(Un)expected

By anna_storiess

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SPIN OFF DI (IM)POSSIBLE. (UN)EXPECTED PERÒ PUÒ ANCHE ESSERE LETTA DA SOLA. Ally. Chioma corvina. Postura s... More

Book Trailer 🎬
Dedica✨🖤
Prologo
Chapter one
Chapter two
Chapter three
Chapter four
Chapter five
Chapter six
Chapter seven
Chapter eight
Chapter nine
Chapter ten
Chapter eleven
Chapter twelve
Chapter thirteen
Chapter fourteen
Chapter fifteen
Chapter sixteen
Chapter seventeen
Chapter eighteen
Chapter nineteen
Chapter twenty
Chapter twenty-one
Chapter twenty-two
Chapter twenty-three
Chapter twenty-four
Chapter twenty-five
Chapter twenty-seven
Chapter twenty-eight
Chapter twenty-nine
Chapter thirty
Chapter thirty-one
Chapter thirty-two
Chapter thirty-three
Chapter thirty-four
Chapter thirty-five
Chapter thirty-six
Chapter thirty-seven

Chapter twenty-six

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By anna_storiess

⚠️ATTENZIONE⚠️

Questo capitolo contiene temi molto delicati e crudi, perciò se siete un pubblico più sensibile, vi sconsiglio la lettura. 💖

Matt

Era bella da morire.

Bella da togliere il fiato.

Bella da lasciare completamente senza parole.

Bella da far battere il mio cuore all'impazzata.

Bella da far crollare tutto.

Una bellezza distruttiva.

Una bellezza che, insieme al suo charme e alla sua personalità, mi hanno devastato totalmente.

Sono passati un paio di giorni dalla sera al Panorama Tower, e ancora uno strano formicolio mi investe il petto al pensiero della tigre nel mio appartamento, mentre guarda la città con quell'aria da bambina.

Mi scappa un sorriso nel pensare al modo in cui i suoi occhi si siano sgranati alla vista dell'intera città, ma mi costringo comunque a darci un taglio e a piantarla di sorridere come un coglione.

«Oggi è San Valentino, amico. Perché non mi hai fatto nessun regalo?» è la voce di TJ che mi distoglie dai miei pensieri e mi induce a spostare lo sguardo su di lui.

Mi sta guardando con una finta espressione dispiaciuta, alla quale rispondo roteando gli occhi al cielo.

«Sta' zitto.» continuo a rispondere ad alcuni messaggi sul telefono, mentre - steso sul letto - sistemo meglio il braccio libero sotto la nuca.

«È la festa dell'amore, non essere così burbero.» si accende una sigaretta e si scaraventa sul suo letto, passando subito dopo una mano tra i capelli castani.

«Che cazzata.» borbotto quindi tra me e me.

«Ma piantala. Perché non compri delle rose alla tua ragazza?»

Aggrotto istantaneamente le sopracciglia.

Ragazza?

Ally non è la mia ragazza, Cristo Santo.

Non dico certamente che me la porto a letto e basta, perché sarei ipocrita, ma definirla "la mia ragazza"...

Dio, no.

O almeno, questo è quello che dice la mia testa, poiché il mio petto e il mio cazzo non sembrano pensarla allo stesso modo.

«Mi spieghi cosa ci metti dentro quegli spinelli per ridurti così? Non stiamo insieme.» ripeto per forse la miliardesima volta.

È dall'appuntamento che non fa altro che tormentarmi. Mi dice sempre di chiamarla, di andare da lei, di farle regali.

Santo Dio, sto impazzendo con lui e i suoi metodi di corteggiamento.

Pensa che io e Ally siamo una coppia, quando in realtà non siamo altro che...

Non lo so neanche io in verità.

Qualsiasi cosa sia, però, non voglio contaminarla con le schifezze che consiglia TJ.

«Gli unici soldi che potrei spendere a San Valentino sono quelli del dentista, per tutte le carie che mi vengono con tutte le coppie che gironzolano per il campus.»

TJ sbuffa, rassegnato alle mie parole, e rotea gli occhi al cielo.

«Almeno hai intenzione di vederla?»

«Certo che si.» mi scappa all'improvviso, senza neanche darmi la capacità di controllarlo.

Non ci vediamo da ieri sera, eppure già mi mancano quei suoi due occhioni. Non so ancora se staremo in camera o meno, ma avevo previsto di scendere tra un po'.

Senza regali.

Senza rose.

Senza cioccolatini.

Non diventerò mai uno di quei fidanzatini che si comporta come se l'unico giorno disponibile per dimostrare il loro "eterno e invincibile amore" sia solo e unicamente San Valentino.

«Bene, potrò fare sogni tranquilli.» increspa le labbra in un sorriso soddisfatto, mentre io scuoto il capo in maniera rassegnata.

Non capirò mai perché vuole così tanto che io e la tigre stiamo insieme, ma va bene così.

Forse è segretamente appassionato ai romanzi d'amore e io non lo so.

Ma, sinceramente, non me ne frega un cazzo.

Scocciato da questa conversazione, perciò, scelgo di alzarmi dal letto e di dirigermi verso l'armadio, per prepararmi.

Indosso una felpa grigia del college e dei jeans neri, e - dopo aver infilato il mio pacchetto di Marlboro e il telefono in tasca - afferro le chiavi della stanza e saluto TJ.

«Io esco.»

Lui mi rivolge un cenno del capo e sposta l'attenzione sul suo computer.

Esco perciò dalla camera e attraverso l'intero dormitorio maschile. Tuttavia, non appena arrivo nel giardino, ecco che la suoneria del mio cellulare fa rallentare i miei passi.

Leggo il nome sullo schermo e serro la mascella.

Porca puttana, non di nuovo.

Mio padre.

«Che vuoi?» domando senza la minima cortesia.

Lui sospira dall'altro capo del telefono, e aspetta qualche secondo per pronunciare:

«Ciao anche a te, figliolo.»

Sbuffo a questi finti sentimentalismi e stringo maggiormente il telefono, avvertendo il fastidio montare al suono della sua finta voce cortese.

«Hai due minuti.» impongo perciò, con tono freddo e distaccato.

«Senti, devo parlarti.»

«Dimmi.»

Un altro sospiro da parte sua, un'altro sbuffo da parte mia.

«Non posso dirtelo al telefono, è una cosa abbastanza... delicata.» ammorbidisce sempre di più il suo tono, sperando forse di sortire un qualche effetto in me, quando non fa altro che farmi irritare ancora di più.

«C'entra il processo?»

«Sì.»

«Allora non mi interessa. Ti ho già detto che non testimonierò a tuo favore.»

La mia voce è impassibile, esattamente come la mia espressione.

È da mesi che mi chiede di testimoniare al processo per difenderlo e non farlo finire dietro le sbarre. Dovrei incastrare un innocente e fargli passare chissà quanto tempo in galera, soltanto perché lui possa commettere ancora e ancora questi reati e incastrare gente che non c'entra un cazzo.

Che si fottesse.

È tanto fiero delle sue capacità aziendali, che non sa fare un cazzo senza farsi beccare e finire nei guai.

Mi faceva sentire sempre una nullità proprio per questo motivo, e adesso invece è lui che sta implorando il mio aiuto.

«Concedi a me, tua madre e tuo fratello una cena con te. Questo weekend.»

Aggrotto le sopracciglia.

Una cena?

«E per fare cosa? Per cercare di suscitarmi pietà?» continuo a camminare verso il dormitorio femminile.

«No, per spiegarti bene come stanno le cose. Sarai poi tu a decidere se aiutarci o meno, e io non ti stresserò più. D'accordo?»

Levarmi finalmente dalle palle la sua insistenza?

Beh, non aspetto altro da mesi.

Mi si forma un cipiglio riflessivo sulla fronte.

Niente riuscirà a convincermi a testimoniare a suo favore. È una battaglia già persa. Eppure lui vaga ancora nell'illusione di potermi convincere.

Sospiro e passo una mano sul viso.

«Va bene. Sabato, alle otto e mezza. Non chiamarmi fino ad allora.» subito dopo, senza neanche sentire la sua risposta, attacco e rimetto il telefono in tasca.

Cristo Santo, è sempre capace di farmi incazzare e rovinarmi l'umore.

Cerco comunque di calmarmi con l'idea di star per rivedere la tigre ed entro nel dormitorio. Attraverso le scale e arrivo al piano della stanza di Ally.

Mi incammino verso di essa, fino a quando però una figura bassina e minuta non mi si para davanti, bloccandomi.

Chloe.

I capelli biondi sono legati in due codine ai lati del viso, che le scendono fino al seno, mentre i suoi occhi castani sono puntati su di me e mi fissano con ardore.

«Ciao, Matt.» mi si butta addosso e mi avvolge le braccia al collo.

Non ricambio l'abbraccio, né mi piego per raggiungere la sua altezza.

Lei se ne accorge, ma fa finta di nulla - come al solito - e increspa le labbra in un sorriso.

«Buon San Valentino.»

«Sì.» rispondo semplicemente con un tono misto tra l'irritato e l'impassibile.

Si schiarisce la voce a disagio e avanza nella mia direzione, per poi posarmi un dito sul mento con aria languida e continuare:

«La mia compagna di stanza non c'è.»

I suoi occhi sono colmi di lussuria, mentre i miei completamente indifferenti.

Mi stranisco persino io nel momento in cui si appoggia completamente a me e il mio cazzo non subisce alcun effetto.

Chloe deglutisce a disagio, ma non demorde e inizia a strusciarsi su di me.

«Non indosso le mutandine sotto la gonna.» rivela perciò, infilandomi le mani tra i capelli.

Io, però, sbuffo, impaziente di andarmene.

Non so perché, ma le sue moine mi infastidiscono e mi portano a sbuffare in modo irritato.

Non era mai successo prima.

O almeno, non ho mai gradito moltissimo la sua presenza, ma di certo non mi tiravo indietro nel momento di scopare.

Dopo che ci siamo lasciati abbiamo continuato a fare sesso insieme - lei per cercare di ricostruire una specie di relazione, io per svuotarmi le palle.

Eppure, adesso che si struscia su di me con aria maliziosa e voluttuosa, non riesco minimamente a eccitarmi.

«Senti, ho da fare.» le tolgo le mani dai miei capelli e mi scosto da lei.

La sua figura è praticamente la metà della mia, perciò sono costretto a inclinare di molto il capo per guardarla negli occhi.

«Ci vediamo in giro.»

Il suo sguardo diventa improvvisamente furioso a causa del modo in cui l'ho rifiutata, ma non osa ribattere nulla. Serra infatti semplicemente la mascella e si fa da parte, per poi puntare gli occhi sul pavimento a disagio.

«Sì, ci vediamo.» pronuncia a denti stretti, con finta indifferenza.

Me ne sbatto sonoramente del fatto che possa esserci rimasta male e raggiungo la camera di Ally.

Busso e, dopo una manciata di secondi, la figura di Charlotte si staglia sulla soglia.

«Matt, ciao!» mi lascia un bacio sulla guancia, facendomi entrare subito dopo.

«Ally?» domando, ancora contrariato dalla telefonata di mio padre e dall'incontro con Chloe.

«Sta facendo la doccia. Che cosa ci fai qu-» sgrana gli occhi non appena viene attraversata dall'improvvisa consapevolezza, ed esclama: «Oh mio Dio, sei qui per stare con lei a San Valentino!»

Porta le mani davanti alla bocca per non urlare dalla gioia, e io sospiro, scuotendo il capo.

«Calma, Stone. Non l'ho immaginata in modo così sdolcinato.»

Rotea gli occhi al cielo e si avvicina a me saltellando. «Cosa le hai comprato? Rose, dolci o gioielli?» sorride con euforia, mentre io scrollo una spalla e rispondo:

«La mia presenza non basta?»

A queste mie parole, però, ecco che il suo sorriso si spegne e il suo entusiasmo cala improvvisamente.

«Non le hai preso niente

Il mio silenzio vale da conferma, e ciò la porta a sospirare in modo contrariato e deluso.

«Diavolo, Matt. So che Ally odia l'amore, San Valentino, le coppie e tutte queste cose, ma magari con te è diverso... Potrebbe farle piacere ricevere qualcosa.» fa spallucce e incastra i suoi occhi nei miei, in modo da imprimere meglio il concetto.

Sospiro e corruccio il viso.

«Senti, queste cose fanno schifo a tutte e due. E poi non mi serve che sia San Valentino per ricordarmi di farle un regalo. Sono cose costruite e banali.» pronuncio perciò con fermezza. «Oltre al fatto che non stiamo insieme.»

La biondina sbuffa pesantemente e rotea gli occhi al cielo, per poi arrendersi definitivamente:

«Va bene, fa come ti pare.» agita una mano in aria e mi volta le spalle, per poi infilarsi degli anfibi.

«Stai uscendo?» domando quindi.

Annuisce semplicemente e indossa una giacca di jeans. «Sì, il regalo di San Valentino di Jason è stata una pista tutta per noi dove poter correre con le moto.»

Aggrotto le sopracciglia, ma - prima che possa dire qualcosa - solleva un indice e mi precede:

«So a cosa stai pensando e, no, non sono più così spaventata dal salirci. Ho desiderato tanto avere una moto tutta mia che non posso lasciarmi sopraffare dal terrore.»

Temevo che dopo l'incidente avuto qualche mese fa con la moto non avrebbe più voluto saperne, eppure sembra aver recuperato lo stesso entusiasmo di correre di prima.

Non lo mostro eccessivamente, ma ne sono felice.

Motivo per cui le lascio un bacio sulla fronte e la saluto, restando solo nella stanza.

Immagino che a quest'ora Ally avrà finito di farsi la doccia e arriverà a momenti. Non so se si aspetta di vedermi qui, ma vengo ugualmente attraversato da una strana eccitazione all'idea di vederla.

Sollevo il polso e punto lo sguardo sull'orologio.

Sono le otto di sera.

Non avevo in programma di uscire, ma potrei almeno ordinare qualcosa da mangiare per tutti e due.

Non le regalerò cioccolatini e fiorellini, ma magari potrebbe apprezzare del fast food.

Ghigno involontariamente nel momento in cui mi riaffiora il ricordo della sua espressione estasiata ogni volta che mangia qualcosa che le piace, e - senza neppure pensarci due volte - digito il numero di un pub qui vicino e ordino dei panini.

Tanti panini.

Preferirei di gran lunga sfamarmi in mezzo alle gambe, ma - dato che oggi è il fantomatico quattordici febbraio - potrei posticipare la perversione e lasciare spazio a qualcosa di più... romantico?

Cristo Santo, ma che dico?

Che cazzo di schifo.

Sbatto le palpebre più volte, per cercare di scacciare questi pensieri, e mi guardo intorno.

Punto gli occhi sulla scrivania della tigre, con sopra libri, fogli, il suo pc... Osservo poi il suo letto, perfettamente in ordine, alcune foto raffiguranti sua sorella Emily, fino ad arrivare al suo comò.

Le mie mani si muovono in automatico verso il primo cassetto, che a quanto pare contiene tutto il suo intimo.

Porca puttana.

Il mio cazzo si indurisce all'istante nel vedere le sue mutandine in pizzo, e sono costretto a serrare la mascella.

Ne afferro in particolare una nera e la osservo come se fossi un cazzo di cannibale e lei la mia prossima preda.

Dio.

«Puoi prenderla.»

Mi volto di scatto al suono di quella voce suadente e fredda allo stesso tempo.

La figura di Ally, con indosso soltanto un accappatoio, si trova sulla soglia della porta e mi brucia con le sue gemme azzurre.

Eccola...

Avanza nella mia direzione, mentre io la guardo con le palpebre assottigliate e l'aria di uno che vorrebbe divorarsela seduta stante.

«Allora?» arriva a pochi millimetri dal mio corpo e solleva il capo verso di me.

Punta i suoi diamanti su di me e mi osserva con malizia.

Cristo, mi basta anche solo guardarla per avere una cazzo di erezione.

Stringo le mutandine nella mano, fino a far divenire le nocche bianche, e serro maggiormente la mascella.

Ho voglia di strapparle l'asciugamano di dosso e sbatterla qui, su questo pavimento, come un dannato.

Eppure ho detto che avrei potuto aspettare a dopo la cena e che-

Fanculo.

Non me ne frega un cazzo di aspettare.

Poso una mano sulla sua nuca e attiro con forza la sua bocca sulla mia. Le infilo la lingua in gola subito dopo, non riuscendo a controllare neanche una minima fottuta parte di me.

Questa tigre dagli occhi azzurri ha un potere su di me che non ho mai concesso a nessuno.

Manda a puttane tutto, tutto. E, Dio, questo è tanto frustrante quanto eccitante.

Un suo gemito muore nell'unione delle nostre bocche e porta il mio cazzo a indurirsi ancora di più.

Mi farà impazzire, ne sono certo.

La afferro dalle cosce e la prendo in braccio, per poi sbatterla contro il muro e sbranarle le labbra come un animale.

«Mi sei mancata, tigre.» pronuncio tra un bacio e l'altro.

Lei ansima senza fiato, ma continua comunque a divorarmi con ardore.

«Ma ci siamo visti ieri.»

«Appunto.»

La mia lingua si fionda nuovamente nella sua bocca, mentre il suo bacino comincia a strusciarsi sul tessuto dei miei jeans, che tradisce una chiara protuberanza.

Geme con perversione.

Maledizione.

Impugno i suoi capelli e le tiro il capo all'indietro, in modo da avere libero accesso al suo collo, che inizio a sbranare come uno che non mangia da settimane.

La mia fottuta droga.

L'odore paradisiaco della sua pelle mi manda completamente fuori di testa, soprattutto nel momento in cui il suo corpo inizia a dondolare sulla mia erezione.

«Scopami. Adesso.»

Sono quelle sue due parole, pronunciate con sfacciataggine e perversione, a farmi mandare a fanculo qualsiasi briciolo di lucidità.

In un ringhio animale, infatti, serro la mascella e la porto sul letto.

«Mi vuoi morto.» pronuncio in un sussurro eccitato, mentre la faccio stendere sul materasso.

I suoi occhi sembrano tuttavia essere attraversati da un lieve timore non appena realizza in che posizione ho intenzione di farlo.

«Va bene sotto, tigre?» domando perciò, aggrottando lievemente le sopracciglia.

Esita per una manciata di secondi, fino a quando - seppur non molto sicura della sua decisione - risponde: «Sì, nessun problema.»

Mi sfilo perciò la felpa di dosso, ghignando allo sguardo famelico che Ally riserva a tutto il mio busto.

Slaccio poi subito dopo la cintura e l'arrottolo, senza smettere un secondo di guardarla negli occhi e increspare le labbra in un sorrisino impertinente.

Deglutisce a questo gesto, mentre il suo petto si alza e si abbassa con sempre più irregolarità a causa dell'eccitazione.

Afferro un preservativo dalla tasca dei jeans e li abbasso insieme ai boxer, facendo sì che la mia erezione scatti dura e turgida in tutta la sua lunghezza.

Le vene sono in rilievo tanta la voglia di scoparmi la tigre che ho davanti, perciò mi avvio verso di lei e le strappo di dosso l'asciugamano.

Mi avvento subito dopo sulle sue labbra e ricomincio a sbranarla, mentre infilo il preservativo e punto la mia erezione sulla sua entrata.

Mi posiziono sopra di lei, mantenendo il mio peso su un gomito, mentre allungo la mano libera verso il suo clitoride.

Lo afferro tra le dita e lo stuzzico con lentezza, provocandole un ansimo.

È la prima volta che lo facciamo in questa posizione. Di solito non le piace stare sotto, eppure questa volta sembra essere-

«Oddio.»

Ancor prima che possa concludere il mio pensiero, però, ecco che i miei occhi saettano nei suoi.

Le iridi le si sono dilatate e il volto le è divenuto più pallido.

«Tutto bene?» aggrotto lievemente le sopracciglia e alterno lo sguardo da un suo occhio all'altro.

Lei però deglutisce e inspira profondamente, per poi annuire.

«Sicura?»

«Sì.»

Interrompe la conversazione con un bacio e non mi permette di farle altre domande.

A questo punto, le poso una mano sul viso e la penetro in profondità, beandomi del modo in cui i suoi umori facilitino il passaggio.

Affondo dentro di lei inizialmente con lentezza, ancora confuso dal modo in cui il suo sguardo diventa man mano più torbido.

Entro ed esco dalla sua intimità, calda e bagnata per me, eppure la mia attenzione viene calamitata solo e unicamente dai suoi occhi.

Sono serrati, come se stessero cercando di scacciare chissà cosa.

Si agita infatti sotto di me, portando la mia fronte ad aggrottarsi ancora di più e facendomi rallentare.

Le scappa un gemito sofferente, che la porta a contorcersi e a inspirare grandi quantità di ossigeno.

«Ti sto facendo male?» domando quindi, fermandomi all'istante.

Lei però non risponde, non sembra neanche avermi sentito. È talmente immersa nei suoi pensieri che non riesce neanche ad aprire gli occhi.

«No... No... No...» il tono le diventa angoscioso e implorevole, mentre il petto le si abbassa e si alza sempre più velocemente.

Che diavolo...

Mi sfilo da lei, sperando che questo possa alleviare il panico che la sta travolgendo, ma probabilmente non se ne accorge neppure.

«Ally... Va tutto bene? Che succede?» mi siedo sul letto e avvicino una mano alla sua, ma mi spinge via con irruenza.

«No, lasciami!» urla a gran voce e si contorce nel letto come se stesse avendo un incubo.

I suoi occhi sono ancora chiusi, perciò non riesce a vedermi, mentre i miei sempre più confusi.

Ma che diamine succede?

Non so cosa fare o dire. Sembra star affrontando la stessa crisi del giorno in cui ha ricevuto il secondo bigliettino da parte del padre, eppure adesso risulta essere molto più acuta.

«Ally, sono Matt. Guardami.» ammorbidisco il tono della voce, nonostante la preoccupazione crescente, e mi avvicino lentamente.

«No! Smettila, ti prego! Ti scongiuro, lasciami andare!» annaspa in cerca di ossigeno e si rannicchia all'angolo del letto.

Cazzo.

Porta le ginocchia al petto e infila le mani tra i capelli, facendo pressione sul capo.

«Esci dalla mia testa! Lasciami in pace!» grida con la voce gremita di terrore, mentre i battiti del mio cuore aumentano sempre di più a quella vista.

«Cristo, Ally, guardami... Sono io, sono Matt.» le prendo il viso tra le mani con dolcezza e questo - finalmente - fa sì che apra gli occhi.

Questi sono iniettati di paura allo stato puro e il nero dell'iride ha completamente invaso l'azzurro.

Non sembra riconoscermi da subito. Le ci vogliono infatti diversi secondi per realizzare che sono soltanto io, e - quando lo fa - rilascia un'ingente boccata d'aria, come se avesse trattenuto il respiro per ore.

Alterna lo sguardo da una mia iride all'altra e cerca di regolarizzare il respiro.

«Va tutto bene, tigre. È finita.» avvicino le nostre fronti, ma tengo gli occhi aperti, in modo da imprimerle meglio queste parole.

Le scappa un gemito sofferente, che la porta a rilasciare un sospiro e a scostarsi da me.

Non dice nulla.

Semplicemente afferra l'asciugamano poco lontano da lei e la indossa.

Sembra quasi traumatizzata dalla crisi che ha appena avuto, dato il modo in cui si alza dal letto e si avvicina alla finestra.

I suoi occhi sono spenti. La Ally di poco fa è completamente svanita, per lasciare spazio a un'anima vuota e cupa.

Afferra il suo pacchetto di Camel e se ne accende una. Punta poi lo sguardo oltre la finestra e inizia a fumare, come se fosse l'unico modo per superare ciò che è appena successo.

Un attacco di panico.

Una crisi.

Una specie di incubo.

Non so che cazzo le sia successo, ma l'ha totalmente... distrutta.

Getto il preservativo, mi infilo i boxer e, dopo aver afferrato anche il mio pacchetto di Marlboro, mi avvicino a lei, avvertendo un magone all'altezza del petto alla vista dei suoi occhi angosciosi.

Rimango in silenzio, non sapendo minimamente che cazzo dire.

Mi accendo semplicemente una sigaretta e inizio a fumarla accanto a lei.

Ally fissa il suo sguardo su un albero nel giardino del dormitorio e continua a inspirare nicotina su nicotina, seppure la sua espressione sia stravolta totalmente.

«È stato un attacco di panico?» domando a un certo punto, rompendo il silenzio assordante con voce roca.

Annuisce con lentezza, finendo la sigaretta ormai ridotta a un semplice mozzicone e la nel posacenere sulla scrivania.

Ne afferra subito dopo un'altra dal pacchetto, ma riesco a posarle con delicatezza la mano sulla sua e a bloccarla.

«Vuoi parlarne?»

Incastra i suoi occhi nei miei. Mi guarda con così tanta intensità che sembra stia cercando qualcosa a cui appigliarsi per non crollare completamente.

Mi fissa infatti per diverso tempo, facendo trasparire - per forse la prima volta - tutto il dolore che sta provando in questo momento.

Restiamo così per tanto, fino a quando non si lascia andare totalmente e...

mi abbraccia.

Avvolge le braccia intorno al mio busto e affonda il viso nel mio petto, mentre si aggrappa a me come se fossi l'unica àncora che possiede.

Rimango una manciata di secondi immobile, spiazzato da questo gesto, per poi però stringerla a me con lo stesso calore.

Non era mai capitato che Ally si lasciasse andare fino a questo punto. Non credo di averla mai vista abbracciare qualcuno, in realtà. Eppure... cazzo, il suo corpo stretto al mio mi produce un calore intenso all'altezza del petto.

Un senso di vuoto mi pervade persino la gola non appena la sento tremare.

Non so cosa sia successo, ma non riesco a trattenere minimamente la voglia di uccidere a mani nude chiunque l'abbia ridotta in questo stato.

«Avevo solo tredici anni...» pronuncia a un certo punto, con la voce rotta dal panico.

Questa è un flebile sussurro, ma riesco a sentirla ugualmente.

«Solo tredici anni quando è iniziato tutto...»

I battiti del suo cuore aumentano all'improvviso, come se stessero eguagliando la velocità con cui i suoi pensieri le affollano la mente.

Dopo alcuni secondi, si scosta da me e si siede sul pavimento, poggiando la schiena e il capo alla parete.

Appare improvvisamente fragile e priva di difese, e questo mi provoca una dolorosa fitta al petto.

Resto comunque in silenzio e mi siedo accanto a lei.

Non emetto un solo respiro, per evitare che rialzi i muri attorno a lei e si chiuda di nuovo.

Canzone consigliata: high hopes - Kodaline

«Quando avevo tredici mia madre morì in un incidente d'auto mentre tornava a casa dal lavoro... La mia sorellina era appena nata e mio padre iniziò a prendersi cura sia di lei che... di me.» le scappa un sorriso sarcastico all'ultima parola, ma subito dopo deglutisce e - tenendo lo sguardo fisso su un punto del pavimento - continua:  «Stavamo tutti male. Eravamo distrutti e non riuscivamo a capacitarci della perdita. Mio padre iniziò a bere, a drogarsi. Tornava a casa fatto e ubriaco, e lasciava giornate intere Emily a casa di zia Isobel. Io, invece, restavo in camera mia. Non avevo la forza di vedere nessuno. Passavo tutte le ore di tutti i giorni a letto a piangere.» la voce le si spezza e la costringe ad aspettare qualche secondo prima di continuare. «Una notte, Emily stava dormendo a casa dei miei zii, John e Isobel. Io, come al solito, non riuscivo a chiudere occhio e sentii mio padre rientrare. Ero ormai abituata a sentirlo tornare a ora tarda, totalmente ubriaco. Ma quella sera per sbaglio fece cadere un mobile all'ingresso, ruppe un vaso, e io mi spaventai. Pensai che gli fosse successo qualcosa e che si fosse fatto male, perciò scesi di corsa di sotto. Ero impanicata, perché non potevo perdere anche mio padre. Perciò mi precipitai da lui e vidi che era caduto a terra.»

Il suo sguardo è spento, totalmente vuoto. Le iridi molto più dilatate di prima al ricordare quei momenti e l'espressione fredda come il ghiaccio.

«Lo aiutai ad alzarsi, ma appena posò gli occhi su di me mi guardò in modo diverso... Non scorderò mai l'occhiata che riservò a me, alle mie gambe, al mio seno che stava iniziando a crescere...»

Serro la mascella e assottiglio le palpebre, mentre cerco di contenere lo schifo suscitato da ciò che ha appena detto.

«Mi disse: “assomigli tanto alla mamma...”, e mi sorrise. Io lo presi come un dolce complimento, perciò lo ringraziai e lo accompagnai in camera. Eppure, da quel giorno... tutto cambiò. Lui iniziò a uscire di meno, restava tutto il giorno a casa a bere, ma non mi lasciava un attimo sola. Pensai inizialmente che lo facesse per essere più presente, ma iniziai a notare cose strane. Mi guardava sempre. Mi fissava con una strana intensità, e - ogni volta che eravamo nella stessa stanza - apriva le gambe e mi faceva segno di andare a sedermi su di lui.»

Deglutisco un groppo amaro e impreco silenziosamente, schifato da quel pezzo di merda.

«Io andavo. Pensavo che mi volesse abbracciare e che volesse affrontare insieme a me la morte della mamma. Ma ogni volta che mi sedevo, lui... lui allungava le mani. Con la scusa di stringermi a lui mi palpava il sedere, mi faceva strusciare su di lui... Capii che quelle cose non erano normali. Non era così che un padre avrebbe dovuto trattare la propria figlia, perciò iniziai a ignorarlo. Ricominciai a chiudermi in camera mia, pensando che si trattasse soltanto di un momento passeggero e che presto tutto sarebbe finito. Lui sarebbe tornato quello di prima e avremmo instaurato il rapporto padre figlia che, in realtà - a causa del suo lavoro che richiedeva la sua presenza tutti i giorni - non avevamo mai pienamente avuto. Ma niente cambiò mai, tutt'altro...»

Il suo sguardo diventa sempre più asettico, come se si stesse estraniando da tutto quello che sta dicendo.

«Iniziò a toccarmi in modo sempre più esplicito. Un giorno mi bloccò contro la porta e, chiamandomi con il nome di mia madre, iniziò a baciarmi il collo. Io mi impanicai, ma riuscii a liberarmi. Scappai in strada, ma riuscì a prendermi e mi riportò in casa. Mi gettò sul letto e si avventò su di me. Scoppiai a piangere, scioccata da quello che "il mio papà" stava facendo e lo pregai di lasciarmi andare. Eppure non lo fece. Mi bloccò i polsi e mi schiaffeggiò per il modo in cui ero scappata.»

Fa una pausa, mentre la sua voce si spegne sempre di più.

«Questo lo fece eccitare.»

Serro i denti a tal punto da sentirli quasi spaccarsi, ma continuo ugualmente ad ascoltare.

«Mi strappò i vestiti di dosso e mi fece restare nuda davanti a lui. Non ebbi neppure il tempo di capire che cosa stava succedendo, perché - senza alcuna esitazione - lui si abbassò i pantaloni e cominciò a...»

Non riesce a finire la frase, poiché l'orrore la travolge immediatamente.

«A ogni affondo, il mio cuore si frantumava in miliardi di pezzi, che, a ogni schiaffo, volavano via.»

Diversi istanti di silenzio precedono le parole che pronuncia - con una freddezza e un distacco incredibili - subito dopo:

«Quel giorno morii.»

Un soffio al petto mi induce ad abbassare lo sguardo.

«Morì la ragazzina che amava ridere, che correva nei campi e si meravigliava ogni volta che vedeva un arcobaleno. Morì la ragazzina che adorava gli abbracci, l'affetto, il contatto. Morì la ragazzina che rincorreva le farfalle, che sorrideva appena si svegliava e che si precipita sempre giù in giardino a giocare non appena iniziava la giornata. Morì quella parte di me che amava la vita in tutte le sue sfaccettature. E non riuscì a rinascere mai più.»

Cristo santo.

«A ogni modo, fui così ingenua da pensare che non sarebbe successo mai più, quando invece non sapevo che era appena iniziato il mio incubo.» sorride amaramente. «Da quel giorno cominciò a violentarmi tutti i giorni. Ogni mattina, ogni sera... Mi buttava sul letto e mi spezzava, con ogni volta sempre più violenza. I primi mesi cercai di ribellarmi, di respingerlo e di liberarmi, ma non facevo altro che farlo incazzare. Perciò una volta finito, lui mi ordinava di aprire le gambe, si sfilava la cintura e... iniziava a frustrarmi. Nell'interno coscia.»

Le cicatrici.

Quelle che copre sempre.

Gliele ha fatte quel maledetto figlio di puttana.

Un fuoco improvviso divampa in me all'immagine di una ragazzina che viene stuprata e picchiata da suo padre, e sono costretto a serrare i pugni.

«Andavo a dormire tutta dolorante. Mi bruciava tutto e non riuscivo neanche a camminare. Ero troppo piccola, lui troppo violento...» lascia andare il capo sul muro e continua a fissare un punto indefinito del pavimento. «Mi faceva male, ma più glielo dicevo, più le frustate aumentavano.»

Che lurido bastardo figlio di puttana.

«Non potevo neppure piangere, perché gli “dava fastidio”... È da allora che non verso più una lacrima.» si inumidisce le labbra. «Emily aveva appena compiuto due anni e non capiva perché suo padre e sua sorella si chiudessero ogni giorno in stanza e ci stavano per ore e ore, perciò mi imponevo di essere forte per lei tutte le volte che la vedevo, in modo da non lasciarle trasparire il mio dolore.» i suoi occhi si distaccano sempre di più, e la sua voce diventa più dura. «Volevo chiedere aiuto a zia Isobel e zio John, ma mio padre diceva loro che non volevo ancora vedere nessuno. Loro però non si arrendevano e riuscivano comunque a convincerlo a entrare in camera mia. Eppure questo non cambiò niente, perché mio padre mi disse che - se avessi raccontato a qualcuno quello che mi faceva - avrebbe fatto del male a Emily. E io... io non potevo permetterlo.» scrolla una spalla. «Perciò mi costringevo a respingere tutto il dolore che quel mostro mi provocava e a... fingere. Loro pensavano che il mio stato d'animo fosse riconducibile alla morte della mamma, anche perché papà stava iniziando a smettere di bere e drogarsi. Pensavano che sarebbe tornato tutto a posto, per quanto possibile, con il tempo...»

Chiudo gli occhi per alcuni secondi, mentre la rabbia e lo schifo mi fottono completamente il cervello.

«Ero da sola. Non potevo piangere, non potevo chiedere aiuto. Potevo solo subire i suoi abusi e la sua violenza. Venivo stuprata, picchiata e minacciata ogni giorno e... dovevo stare zitta.» deglutisce. «Pensavo di essere caduta all'inferno. Stavo male, avevo gli incubi e non riuscivo neppure a guardarmi allo specchio. Provavo schifo e dolore ogni volta che mi svegliavo, e ogni volta che mi addormentavo speravo che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui lo avrei fatto. Desideravo morire, ma non avevo il coraggio di uccidermi, perché Emily altrimenti sarebbe rimasta da sola nelle mani di quel bastardo. Capii perciò che dovevo distaccarmi in qualche modo. Smisi perciò di lamentarmi e, ogni volta che lui abusava di me, iniziai a pensare di trovarmi in qualunque altro posto che non fosse in quel lurido letto con lui.» ; «Non potevo fare altro se non spegnere tutto: il mio cuore, le mie emozioni. L'unica parte umana che era rimasta di me era ormai morta, e questo in parte mi aiutava, perché... mi rassegnai al mio destino.»

I muri che ha innalzato.

La sua freddezza con tutti.

Il modo in cui risulta distaccata con chiunque e in qualsiasi situazione.

È stata costretta a creare questa parte di sé, per... non soffrire.

Non è una semplice "donna senza cuore", come la definiscono tutti al college. No.

Ce l'ha eccome il cuore, solo che è ingabbiato. L'ha rinchiuso per evitare che si spezzasse del tutto.

Lo sta proteggendo.

Un senso di angoscia e la voglia di stringerla tra le mie braccia mi pervade all'istante, ma resto comunque immobile, poiché continua:

«Passai così quasi tre anni. In fondo mio padre fingeva che facessi lezioni private, diceva a tutti che per il momento era meglio che stessi da sola e non vedessi nessuno, per metabolizzare il mio dolore, fino a quando però non accadde qualcosa. Lui iniziò ad andare a letto anche con altre donne, perché più scopava più riusciva a non pensare, e - un giorno - mi trasmise un infezione sessuale... La clamidia.»

Assottiglio le palpebre.

«I sintomi c'erano tutti, e lui si rese conto che c'era qualcosa che non andava. Capiva che in quello stato non avrebbe tratto poi così tanto piacere a scoparmi. Perciò mi portò da un medico. Fu talmente stupido da rivelare di averla anche lui. Ma il fatto che avevamo la stessa infezione li fece... insospettire.» ; «Fu in particolare la dottoressa Brown, quella di cui ti ho parlato, che si preoccupò e inizio a farmi una serie di domande. Fu l'unica persona dopo la morte di mia madre e oltre a Emily a scalfirmi il cuore e a farmi aprire. Al tempo la vedevo come una vera e propria figura materna e non potei fare altro se non raccontarle tutto.»

Il medico di cui mi ha parlato durante la nostra cena al Panorama Tower.

«Mi assicurò che Emily sarebbe stata al sicuro e mi convinse a rivelare tutto anche alla polizia. Non riuscivo a credere di aver finalmente trovato una via d'uscita, ma era così. Mio padre venne arrestato e si beccò trent'anni. Riuscii ad avere la forza di testimoniare contro di lui e di farlo pagare per tutto quello che mi aveva fatto.» inizia a torturarsi le dita l'una con l'altra e punta lo sguardo su di esse. «Non che ci sia una pena che potrebbe rimettere insieme i pezzi che pian piano mi ha strappato via... In fondo io sono morta circa un miliardo di volte in quei tre anni, e ogni volta che mi risvegliavo non assomigliavo ad altro se non a un semplice ammasso di carne e ossa.»

La voce le si spezza, perciò attende qualche secondo prima di continuare:

«Ero senz'anima, senza genitori e senza un briciolo di fiducia negli altri. La dottoressa Brown mi stette molto vicina nei mesi successivi, così come i miei zii - dai quali mi trasferii insieme a Emily -, ma niente, niente avrebbe potuto farmi tornare quella di prima.» fa spallucce, travolta dalla triste consapevolezza di ciò che ha appena detto. «Sono passati ormai quattro anni dall'ultima volta che ho visto quel bastardo, ma non mi sono mai liberata pienamente di lui.» ; «È nei miei incubi, nelle mie cicatrici, nelle mie crisi...»

Volta lentamente il capo verso di me, senza riuscire più a mascherare l'angoscia del suo passato.

«Prima ne ho avuta una perché mi violentava sempre in quella posizione... Lui sopra, io sotto. E la sensazione di oppressione che mi travolgeva ogni volta.» sospira. «Mi ha rovinata... A tal punto che l'unico modo per cercare di avere una rivincita su di lui è fare sesso con più ragazzi possibili... Avere una posizione dominante o almeno andare a letto con persone che non siano lui mi aiuta a togliermelo momentaneamente dalla testa.»

La forza delle sue parole mi colpisce in pieno e mi porta a schiudere le labbra.

Dio...

In tutto questo tempo pensavo che scopasse con tanti ragazzi per puro piacere, ma non avrei mai immaginato che fosse l'unico modo che avesse per non rivivere l'orrore che le ha fatto provare quel bastardo.

«Non è stata colpa tua prima... solo mia.» scrolla una spalla e abbassa lo sguardo.

E io non riesco minimamente a trattenermi, poiché sussurrando: «Vieni qui.», allungo un braccio nella sua direzione e la stringo a me.

Non si oppone.

Mi avvolge semplicemente un braccio attorno al busto e mi abbraccia con vulnerabilità e... arrendevolezza.

Le mani mi bruciano per la voglia di strappare le palle al figlio di puttana di suo padre e fargliele ingoiare a suon di pugni.

Vorrei andare da quel verme e dargli fuoco, tanto il dolore che le ha provocato.

L'ha distrutta.

L'ha marchiata a fondo e ha fatto in modo che non riuscisse più a riprendersi.

Cristo Santo.

La stringo a me e le do un bacio sul capo.

«Ci sono io, girasole. Non ti lascio.»

Il petto mi si stringe in una morsa nel sentirla tremare sotto di me.

Porca puttana.

Vorrei radere al suolo ogni singolo angolo di questo fottuto mondo solo per trovare quel lurido bastardo e ridare a Ally la vita che lui le ha strappato via.

Vorrei dirle che è finita e che non le farà più del male, eppure non posso.

Perché lui è tornato.

Si è rifatto vivo con quei biglietti del cazzo.

È evaso di prigione per prendersi la sua rivincita.

Si farà avanti per fare del male, ormai è chiaro. Vuole vendicarsi.

Serro la mascella.

Ma giuro che non lascerò che le torca un solo capello, anche se questo significherà ridurre a brandelli ogni singolo centimetro della mia pelle.

A costo di bruciare vivo, quel bastardo non la toccherà più.

È una promessa, girasole...


💖SPAZIO AUTRICE💖

Capitolo molto delicato e non consigliabile a tutti.

Il trigger warning iniziale era necessario perché sono affrontati argomenti molto crudi e abbastanza importanti.

Avete finalmente scoperto il passato di Ally. Un passato terribile, pieno di orrore e violenza.

Non è stato facile scrivere questo capitolo, ma era necessario che veniste a conoscenza delle ragioni che hanno fatto diventare Ally in questo modo.

Se ve lo steste chiedendo, sì, la scena in cui lei ha detto che era riuscita a scappare è quella presente nel prologo, in cui va in strada ma il padre riesce a prenderla. ❤️

Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto, se così e se vi va lasciate una stellina🌟

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