era così. Le immagini scorrevano all'interno della mia mente come diapositive. Sarebbe stato più facile trovarlo se avessimo avuto un posto sicuro.

Per prima cosa, fui scioccata quando lo vidi uscire dall'appartamento, non riuscii nemmeno a dirgli di prendere la felpa o la giacca. Sperai che prendesse la macchina o sarebbe morto di freddo. Mi ritrovai a piangere quando dovetti spiegare ai due uomini - che sembravano entrambi stupiti dalla corsa di Justin - che lui era il figlio di Jeremy ed era abbastanza impulsivo nel reagire quando qualcosa non andava per il verso giusto.

Annuirono comprensivi, offrendomi anche un fazzoletto per asciugarmi le lacrime. Cercavo faticosamente di smettere di piangere e pensare con lucidità, ma sapere che Justin era là fuori da solo e spaventato - incline a cacciarsi nei guai - aggiungendoci il fatto che avessi appena ricevuto quella notizia, non aiutava per niente.

Sapevo che avrei dovuto cercare Justin, controllare che non commettesse idiozie, ma non c'era nessuno a casa e non avrei potuto lasciare lì quei due uomini ad aspettare che Pattie tornasse.

Dov'era? E se Jazzy fosse tornata prima di lei, da sola?

La situazione stava diventando difficile da gestire. Ero troppo giovane per sapere quale fosse la cosa giusta da fare. Ero spaventata ed ero sull'orlo di una crisi di panico. Come se l'avesse sentito, uno dei soldati - quello con gli occhi azzurri e la testa rasata - poggiò una mano sulla mia spalla.

"Dovresti seguirlo," disse, riferendosi a Justin. "Jeremy era un buon amico e vorremmo dare noi la notizia a sua moglie. Aspetteremo qui." L'altro ragazzo, dagli occhi più scuri, annuì, afferrando la borsa di Jeremy dal suolo.

Cosa c'era lì dentro? Vestiti? Foto della sua famiglia? La sua uniforme...

Non volevo saperlo, e non sapevo nemmeno come avrei potuto dirlo a Pattie, Jazmyn e Jaxon. Il piccolo ed innocente Jaxon. Improvvisamente mi sentii sollevata nel sapere che non avrei dovuto farlo io. Non ne sarei stata capace, ero positiva.

"Okay," dissi tirando su col naso. Dovevo smetterla di piangere e cercare Justin. "Potete aspettare nel soggiorno." Lasciai entrare i due uomini e chiusi la porta. Non si guardarono nemmeno attorno e si sedettero sul divando. Era ovvio che Jeremy doveva aver significato molto per loro, avevano instaurato un'amicizia mentre erano lontani da casa.

Per qualche ragione, questo mi fece commuovere e singhiozzai, prendendo poi un respiro profondo. Lasciai i due uomini lì mentre m'infilai il resto dei vestiti - non mi ero accorta di non aver indosso né le calze né le scarpe e i miei capelli non erano più legati in una coda di cavallo.

Non m'interessava con quale aspetto mi fossi presentata davanti a loro, ad essere sincera. Dopo essermi vestita ed aver maledetto il fatto di non aver comprato scarpe più comode, afferrai la giacca di Justin (quella che avevamo comprato insieme) e sbattei la porta dopo aver salutato brevemente i due soldati.

Mi fidai nel fatto che non avrebbero ridotto la casa un disastro, visto e considerato i loro stati d'animo, dubitai potesse succedere. Una volta che fui in strada, non ero così felice del fatto che Justin avesse preso la macchina.

Per prima cosa, non era nelle condizioni di poter guidare. Secondo, ciò significava che poteva essere dovunque e le probabilità di trovarlo diminuivano. Esclusi le case dei suoi amici ed il parco.
Mi strofinai gli occhi con le mani non appena fui in macchina.

Ero consapevole del fatto che il mio trucco si fosse sciolto, ma non m'importava. Cercai di respirare profondamente e di calmarmi. Mi aggiustai la coda di cavallo meglio che potei - solo per comodità - ed avviai la macchina.

Dopodiché realizzai che non avevo la più pallida idea di dove andare. Ma non potevo rimanere seduta lì senza far nulla. Sarei impazzita. Dovevo farlo per Justin, per cui iniziai a guidare. Pensai ad ogni possibile posto in cui Justin potesse essere andato.

L'albero a Central Park? No, troppo affollato. E poi non sarebbe riuscito a trovarlo da solo. Il tetto dove mi aveva portato la sera in cui confessò di amarmi? No, era ancora giorno - sebbene il sole iniziasse a tramontare ad ovest della città - e scommettei il fatto che non sarebbe riuscito a superare la sicurezza a quest'ora.

Quella notte mi sembrò un edificio importante e per poco non ci scoprirono. Il ponte su cui aveva disegnato quei graffiti per il mio compleanno? Non sapevo nemmeno dove si trovasse e, questa volta, sentivo che Justin voleva essere trovato. Presto o tardi, avrebbe avuto bisogno di una spalla su cui piangere.

Guidai per la città per chissà quanto - non volli rischiare di guardare l'orologio sul cruscotto - quando vidi un gruppo di turisti sul ponte di Brooklyn. Mi si accese una lampadina nella testa, e sterzai bruscamente - ammisi che fu un gesto azzardato - nella via che portava al ponte.

Non ero pienamente sicura del fatto che Justin potesse trovarsi lì, ma c'erano buone possibilità che ero vicina a scoprirlo. Coney Island era un posto tranquillo in quel periodo dell'anno, considerando la temperatura, e ricordai che Justin aveva detto di venire fin qui a pensare quando non c'era nessuno.

Un po' come facevo io quando uscivo a fare shopping per concentrarmi sui miei pensieri. Quando finalmente ebbi il coraggio di sbirciare l'ora, una volta che ebbi parcheggiato sul lungomare, rabbrividii. Erano passati già 40 minuti da quando avevo lasciato l'appartamento di Justin. Ero terrorizzata dal fatto che avrebbe potuto prendersi una polmonite.

Chiusi l'auto e superai il parcheggio per poi dirigermi in spiaggia. Notai la macchina arancione di Justin parcheggiata in un angolo. Occupava ben due parcheggi, contrariamente al fatto che solitamente stava molto attento a parcheggiare tra le linee. Era comprensibile.

Se non altro la macchina era intera, il che significava che anche Justin lo era. Camminare sulla sabbia con i tacchi fu impegnativo. Continuai ad affondare e immaginai la faccia di mia madre nel vedere ciò che stavo facendo con le sue Louboutin.

Doveva essere preoccupata del fatto che non fossi ancora tornata a casa, ma non volevo controllare il mio telefono. Me ne sarei occupata più tardi. Continuai ad affondare nella sabbia come se stessi camminando nella neve, forse se avessi tolto le scarpe avrei camminato più veloce. Forse non erano ancora così sporche.

Presi le scarpe in mano, reggendo con l'altro braccio la giacca di Justin. Sobbalzai nell'istante in cui posai il piede sulla sabbia. Ero consapevole del fatto che le dita dei piedi sarebbero congelate prima che potessi raggiungere Justin.

Prendendo un lungo respiro, il che non fece altro che farmi bruciare i polmoni d'aria fredda, ripresi a camminare. Ringraziai il fatto che il calore della mia giacca fosse sufficiente a scaldarmi. Non avevo ancora visto Justin. Avrebbe potuto andare così lontano dalla sua macchina? Dannazione.

Finalmente i miei occhi si focalizzarono su un punto scuro in lontananza ed iniziai correre verso di esso. I miei piedi erano praticamente intorpiditi, potei solo immaginare in che stato fosse il corpo di Justin con quella maglietta leggera. Rabbrividii per lui.

Se Justin mi avesse sentito, non si sarebbe voltato. Era seduto con la testa poggiata sulle ginocchia, le braccia incrociate attorno ad esse ed era scosso per via dei singhiozzi. Avevo paura di toccarlo nel caso in cui fosse scoppiato o qualcosa del genere, ma non riuscii a sopportare la vista di ciò che avevo davanti.

Ricacciai indietro le lacrime. "Justin," dissi a bassa voce. Non si mosse. "Ti ho portato la giacca." Non mi aspettavo che la indossasse, così m'inginocchiai dietro di lui - sobbalzando ancora una volta per il terreno gelido - e gli poggiai la giacca sulle spalle. Gli presi entrambe le braccia e cercai d'infilargliele nelle maniche.

Le sue mani erano completamente congelate e la sua pelle era pallida ed arrossata allo stesso tempo. Mi sedetti accanto a lui e poggiai il braccio attorno alle sue spalle, avvicinandomi più che potei. Gli posai persino il cappuccio sulla testa. Quando lo abbracciai, lo sentii tremare. Non sapevo se fosse per il freddo per suo padre.

Non sapevo che cosa dire, per cui rimasi in silenzio. Dopo alcuni secondi, gli afferrai la mano e vi soffiai sopra dell'aria calda per scaldarla. Justin non protestò né tanto meno parlò. Sapevo che quello era il suo comportamento normale, ma ero ancora spaventata.

Continuai a tenere la sua mano tra le mie. Le dita di Justin erano diventate viola e sulla sua mano destra vi erano delle escoriazioni. Per favore, dimmi che non hai nuovamente colpito un muro, pregai. Ma, a giudicare dall'aspetto della sua mano, era troppo tardi per sperare. Mi morsi la lingua per evitare di rimproverarlo. L'avrei fatto dopo.

La sua mano non sembrava così messa male come l'ultima volta, non c'era sangue, il che fu rassicurante. Justin, tuttavia, non mi permise d'infilargli la mano in tasca. Se non altro stavo ottenendo una qualche reazione da parte sua... giusto? "Justin," tentai di nuovo, la mia voce era ancora sottile.

Non rispose, scosse semplicemente il capo, ancora premuto contro le ginocchia. Non riuscii a vederlo nonostante mi abbassai. Le mie gambe tremavano per il freddo e sfregandole con le mani non servì a riscaldarle. Tuttavia, il dolore svanì quando vidi Justin sollevare il capo.

Trattenni il respiro. Stava per parlare? "Non siamo mai andati ad una partita dei Nets," disse così lentamente che riuscii a malapena a sentirlo sopra al suono del vento. Affondai i denti nel labbro inferiore per evitare di crollare ancora. La voce di Justin era così rauca e non riuscii a dire se stava per scoppiare a piangere.

Poco dopo cercò di sollevare lo sguardo, si perse nel mare. I suoi occhi erano velati ed il naso rosso, ma, ancora una volta, pensai fosse per il freddo. Non ero sicura di niente in quel momento. Sperai davvero che non si aspettasse che dicessi qualcosa, perché ero a corto di parole.

Avevo la gola secca, gli occhi pieni di lacrime e non volevo iniziare a piangere davanti a lui. Per una volta, avrei voluto essere io quella forte. Evidentemente Justin non si aspettava che rispondessi. Continuò a guardare avanti a sé e mormorò: "Se n'è andato. Se n'è andato, cazzo."

Voltò il capo e mi guardò. Avrei preferito che non lo facesse. Il dolore nei suoi occhi era così evidente, quasi come se qualcuno gli avesse strappato il cuore e ora avrebbe solo voluto gridare. Non potevo sopportarlo. Era troppo opprimente. In quel momento avrei fatto di tutto - qualsiasi cosa - per trascinare via tutto il suo dolore, per cancellargli quell'espressione addolorata dal viso.

Feci l'unica cosa che pensavo potesse aiutare, lo abbracciai. Mi strinse a sé, avvolgendo le sue braccia attorno alla mia vita e si strofinò contro al mio collo. Sembrava quasi che lui stesse confortando me e non il contrario, fino a che non lo sentii singhiozzare. Lo strinsi maggiormene a me, accarezzandogli la schiena e la nuca.

Lacrime bollenti mi bagnarono il collo e Justin sussultò sempre più vistosamente. "Andrà tutto bene," sussurrai, baciandogli la tempia. "Andrà tutto bene." Ripetei quelle parole alcune volte, sapendo che non avrebbero aiutato a dissolvere il suo dolore, ma sentii il bisogno di provarci.

A sua volta mi aveva detto quelle parole tempo prima ed erano riuscite a calmarmi, seppur per poco. Speravo così che potessero avere lo stesso effetto su Justin. Inutile dire che niente sarebbe andato per il verso giusto, almeno per un po'. Lo sapevo. Justin lo sapeva. Ma nessuno fece commenti.

Non seppi con esattezza quanto durò quell'abbraccio nel bel mezzo della spiaggia, il suono delle onde che s'infrangevano a riva faceva solo da sfondo, assieme a qualche gabbiano. Non appena Justin smise di piangere, lasciai andare la presa in modo che potesse sollevare il capo.

I suoi occhi color nocciola erano più verdi che dorati ora che erano umidi, ed erano arrossati. Avevo già versato la mia quantità di lacrime, ma cercai di mantenere il silenzio in modo che Justin non mi sentisse. I miei occhi erano in parte asciutti, così passai i pollici sulle gote di Justin, spazzando via i resti della sua tristezza.

Avrei voluto che fosse così semplice. Convinsi Justin a tornare a casa perché stava congelando e stava diventando buio. Il sole era tramontato sopra di noi, coprendo la spiaggia di un velo blu grigiastro. Camminammo in silenzio sino al parcheggio. Non c'era molto da dire.

Sapevo che Justin stesse cercando di processare il tutto, e rivedere la sua famiglia non avrebbe fatto altro che far riemergere le sue emozioni. Avrebbe dovuto rilassarsi per un po'. Lo convinsi a farmi guidare la sua macchina - sebbene volesse comunque mettersi al volante nonostante lo stato in cui era - e mi assicurai che non si dimenasse troppo.

Lo sguardo che mi dedicò, quando gli dissi che il giorno dopo avrei preso l'autobus per venire a recuperare la macchina, mi riempì il cuore. Sembrava così riconoscente del fatto che avrei preso un mezzo di trasporto pubblico per lui.

"Non c'è nulla che non farei per te," dissi, facendo scorrere le dita tra i suoi capelli scombinati. Sembrava che fosse appena uscito dal letto, il suo aspetto era più o meno quello. Justin cercò di sorridere, ma le sue labbra lo tradirono. Posò una mano sul mio viso in segno d'apprezzamento.

Passai il dito sopra le sue labbra. "Le tue labbra sono viola," dissi preoccupata. Avrei dovuto spingerlo prima in macchina. E se si fosse già ammalato?

"Puoi accendere il riscaldamento," disse Justin, cercando di adottare il suo solito tono spavaldo. Ridacchiai, felice del fatto che non avesse perso del tutto il suo senso dell'umorismo, prima di avvicinarmi e baciarlo.

Fu un bacio casto, giusto per dimostrargli che ero lì per lui e per portargli via un po' di freddo. Tuttavia, la lingua di Justin s'infilò nella mia bocca. Riuscii a sentire che ne aveva bisogno, forse perché in quel modo sarebbe riuscito ad allontare i problemi che lo affliggevano.

Lasciai che quel bacio gli infondesse l'energia necessaria, allontanandomi solo quando ebbi il bisogno di prendere aria. Allacciai velocemente la cintura, scostandomi una ciocca di capelli da davanti agli occhi.

"Grazie," mormorò Justin, posando una mano sulla mia gamba. Sorrisi, posando la mia mano sulla sua. "Starai bene, Justin. E io sarò qui per aiutarti."

Imboccai la via di Justin un'ora e mezza dopo. S'irrigidì. La finestra della sua cucina era illuminata e ciò significava che qualcuno era a casa. Gli strinsi la mano rassicurandolo. Il calore della macchina aveva svolto il suo compito e ci aveva donato un po' di tepore.

Salire quella rampa di scale fu doloroso. Justin non fu così veloce ed abile ad aprire la porta come suo solito. Suonai il campanello perché mi ero scordata di prendere le chiavi. Un uomo che non conoscevo aprì la porta dopo un minuto. "Justin," disse sorpreso, il che mi fece capire che lui lo conosceva.

"Zio Rob?" Justin inarcò le sopracciglia confuso. Non avevo mai sentito parlare di lui e mi guardò incuriosito prima di lasciarci entrare. "Non eri nelle Filippine?" domandò Justin appendendo la sua giacca.

Lo imitai, domandandomi come mai non avessi mai sentito parlare di quest'uomo. Era il fratello di Pattie o di Jeremy? Ora che fummo più vicini, la somiglianza con Jeremy si fece più sottile. Avevano gli stessi occhi e lo stesso naso. Era un po' strano, considerando la situazione.

"Sono arrivato non appena ho sentito la notizia," spiegò Rob, cercando di usare la massima cautela. Justin annuì semplicemente. "Dov'è mamma?"

"In cucina," rispose esitante. Prima che Justin si allontanasse, suo zio gli diede una pacca sulla schiena. Non sembravano avere un buon rapporto. "Starò qui per qualche giorno." Justin anniì ancora prima di recarsi in cucina.

Restai sola con un uomo che non conoscevo e non sapevo perché Justin non mi avesse presentata. Era perché avesse altro a cui pensare, o perché non volesse farlo? Tuttavia, gli porsi educatamente la mano. "Sono Brooklyn, la ragazza di Justin." Spalancò gli occhi, mentre mi strinse la mano. "Justin ha una ragazza?"

Avrei volute scoppiare perché chiunque mi poneva quella dannata domanda, ma quell'uomo aveva appena perso suo fratello, per cui decisi di utilizzare le buone maniere. "Sono dispiaciuta per la vostra perdita," dissi nel modo più cortese che potei. "Non sapevo che Jeremy avesse dei fratelli."

"Non siamo i migliori fratelli del mondo. L'ultima volta che l'ho visto è stato due anni fa." Sobbalzai leggermente, perché non capivo come avessero potuto far passare così tanto tempo prima di vedersi, ma mantenni la bocca chiusa. Ciò significava che non vedeva i suoi nipoti da così tanto tempo.

Doveva esser sorpreso nell'aver visto Justin così cresciuto e, apparentemente, del fatto che avesse una ragazza. Fortunatamente, quella conversazione fu assurda anche per lui, almeno tanto quanto lo era per me, e lo perdonai.

Avrei voluto vedere cosa stesse facendo Jazmyn, ma sia la porta della sua stanza, che quella di Jaxon, era chiusa. Non riuscii a sentire nemmeno Jaxon, ma lo vidi giocare in silenzio con i suoi giochi nel salotto. Rob lo stava guardando con un'espressione triste dipinta in viso.

L'avevano già detto a quel bambino? Sarebbe stato in grado di capire? Mi si riempirono gli occhi di lacrime al solo pensiero. Avrei voluto digirermi in cucina, ma non volevo interrompere un momento così intimo tra Justin e sua madre.

Sentii dei singhiozzi soffocati. Avvertii nuovamente gli occhi pizzicare. Cercai di distrarmi rispondendo al telefono, il quale non aveva cessato un solo istante di suonare. Avevo almeno dieci chiamate perse tra Kelsey e mia madre e una dozzina di messaggi.

Persino Tyson aveva cercato di chiamarmi. Lo sapevano? Come l'avevano scoperto? Non avrei volute spargere la notizia, ma sapevo che avrei dovuto dare un motivo valido a mia madre per spiegarle perché non fossi ancora tornata a casa. Avrebbe scoperto che le avessi mentito sul brunch. Sapevo già che non sarei riuscita a mantenere un tono di voce stabile, per cui le scrissi un messaggio.

Sono con Justin. È successa una cosa terribile alla sua famiglia e ha bisogno di me. Ti spiegherò tutto quando tornerò a casa. Baci

Aggiunsi quel baci sperando che non si sarebbe arrabbiata e che non avesse detto nulla a mio padre. Justin ricomparve dalla cucina poco dopo, il suo respiro era spezzato. Il suo petto si alzava e si abbassava mentre cercava di non crollare. Lo raggiunsi.

Mentre lo abbracciai di nuovo - l'avrei fatto fino a che non avesse più avuto bisogno di me - vidi Pattie dietro di noi, appoggiata al bancone. Justin stava cercando di rimanere forte per lei. Stava cercando di adempiere al desiderio di suo padre: che si sarebbe comportato come l'uomo di casa mentre lui non era qui.

"Non posso farlo," disse, nella sua voce si celava il panico ed avvolse completamente la mia vita. Gli presi il viso tra le mani, costringendolo a guardarmi negli occhi. "Sì che puoi." Deglutì, dal suo sguardo sembrava così perso ed insicuro.

Gli tremarono le mani. Ero seriamente preoccupata che potesse avere un attacco di panico, questa volta per davvero. Lo accompagnai nella sua camera, non prima di aver dedicato un'occhiata a Pattie. Rob era con lei, così io avrei potuto prendermi cura di suo figlio.

Justin mi seguì, senza mai lasciarmi la mano. La stringeva così forte che mi fece quasi male. "Siediti," gli ordinai dolcemente, posando le mani sulle sue spalle e spingendolo sul letto. Obbedì, ma continuò ad avere un respiro irregolare.

Mi morsi il labbro, cercando di capire cosa potessi fare. Non avevo mai visto nessuno nel bel mezzo di una crisi di panico, per cui non avevo idea di che cosa fare. "Justin, guardami." Posai le dita sotto al suo mento, costringendo i nostri sguardi ad incrociarsi. "Ti cambierò i vestiti e mi sdraierò accanto a te, okay? Starò con te fino a che lo vorrai. Andrà tutto bene."

Non sapevo perché continuassi a ripetere quella frase. A quel punto sembrava più rassicurare me invece di lui. Justin annuì, permettendomi di sfilargli le scarpe prima che potessi sbottonargli la camicia. La sua pelle non era più fredda, ma pensai che fosse una buona idea dargli qualcosa di caldo da bere.

"Vuoi un-" fissai la porta, ma Justin mi afferrò il braccio. "Non andartene." La sua voce era strozzata, come un bambino perso nel bosco di notte, e sentii il mio cuore cedere. Non volli insistere sulla cioccolata calda che avevo in mente di preparargli. "Okay, okay. Non vado da nessuna parte."

Con quelle parole sembrò calmarsi un po', abbastanza da far sì che s'infilasse un paio di pantaloni della tuta da solo. Recuperai dal cassetto una maglietta bianca pulita e gliela infilai sopra la testa. Dopodiché s'infilò sotto alle coperte. Tremava ancora.

Mi sedetti accanto a lui, abbassandomi alla sua altezza. Aspettai che fosse lui a toccarmi, non volevo invadere il suo spazio. Se fosse stato per me, mi sarei aperta la pelle per permettergli di entrarvi. Chiuse gli occhi ed il respiro si regolarizzò. Avvicinò la mano alla mia e sapevo che ora voleva avere un contatto.

Gliela strinsi e me la portai alle labbra. Baciai il dorso graffiato della sua mano, per poi accarezzargliela. Improvvisamente Justin aprì gli occhi e mi fissò. "Sono una mezzasega," disse, facendomi rimanere sorpresa.

"Non è vero, Justin." Mi rifiutai di ripetere quella parola. "Questa reazione è normale. Non voglio che tu ti senta così, okay? Non azzardarti a pensare una cosa del genere solo perché stai male per la morte di tuo padre." Justin annuì, ma, esattamente come aveva fatto fino ad ora, sembrò un gesto automatico.

Continuai ad accarezzargli la mano, il viso, i capelli, dolcemente. Improvvisamente si sedette accanto a me. "Io.." iniziò. "Dovrei essere l'uomo di casa adesso? Perché non posso farlo. Non ci riesco. Non sono pronto. Mentre lui non c'era, ho finto di essere in grado di farcela, ma ora sembra tutto così reale, è troppo difficile." Pronunciò velocemente quelle parole.

"È tutto vero," dissi flebilmente. Justin scosse il capo. "Non capisci, Brooklyn. Non può essere morto, andato via per sempre. Non può. Forse è solo stato rapito o perduto. Non hanno detto di aver trovato il suo corpo, vero?" il suo sguardo sembrò pieno di speranza.

Lo stomaco mi si chiuse in una morsa. Sospirai. Mi guardava come se si aspettasse una risposta, aspettava che gli dicessi che aveva ragione, che c'era una possibilità che Jeremy fosse ancora vivo. Ma non potevo dirglielo. Non avevo idea se avessero ritrovato il corpo, ma pensavo di sì. Non avrei potuto mentirgli, mi si sarebbe spezzato il cuore a vederlo soffrire.

Invece, gli dissi, "Starai bene, Justin. Tuo padre credeva in te, era fiero di te. Sapeva che avresti potuto farcela e anche io lo so. Tua madre lo sa, i tuoi fratelli lo sanno. Lo farai ed io ti sarò sempre accanto."

Sapevo che questo non era ciò che voleva sentire, ma cos'altro avrei potuto dire? Justin chiuse la bocca. Non aveva null'altro da dire.

Pochi minuti dopo, si addormentò sul mio grembo. Il suo capo era poggiato sul mio stomaco, le sue labbra dischiuse quanto bastò per permettergli di respirare. Il suo battito cardiaco si era stabilizzato. Sembrava aver finalmente raggiunto un senso di pace.

Sapevo che aveva bisogno di dormire - doveva essere esausto - così cercai di non muovermi, sebbene fossero le dieci di sera passate ed avrei dovuto tornare a casa. Mia madre aveva risposto al mio messaggio con qualcosa molto simile ad una minaccia di morte se non le avessi dato una buona motivazione per giustificare la mia bugia.

Feci scorrere dolcemente le dita tra i capell di Justin. Sentii il suo battito contro la mia gamba. Il rumore della porta mentre si aprì mi fece sobbalzare. Era Pattie. Nonostante la situazione, mi sorrise. Abbozzai un sorriso a mia volta.

"Si è appena addormentato," dissi. Pattie annuì, entrando nella stanza. I suoi occhi erano gonfi ed arrossati, il suo aspetto lasciava intendere che fosse invecchiata di almeno cinque anni da un giorno all'altro. "Grazie per esserti presa cura di lui," disse.

Sembrava essere sull'orlo di scoppiare a piangere, il suo tono di voce fu così flebile che avrei voluto correre ad abbracciarla. Ma Justin era sdraiato sopra di me su quel letto e con il suo peso addosso riuscii a malapena a muovermi.

"Non devi ringraziarmi," risposi velocemente. "Voglio che sappia che sono qui per lui. Sono qui per tutti voi. Se avete bisogno di qualcosa basta dirlo." Pattie mi ringraziò silenziosamente. Riuscii a vedere i suoi occhi velati di lacrime. Mi sentii impotente perché non avrei potuto fare nulla per farli sentire meglio.

"Sembra così piccolo mentre dorme." Spostò lo sguardo su Justin. "Mi tornano alla mente i momenti in cui c'eravamo solo Jer, Justin ed io. Voleva dormire nel nostro letto tutte le sere. Aveva così tanta paura del buio." L'ombra di un sorriso gli fasciò il viso a quell ricordo.

"Justin aveva paura del buio?" mi accigliai. Non l'avrei mai detto. Credevo che Justin non avesse paura di niente. Ovviamente era un umano e avrei dovuto mettere da parte quella mia stupida idea. Sapevo che la sua unica paura fosse quella di veder scomparire suo padre per sempre. E ora quell'ipotetico incubo era divenuto realtà. Non era giusto.

"Tanta paura," rispose Pattie con una leggera risata. Si sedette sul bordo del letto, continuando a guardare suo figlio. "Credo che sia ancora così. Non dorme mai con la porta completamente chiusa. A meno che non sia con qualcuno."

Arrossii. Justin ed io non avevamo dormito molte volte nello stesso letto, ma quando era successo non si era mai lamentato del buio. Si era limitato a stringermi e mi ero sentita improvvisamente al sicuro. Non avevo mai pensato che per lui potesse essere lo stesso. Non avevo mai realizzato il fatto che avesse bisogno di protezione anche lui.

"Ho chiamato Tyson per riaccompagnarti a casa. È tardi." Prima che potessi aprir bocca, Pattie aggiunse, "Lo sa già." Annuii. "Okay, grazie."

Dopo un momento di silenzio in cui entrambe contemplammo Justin mentre dormiva, guardai Pattie. "Dovresti rimanere con lui stanotte," dissi sorridendo. "Credo che non voglia dormire da solo."

Justin si mosse leggermente quando scivolai via dalla sua presa, ma sembrò tranquillizzarsi quando Pattie lo abbracciò, sdraiandosi accanto a lui. Gli passò una mano tra i capelli, nel modo in cui tutte le mamme lo fanno. Era un'immagine così bella.

Justin era un ragazzo di diciannove anni, con tatuaggi ed una bocca che avrebbe fatto cadere ai propri piedi persino delle ragazze più grandi, ma dentro sé era ancora un bambino, terrorizzato dal fatto che suo padre se n'era andato e cresciuto troppo in fretta in mezzo alla gente sbagliata.

Anche mentre dormiva, il suo viso sembrava avvolto dal dolore. "Se dovesse svegliarsi, digli che può chiamarmi se dovesse avere bisogno. Non importa che ore siano, davvero." Sperai che Pattie capisse le mie parole. Probabilmene non sarei riuscita a dormire. "Tornerò domattina."

"Non preoccuparti, dolcezza. Vai a casa e riposati. Sembri così stanca." Mi abbassai per baciarle la guancia, per poi fare lo stesso con Justin, nel modo più dolce che potei. "Sei una donna forte, Pattie. Più forte di quel che pensi." Mi strinse la mano, cercando di ricacciare indietro le lacrime. Quello fu il suo modo per dirmi 'grazie'.

Justin

Lanciai la palla in aria, mancando il canestro per la quinta volta consecutiva.Volevo colpire qualcosa. Ancora. Guardai in basso verso le mie nocche fratturate. Non mi ero nemmeno preoccupato di curare la ferita, e ora il sangue secco era sparso su tutta la mia mano. Faceva male ma non me ne poteva fregare di meno. Il dolore fisico era sicuramente migliore del dolore emotivo, o come viene definito.

Recuperai la palla e la lanciai di nuovo. E ancora sbagliai. Imprecai sottovoce. Avevo tutta questa rabbia repressa dentro di me che volevo liberare, ma non sapevo come. Non era come se potessi andare e picchiare selvaggiamente qualche povero bambino che non mi aveva fatto niente.

Non era come se potessi volare fino in Afghanistan e trovare il figlio di puttana che aveva messo una mina sopra alla quale vi passò mio padre. Vorrei poterlo fare così mi assicurerei che lui soffra una morte lenta e dolorosa. Lo ucciderei con le mie stesse mani se potessi.

Avevo ignorato Tyson, Mike, Will e Luke per un'ora, ma sentivo ancora i loro sguardi addosso. Si comportavano tutti come se non avessero il minimo di tatto nei miei confronti. Non sapevo nemmeno perché erano ancora qui. Non avevo detto loro più di tre parole.

Attento a non dire la parola sbagliata.

Non fare battute inappropriate.

Non affrontare il problema.

Scommettevo che questi erano i loro pensieri.

Lo odiavo. Odiavo essere compianto. Odiavo il fatto che mi guardassero con preoccupazione. Più di tutto, odiavo non poter far niente per salvare mio padre.

"Fanculo!" urlai, consapevole che fosse una domenica mattina in un parco pubblico e che i miei amici fossero solo a pochi passi di distanza. Lanciai la palla a lato, senza preoccuparmi veramente di dove potesse finire, se avesse potuto colpire qualcuno o se l'avessi persa. Non m'importava di niente.

Ieri ero triste, devastato. Ho pianto più di quanto io abbia mai pianto. Anche peggio di un bambino. Avevo lasciato che tutti vedessero una parte di me che volevo seppellire due metri sotto terra. Una parte che mi aveva fatto apparire debole.

Io non solo debole, dissi a me stesso.

Oggi, qualsiasi desolazione si è trasformata in rabbia. Vera, fredda rabbia. Non sapevo nemmeno perché i miei amici erano ancora lì a sopportarmi. Non sapevo come mia madre avesse fatto a sopportarmi quando questa mattina mi sono svegliato e sono scappato da casa. Non avevo visto la sua faccia ma non bisognava essere troppo intelligenti per capire che era ferita.

L'ultima cosa che volevo era ferire lei o i miei fratelli...

O la ragazza che stava camminando verso di me con un'espressione preoccupata. Brooklyn indossava dei semplici jeans e il suo cappotto kaki. Salutò i miei amici prima di intraprendere la sua strada verso dove stavo, immobile. Non avevo notato che il mio respiro aveva accelerato per la rabbia.

Brooklyn si morse le labbra con i denti, strofinando le mani sulle tasche. Aveva un aspetto orribile quasi quanto me, come se non fosse riuscita a prendere molto sonno. I suoi capelli erano raccolti in una coda di cavallo, la quale rendeva più evidenti i cerchi scuri intorno ai suoi occhi.

Mi sentii un coglione ancor prima di averle rivolto la parola, perché sapevo che mi sarei comportato come tale nei minuti successivi.

"Tua madre ha detto che stavi giocando a basket" disse con una sorprendente voce confidenziale. Avrei dovuto aspettarmi che sarebbe stata così attenta e dolce anche con me. Forse mi conosceva meglio di quanto credessi. "Quindi, dov'è la palla?"

Ignorai la sua domanda. Non mi importava di dove fosse quella dannata palla. "Sei andata a casa mia?"

"Sì. Io e mia madre abbiamo fatto una torta prima, così l'ho portata là." spiegò. I suoi occhi mi stavano sottilmente scrutando. "Sembri stanco, hai dormito male?"

Ignorai di nuovo la sua domanda. "A che ora sei andata via la scorsa notte?"

Non sembrava infastidita dalla mia elusione. "Alle dieci e mezza circa. Tyson mi ha accompagnata a casa."

Questo spiegava perché mia madre stava dormendo nel mio letto quando mi sono svegliato nel bel mezzo della notte. Ero andato in panico per un secondo quando non avevo visto Brooklyn di fianco a me.

"Quindi non hai dormito?" insistette, e questa volta risposi.

"Mi sono svegliato verso le 2. Ho fatto un brutto sogno."

"Vuoi parlarne?" propose, tirando una mano fuori dalla tasca per portarsi la frangia dietro l'orecchio.

"Sono quasi certo che tu possa immaginare su che cosa fosse." dissi piuttosto duramente. Brooklyn non indietreggiò nemmeno.

"Sì, penso di saperlo."

Mi girai perché non avevo voglia di continuare a parlare - o piuttosto di scagliare la mia ira contro di lei - cercando la mia palla per il campo. Era arrivata ad appoggiarsi contro un cespuglio. Andai a prenderla e continuai a lanciarla. Ce la feci solo una volta.

I miei amici erano ancora seduti su una panchina, e Brooklyn era ancora lì in piedi nella stessa posizione di prima. Non c'è da stupirsi del fatto che mi irritò. Tutto mi irritava quel giorno. Anche vedere mio zio Robin in cucina questa mattina a fare il caffè mi aveva irritato.

Non si era fatto vivo nemmeno una volta in due anni e ora pensava che fosse la cosa migliore venire a condividere il suo dolore per mio padre con noi. Almeno dormiva sul divano.

La palla volò sul terreno e colpì il tabellone del canestro, tornando indietro come un boomerang. Si fermò di fianco ai piedi di Brookyln. Lei la prese e la tenne. Sospirai. Non me l'avrebbe lanciata indietro.

Camminai verso di lei e aprii le mie mani per ricevere la palla, ma lei rimase ferma, sostenendo il mio sguardo con i suoi scuri occhi marroni.

"Non devi far finta di stare bene," disse, come se avessi mai detto di esserlo. "Nessuno si aspetta che tu lo sia."

"Non sto facendo finta." riposi, mettendo le mani sulla palla. Quando la tirai indietro, lei non si spostò.

Gli occhi di Brooklyn fissavano i miei, come se stesse cercando di vedere oltre la facciata che mi stavo costruendo. Solo che non stavo fingendo.

"Le persone muoiono ogni giorno, Principessa. Alcuni stanno peggio di me. Non passerò il resto della mia vita lamentandomi perché ho perso mio padre. Queste cose succedono."

Mi guardò evidentemente con aria scioccata. Mi stavo comportando come un cazzone e lo sapevo. Una risata secca uscì dalle sue labbra. "Justin, ti stai ascoltando?" esclamò, sbalordita. Poi, realizzando di aver parlato troppo forte, continuò con una voce più bassa.

"Tuo padre è morto, hai tutto il diritto di essere addolorato e di compiangerlo. Non puoi trattenere tutte le tue emozioni dentro di te. Questo di solito non va a finire bene." Sembrava quasi arrabbiata del fatto che mi stessi comportando così, ovvero come uno stronzo.

Non sapevo cosa si aspettasse, però. La rabbia era il mio modo per far fronte alle cose. Preferisco colpire un muro - una cosa che avevo fatto un paio di volte da quando ho ricevuto la notizia - che chiudermi in una stanza a piangere sul mio cuscino.

"Dovresti tornare a casa. La tua famiglia ha bisogno di te. Tua mamma, Jazzy, anche Jaxon." Brooklyn andò avanti. Stava cercando di farmi sentire in colpa.

Jaxon era troppo piccolo per capire completamente quello che stava succedendo. Certo, gli avevamo risparmiato i sanguinosi dettagli. Mia mamma e mio zio gli avevano raccontato la cazzata sul fatto che mio padre fosse in un posto migliore e tutta quella merda che dici ai bambini così che non finiscano con l'avere un trauma.

Dubitavo che Jaxon capisse cosa significasse essere morto - cancellato dalla terra, andato per sempre. Trovavo difficoltà a capirlo perfino io.

"Aspetta, Jazmyn ti ha parlato?" alzai le sopracciglia. Ieri quando siamo rientrati a casa, lei era nella sua stanza, e apparentemente non ne era uscita nemmeno una volta.

Brooklyn scosse la testa, sospirando tristemente. "Non vuole nessuno. Tua madre è davvero agitata per questo. Forse ti ascolterebbe? Voi due siete molto legati..."si affievolì.

Magari lo facesse. Non ci avevo provato, ad essere onesti. Ma ero consapevole che sarei scoppiato a piangere se avessi visto mia sorella piangere fino a farsi uscire gli occhi dalle orbite ancora. Non volevo più piangere di nuovo. Mai più.

Improvvisamente, Brooklyn ansimò. "Cosa diavolo c'è che non va in te, Justin Drew Bieber?" borbottò a denti stretti, facendo evidentemente il possibile per non urlarmi contro. Rabbrividii a sentire il mio nome per intero, ma capii rapidamente per cosa era arrabbiata. La mia mano.

"Non so davvero più come dirtelo," cominciò calma, "ma le mani sono fatte di ossa, e le ossa sono fragili. Di solito si rompono quando le sbatti contro un muro." Mi sentii come se avessi due anni dal modo in cui mi stava parlando.

"Puoi prendere in considerazione questo la prossima volta che ti viene voglia di colpire qualcosa? I cuscini esistono e sono morbidi e innocui."

Sì, ma non è la stessa cosa.

"Potresti procurarti una ferita permanente, Justin." Ruotai gli occhi. Non avevo bisogno che lei mi facesse da babysitter.

"Come ti pare," farfugliai, finalmente pronto a strappare la palla dalle sue mani.

"Ah, no," canzonò Brooklyn, in parte divertita penso. "Tu vieni con me. Cureremo la tua mano e poi ti farai una bella chiacchierata con tua sorella e parlerai con me al posto di continuare a tenerti tutto dentro e affronteremo questa cosa insieme e nonostante tu provi sempre più duramente a mandarmi via, io non ti lascerò."

Forse era per come era rimasta senza fiato dopo quel suo affrettato e piccolo discorso, o per l'amore che i suoi occhi scatenavano dentro di me nonostante il gran coglione che ero stato con lei o il fatto che era rimasta con me ieri e che mi aveva stretto mentre piangevo o per come mi avevo detto che non ero affatto una femminuccia per questo, o per come mi aveva consolato e aveva giocato con i miei capelli finché non mi ero addormentato.

O forse, semplicemente, la amavo fottutamente.

Così presi la sua mano e feci combaciare le nostre dita, pronto ad affrontare tutto ciò che aveva appena detto.

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